ATTENZIONE! L’articolo potrebbe contenere SPOILERS della serie Teacup.
Spesso si ha l’errata convinzione che creare una storia horror sia una questione abbastanza semplice. Basta prendere un mostro dai tratti terrificanti, magari un serial killer, una bionda di turno, un gruppo di adolescenti o una famigliola falsamente felice se proprio si vuole esagerare. Voilà, il gioco è fatto. Sfortunatamente non funziona esattamente in questo modo e il genere horror avrà senza dubbio alcuni temi particolarmente cari, ma di certo non rappresentano di per sé motivo di successo.
Negli anni ’50 e ’60, la televisione si avvicinò all’horror attraverso programmi come Alfred Hitchcock Presents e The Twilight Zone, in particolare, che si distinse per la sua capacità di esplorare temi sociali e psicologici attraverso lenti fantastiche e perturbanti. Negli anni ’70, serie come Kolchak: The Night Stalker portarono avanti l’idea di un horror più diretto e meno episodico. Il protagonista, un giornalista investigativo, affrontava creature soprannaturali e storie inquietanti, aprendo la strada a un nuovo modo di raccontare l’orrore. Gli anni ’80 videro l’avvento di serie che combinavano horror e commedia, come Tales from the Crypt (di cui è stato di recente realizzato un reboot), basata sui fumetti della EC Comics. Questo show divenne un cult grazie alla sua miscela di gore, umorismo nero e storie autonome, ospitate dall’iconico Guardiano della Cripta.
Con l’arrivo degli anni ’90, l’horror televisivo iniziò a diversificarsi ulteriormente.
The X-Files rappresentò una svolta epocale: mescolando horror, fantascienza e thriller, la serie seguiva le indagini di due agenti dell’FBI su fenomeni inspiegabili. Parallelamente, serie come Buffy l’ammazzavampiri riuscirono a coniugare elementi horror con il dramma adolescenziale e il fantasy. Creata da Joss Whedon, Buffy esplorava temi complessi come la crescita personale, l’amore e la perdita, tutto ambientato in un contesto popolato da vampiri, demoni e altre creature oscure. Gli anni 2000 segnarono un vero e proprio boom per le serie tv horror, grazie anche all’aumento della qualità delle produzioni televisive. American Horror Story (qui trovate 5 suoi precursori) e Supernatural sono solo due dei casi più iconici prima dell’avvento delle piattaforme streaming.
Grazie proprio a queste ultime, il genere horror ha trovato nuove modalità di espressione e tra queste proprio Teacup.
Liberamente ispirata al romanzo “Stinger” di Robert McCammon e prodotto da James Wan (tra i mille altri nomi), Teacup è uno di quei casi televisivi molto comuni in cui il marketing gioca un ruolo fondamentale, più della serie tv stessa. Tra le affermazioni di Stephen King (ecco altre 9 serie tv consigliare dal re) e, appunto, la presenza di Wan tra i produttori, è facile intuire l’hype creatosi attorno a un prodotto da cui ci si aspettavano grandi cose. Forse troppe.
Il primo episodio ha inizio in un bosco. Una donna, ferita e legata, sta scappando da un cane. L’orrore più grande, però, sembra provenire da dentro di lei. Tutto a un tratto, infatti, come preda di una possessione, inizia a mormorare delle parole incomprensibili. Stacco. Il primissimo elemento positivo è già evidente: il prologo della serie tv ci introduce al potenziale pericolo, lasciandoci desiderosi di saperne di più. Benissimo, proseguiamo.
L’inquadratura aerea si concentra su un complesso di case di campagna, portandoci nella vita apparentemente tranquilla e serena di Maggie e suo figlio Arlo.
I due hanno appena intrappolato una vespa con una tazzina, un chiaro foreshadowing di cosa accadrà nel corso della narrazione. Uscita di casa per liberare la vespa, Maggie incrocia James, suo marito, con cui sembra esserci una qualche incomprensione. James l’avverte che gli animali sono agitati e, come d’altronde si accorge lei stessa, qualcosa li sta effettivamente mettendo in allarme. Tornata in casa non si accorge che, nel frattempo, Arlo si è inoltrato nel bosco vicino, in cerca della capretta Ginger, scappata dal recinto. Anche qui, ci troviamo davanti un’introduzione che segue pedissequamente delle regole non scritte. Abbiamo la famigliola americana, la tensione coniugale, il figlio piccolo che immancabilmente fa qualcosa di stupido che metterà a rischio tutti quanti.
Nessuno si accorge della scomparsa di Arlo fino a sera, quando Maggie va a chiamarlo in camera per la cena. James è convinto che si sia nascosto, mentre Maggie attiva i suoi sensi di madre dell’anno e vuole andare a cercarlo. Prima di poter fare alcunché, però, i vicini irrompono con tanto di cavallo da far curare al seguito. Qualcosa di strano sta decisamente colpendo gli animali, spingendoli a farsi del male. Nel bosco, Arlo incappa nella donna misteriosa del prologo che, dopo averlo buttato a terra, sembra trasmettergli qualcosa attraverso gli occhi.
Di ritorno alla fattoria e coperto di graffi, Arlo mormora ripetutamente una strana litania che terrorizza Maggie e gli altri. Il primo episodio potrebbe anche chiudersi qui, ma c’è un cliffhanger ad aspettarci dietro l’angolo. Ai margini della fattoria, un uomo misterioso con indossa una maschera antigas, accosta ai margini della strada e spruzza una linea con la vernice blu.
Le premesse del primo episodio di Teacup mantengono altro l’hype creatosi attorno alla serie, ben prima della sua messa in onda.
La seconda puntata non è certo da meno, tra rimandi a La Cosa di John Carpenter (disponibile sul catalogo Prime Video qui) e L‘Acchiappasogni di Stephen King. Il pericolo esiste ed è reale, qualcosa di alieno ha preso di mira queste famiglie intrappolandole all’interno di una cupola invisibile dalla forma simile a una tazzina. Omen nomen. Chi supera la linea blu si trasforma in un ammasso contorto di sangue, ossa e carne. Ma perché? Chi è il misterioso sconosciuto che sembra conoscere la natura della minaccia? A chi appartiene la voce che parla nella testa del piccolo Arlo?
Da qui in poi la narrazione si fa serrata. I Chenoweths e gli Shanleys sono totalmente tagliati fuori, senza elettricità e con i cellulari e le radio fuori uso, incapaci di dare un senso a ciò che sta accadendo loro. Nell’arco di una notte, i protagonisti sono costretti, loro malgrado, a unire le forze e mettere da parte tensioni e incomprensioni per poter sopravvivere. I primi cinque episodi si concentrano, dunque, più sulle ripercussioni degli eventi sulla psiche dei personaggi che sugli eventi stessi. L’horror serve, ancora una volta, da tramite per dare voce agli orrori interiori dell’essere umano, soprattutto quando viene messo alle strette. Dopo il quinto episodio, “I’m Witness to the Sickness”, che spiega le origini della minaccia e si prende molto tempo per farlo (circa un’ora di minutaggio), Teacup mostra segni di stanchezza.
L’angoscia legata al mistero si interrompe troppo in fretta, scivolando dall’horror al sci-fi senza soluzione di continuità.
Gli ultimi episodi mancano così di mordente, perdendo l’attenzione dello spettatore che, invece, era rimasto affascinato da Teacup proprio per via di quella misteriosa minaccia senza nome. Ci sono tanti ottimi spunti e ancor più ottimi rimandi a piccole perle del genere. Non solo La Cosa, ma anche Under The Dome o Annihilation. Tutte opere il cui grande pregio è stato quello di combinare due generi molto diversi tra loro, horror e sci-fi, all’interno di una storia che riprende il meglio di entrambe. L’inquietudine e il maligno trovano un corrispettivo nell’altro-alieno. Teacup fallisce, almeno in parte, proprio perché non riesce a prendere una direzione che coniughi i due generi, finendo per trattare poco dell’uno e dell’altro.