La prima stagione di Taboo si è appena conclusa e possiamo senza ombra di dubbio affermare che anche questa volta la BBC One ha sfornato un prodotto di tutto rispetto. È cupo, violento, intenso e sempre corredato dagli ingredienti giusti per una miniserie di otto puntate. Un ingrediente che ha funzionato alla perfezione è l’ossimoro di cui è impregnato il protagonista principale James Delaney; infatti, il selvaggio sopravvissuto all’Africa si mostra subito tutt’altro che solo forza e bestialità, ma prepara accuratamente il suo piano attraverso inganni, omicidi e cavilli legali, piano mirato a un solo obiettivo: la libertà. Approfondiamo dunque questo aspetto.
L’elemento che maggiormente vuole essere evidenziato dall’intera impostazione di Taboo è l’oscura imprevedibilità legata a James Delaney.
Un uomo di cui si sa poco e niente, se non alcune confuse notizie legate prevalentemente alla sua ferocia, enfatizzate dalle voci che lo individuavano come un sopravvissuto (e integrato) alla bestialità delle popolazioni africane, diventando uno di loro.
Eppure, fin dal principio si comprende che quest’uomo è un’unione di diabolica intelligenza e atroce forza: si pensi innanzitutto a come gestisce e orchestra la diatriba tra Stati Uniti ed Inghilterra. Blocca ogni rivendicazione della Compagnia delle Indie Orientali sulla Nootka Sound scrivendo un testamento che conferisce la Baia agli Stati Uniti; nel frattempo, opera sottotraccia con alcuni rappresentanti americani per avere, attraverso la loro protezione, il monopolio del commercio del tè.
In realtà, tutto questo non era che l’apparenza, una copertura, come abbiamo visto qui, per qualcosa di più importante: ottenere la libertà. Il dotarsi di fedeli collaboratori era la strada per completare tutto quello che aveva previsto; il suo arresto, le mosse di Stuart Strange, i tradimenti e infine la grande fuga. Insieme al geniale piano gli torna inevitabilmente utile l’esperienza africana, che gli permette di subire torture in prigione senza battere ciglio.
Ma quindi Delaney ha avvantaggiato qualcuno fra Inghilterra, Stati Uniti e Compagnia delle Indie Orientali? Assolutamente no. L’Inghilterra per prima perde ogni possibilità di ottenere la Nootka Sound; baia di cui crede di essere diventata proprietaria la Compagnia, che però verrà danneggiata con un esplosione che ucciderà il suo capo, il signor Strange; infine gli Stati Uniti, di cui James scopre gli inganni e il tradimento del dottor Dumbarton, uccidendolo.
Il vincitore assoluto e indiscusso è James Delaney, vero. Ma non è il solo; infatti, c’è un’altra protagonista che alla fine riesce a ristabilire la bilancia nelle giuste pesature: la giustizia.
James, proprio grazie alla genialità di non lasciare nulla al caso, prima di partire lascia la sua testimonianza che incrimina la Compagnia delle Indie Orientali per il traffico illegale di schiavi sulla nave in cui lui si trovava, naufragata nel 1804. L’avvocato di colore Chichester viene sbeffeggiato da Stuart, che lo definisce un idealista, un illuso, mentre lui si auto-proclama un realista: saranno queste le sue ultime parole prima di saltare in aria. La giustizia vince sempre.
Da ultimo, fondamentale per comprendere la psicologia di James Delaney e il messaggio che Taboo vuole lanciare, ricordiamo il discorso di addio con il suo servo di casa, Brace. James gli spiega che non può venire con lui perchè la libertà non gli appartiene, non saprebbe cosa farne. L’uomo, inizialmente scosso, comprende che James ha capito perfettamente il suo stato d’animo e si ritira dunque nella casa, ormai di sua proprietà: scena tanto malinconica quanto, a suo modo, tenera.