Tales of the City, approdato su Netflix il 7 giugno 2019, parla di famiglia e di accettazione, di connessioni e di perdite. L’uguaglianza ha un costo e sopratutto una storia.
Lo show riporta in vita la miniserie british del 1993 (ispirata alla raccolta omonima di Armistead Maupin), che ottenne in patria un successo clamoroso. Fu però censurata a livelli a dir poco comici negli Stati Uniti, dove molte organizzazioni religiose protestarono per i temi a loro detta controversi. In questa nuova veste, la creator Lauren Morelli (Orange Is the New Black) e il produttore esecutivo Alan Poul (Six Feet Under) hanno rianimato lo spirito dell’originale Tales of The City nel celebrare la cultura queer.
Durante la narrazione di tre generazioni di persone LGBTQ+, Tales of the City conferma come i nostri bisogni umani rimangano sempre gli stessi: connessione umana, famiglia, appartenenza.
Tales of the City inizia con l’energica (o meglio nevrotica) protagonista Mary Ann Singleton (Laura Linney) che arriva nella villa Barbary Lane dal freddo Connecticut. L’occasione per il suo ritorno è il novantesimo compleanno della padrona di casa Anna Madrigal (Olympia Dukakis). Questa saggia e misteriosa donna è da decenni un punto di riferimento per la comunità della zona. Una volta lì, viene accolta da amici vecchi e nuovi, tra cui il migliore amico Michael Tolliver (Murray Bartlett), l’ex marito Brian (Paul Gross) tutt’altro che felice di vederla, e la figlia Shawna (Ellen Page).
Apprendiamo così che Mary Ann ha abbandonato da tempo Brian e Shawna per seguire la carriera.
Quest’ultima, durante un dialogo, la critica pesantemente ma nel farlo dice “mi hai dato alla luce”, facendo intuire a Mary Ann che Shawna la crede sua madre biologica. La cosa più scioccante di questo aspro rimprovero per Mary Ann è che Brian e gli altri suoi amici non le hanno mai detto che è stata adottata. La sua fissazione su questo fatto e il rifiuto di riconoscere il suo ruolo nell’effettivo abbandono di Shawna saranno uno stallo da superare. Forniscono inoltre l’arco narrativo centrale della stagione, che si rivela abbastanza complicata poiché costituita da altri elementi. Nel frattempo, Anna Madrigal riceve lettere criptiche e minacce che alterano il suo stato di salute, e proprio Mary Ann e Shawna devono lavorare insieme per risolvere il mistero, unite dall’amore che le lega alla matrona.
Tuttavia c’è molto di più in Tales of the City: forse troppo, ma nel complesso integrato bene. Michael e il suo toy-boy Ben (Charlie Barnett) si confrontano su temi come AIDS, ritorni di fiamma e differenze d’età. I gemelli di Barbary Lane (Ashley Park e Christopher Larkin) offrono uno spaccato quasi dissacrante dei millennials. Ma la coppia forse più interessante nelle problematiche di coppia sono Jake (Garcia) e Margot (May Hong). Inizialmente la loro relazione era composta di due ragazze omosessuali. A seguito della transizione di Jack però Margot si sente disorientata. Ridimensiona i suoi bisogni e desideri in favore del compagno, per non turbarlo nel suo percorso. Questo crea le prime crepe nella coppia, che farà i conti anche con nuovi interrogativi identitari e di orientamento.
Ogni personaggio di Tales of the City che gravita attorno alla villa Barbary Lane si interroga su un aspetto diverso del tema dell’identità.
Offrire in sole dieci puntate una rappresentazione completa della cultura LGBTQ+ non è un compito facile, ma a nostro parere in Tales of the City è stato fatto un ottimo lavoro. Questo anche perché offre un contesto ambientale cruciale come la città di San Francisco, dove i riferimenti storici abbondano.
Non mancano anche scene in cui la comunità sembra avere opinioni diverse che portano allo scontro, come quando Ben viene schernito durante una cena. Il ragazzo, sensibile a termini volgari, chiede agli altri commensali di non usare un linguaggio denigrante. Per tutta risposta, gli uomini più anziani difendono il loro diritto di pronunciare insulti transgender perché sopravvissuti alle lotte civili e all’AIDS, probabilmente come un tentativo di esorcizzare i dolorosi ricordi. Ma Ben, che è l’unico a godere dei diritti senza aver mai lottato attivamente, cede terreno solo perché ferito dall’indifferenza del proprio compagno.
Con la sua inclusività e la calorosa atmosfera familiare, Tales of the City potrebbe essere la serie giusta da guardare se si vogliono approfondire temi LGBTQ+, ambito che Netflix sta esplorando sempre più spesso.