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La fantascienza esistenzialista di Tales from the Loop

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Se esistesse un modo per increspare il tessuto del tempo e rivivere un momento preciso della nostra vita, lo faremmo davvero? E se quel desiderio recondito di essere altro da noi stessi prendesse forma nella realtà e ci svegliassimo in un altro corpo, abitando un altro spazio nel mondo, potremmo raggiungere la felicità? Quante volte nel corso della vita avremmo voluto parlare alle versioni precedenti di noi… chissà, se ci fosse stata data l’occasione, forse avremmo saputo compiere scelte diverse. Il nostro percorso avrebbe potuto seguire una parabola del tutto differente da quella che viviamo attualmente. Forse esisterebbe un’altra versione di noi. Ci sono interrogativi per i quali non esistono risposte binarie, a cui possono soltanto seguire un’infinità di elucubrazioni contorte sul significato nascosto dell’esistenza. Elucubrazioni che Tales from the Loop, serie Amazon Prime Video firmata Nathaniel Halpern, porta sullo schermo con immagini di melanconica fantascienza.

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C’è una cittadina, da qualche parte nell’Ohio, in cui esiste un acceleratore di particelle chiamato Loop. Nato per studiare i fenomeni scatenati da un evento denominato comunemente “eclissi”, il Loop finisce per dominare e influenzare l’esistenza di chi vi ha a che fare, anche se marginalmente. Diventa così un punto gravitazionale capace di modificare, inghiottire o distruggere per sempre il destino di chi gli si avvicina
Non è importante come o quando si sia verificata l’eclissi, né la serie trova necessario rendere evidente in che modo funzioni nello specifico il materiale che il fenomeno ha rilasciato nel territorio. Ciò che conta è come quest’unico fatto abbia tracciato un segno nel tempo e nello spazio di una cittadina, ingabbiandola in una giostra tecnologica che, inclemente, non smette mai di girare.

Più che basare l’intero racconto su speculazioni e ipotesi di carattere tecnico-scientifico, Tales from the Loop si sofferma sul modo in cui un certo tipo di progresso potrebbe influenzare l’esperienza umana senza mai riuscire a migliorarla davvero.

Traendo sapientemente ambientazioni e atmosfere dalle opere illustrate dell’artista svedese Simon Stålenhag, la serie Amazon racconta di connessioni tra persone e di distanze difficili da colmare, nonostante le promesse della scienza di portare le nostre vite su un diverso piano di consapevolezza.
I robot, gli oggetti provenienti da diversi punti dello spazio e del tempo, le voci che giungono dal passato e gli spiragli che si schiudono verso il futuro di scena in scena altro non sono che una finestra sull’animo umano. Non esiste una trama intricata sul futuro dell’umanità, né un susseguirsi di eventi che spieghi come si potrebbe verificare un possibile deragliamento del progresso tecnologico. Esistono solo storie personali, microcosmi familiari complessi, orbite intrecciate di individui diversi ma non poi così tanto.

Nella particolare impalcatura filosofica di Tales from the Loop, l’esperienza umana resta qualcosa di affidato solo a noi, alle nostre decisioni e al nostro sentire. 

Così la fantascienza, non certo per la prima volta, è diventata il perfetto espediente di studio per osservare con la lente d’ingrandimento il mondo interiore degli esseri umani. Un agente esterno che sa portare alla luce recondite verità e paure. Il modo in cui il Loop agisce nelle vite di chi abita attorno al centro di ricerca non fa altro che mettere ogni personaggio allo specchio con se stesso e con le persone della sua vita, con ciò che ha vissuto e su come le sue scelte si rifletteranno nel futuro. Non c’è una vera lezione morale in questo raccontare fatto principalmente di immagini evocative e dialoghi ridotti all’osso. Non ci sono intenti profetici di nessun tipo. C’è solo il mostrare come la tecnologia e le scoperte in ambito scientifico possano sì influire sulla successione di eventi, ma non sul nostro rapporto con noi stessi o con chi ci circonda. 

È per questo motivo che un congegno che ci permette di ascoltare la nostra voce del passato e i consigli di una versione futura di noi stessi non ci impedirà di commettere sbagli necessari alla nostra evoluzione. Né rivivere un evento che ha costituito un punto di svolta nella nostra esistenza ci aiuterà a comprendere meglio il senso di quello che ci è accaduto. Non bastano le incursioni del Loop all’interno del percorso di ciascun personaggio, non bastano le alterazioni improvvise della quotidianità. Nella serie, imbevuta di un tecnopessimismo che per certi versi ci ricorda le riflessioni della prima Black Mirror, conoscenza e analisi non saranno mai in grado di soffocare indecisioni, paure o egoismi intrinsecamente legati alla natura umana.

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In questo senso la fantascienza esistenzialista di Tales from the Loop, con la sua triste bellezza, arriva come un sussurro spaventoso dal futuro e, allo stesso tempo, come un monito da tempi passati. 

Alla serie servono poche parole per trasmettere il suo messaggio più profondo. Le innovazioni scientifiche sono capaci di molte cose, ma non è detto che sappiano riempire i nostri eterni vuoti creati dalla ricerca di un senso della vita. Ciò che possono aiutarci a fare, invece, è mettere al microscopio noi stessi per vedere più da vicino che forma e consistenza ci abbiano dato le nostre personali esperienze.

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