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Ma che ci fa un pezzo di Celentano in una puntata di Ted Lasso?

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul terzo episodio della terza stagione di Ted Lasso

Calcio d’inizio, palla a Zava. All’esordio. Il tiro, da centrocampo. Gol. Lo stupore. Il boato. Il Messia, sceso in campo per portare il Richmond verso vette finora inesplorate, allarga le braccia e accoglie i pellegrini neopromossi sulla via della rivoluzione. Una volta, due, dieci: Zava segna sempre, una partita dopo l’altra. Segna in ogni modo, trasforma l’acqua in vino, rende possibile l’impossibile. Danza sull’erba con movenze sinuose che si combinano con la concretezza armonica di un karateka. Pare Gesù, pare Daniel San. Pare Jon Dahl Tomasson, quando frega il gol al povero Tartt. Pare Ibrahimovic, in uno spudorato omaggio che assume i contorni della parodia.

Intanto un ritmo incalzante irrompe in sottofondo: un ritmo familiare che cresce dentro di noi e ruba la scena al prodigioso fenomeno, andando oltre il rettangolo verde del campo da gioco. Negli spogliatoi, nell’intimità dei protagonisti di una storia ancora da scrivere fino in fondo. Un ritmo atavico, dalle sonorità contemporanee. La voce di una vecchia gloria della musica italiana, le parole impronunciabili. Le parole incomprensibili, inesistenti. Fino a una parola, lunghissima, apparentemente inspiegabile: Prisencolinensinainciusol.

Ma che vuol dire? E che ci fa Adriano Celentano in una puntata di Ted Lasso, la terza della terza stagione? Perché utilizzarlo in uno spazio tanto importante, all’interno di uno splendido montaggio che si protrae per l’intera durata del brano?

Sembrerebbe complesso dare una risposta a domande del genere, visto che il testo non permette di sostenere il senso narrativo della scena. Ma una spiegazione, in realtà, potrebbe esserci. Perché la traduzione del misterioso brano, offerta a più riprese dal Molleggiato nel corso degli anni, sembra abbinarsi perfettamente al racconto di Ted Lasso in quello specifico momento. E valorizzerebbe ancora di più una scena di per sé perfetta, al di là dei sottotesti.

Prima di avventurarci nella spiegazione, partiamo da alcuni dati preliminari su Prisencolinensinainciusol. Il brano, scritto e interpretato da Adriano Celentano nel 1972, è una provocazione: il testo è sviluppato in una lingua che non esiste, uno slang al confine tra l’inglese maccheronico e una combinazione di fonemi che sembrano esprimersi con l’intento esclusivo di fondersi col ritmo della musica, in un mix quasi associabile a un rap ante litteram. Prisencolinensinainciusol è all’apparenza, in sostanza, priva d’ogni senso. E si incastra perfettamente – rappresentandone per molti versi la punta di diamante – nella fase creativa allora vissuta da un artista nato per sovvertire regole e convenzioni fin fuori dai confini del nostro Paese. Capace di avere una forza espressiva e un carisma pressoché ineguagliabili, sublimati in un brano dall’indubbio fascino. Ma è davvero così? Prisencolinensinainciusol è solo un gioco? Una presa per i fondelli? L’ennesima genialata di uno straordinario comunicatore che sa prescindere dal senso delle parole? Beh, sì. Ma non è solo questo. Perché, come si diceva, il brano, in realtà, ha un significato specifico.

Secondo Celentano, infatti, il titolo si può tradurre con l’espressione “amore universale”: la sua creazione si pone l’obiettivo di evidenziare l’incomunicabilità che caratterizzava il mondo in cui stava vivendo. Niente di più attuale, nel paradosso di un tempo in cui sono cresciuti esponenzialmente i mezzi per comunicare e non riusciamo più, però, a esprimerci sul serio con la necessaria efficacia. In ogni campo, e ancora di più in amore. Un amore che accoglie ognuno di noi e che spesso non siamo più capaci di esternare con naturalezza. Un concetto a suo modo fantastico, nella sua essenzialità.

Ma ancora non si risponde alla prima domanda, la più importante: che diavolo ci fa Celentano in una puntata di Ted Lasso?

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Un’innocente interpretazione potrebbe legare il destino dell’artista a quello di Ibrahimovic: il personaggio di Zava, protagonista principale della scena, è chiaramente ispirato allo svedese, mentre lo svedese è stato spesso associato, specie nel corso della sua giovane carriera televisiva, proprio al Molleggiato. Ma è un’interpretazione che avrebbe senso se Ted Lasso fosse una produzione italiana, e Ted Lasso italiana non è. Allora dobbiamo andare più a fondo, ma non troppo. Perché è il montaggio stesso a dare tutte le risposte che stiamo cercando: nel corso della scena, infatti, non ammiriamo solo le prodezze di Zava, ma anche una serie di immagini frammentate che sembrano disconnesse tra loro. Sembrano, perché disconnesse non lo sono affatto. Si uniscono, al contrario, attraverso un filo conduttore: l’amore, spezzato. Un amore in cui regna – e qui arriviamo al punto – l’incomunicabilità.

L’amore spezzato porta Ted Lasso si ritrova a cercare maniacalmente delle informazioni sul nuovo compagno dell’ex moglie, uno psicologo che era stato assunto per mediare tra loro e riportare il sereno dopo il temporale: un terapista di coppia, entrato nelle loro vite per restituire un canale di comunicazione mai davvero ritrovato. L’amore spezzato tra Roy e Keeley, incapaci di scambiarsi una parola mentre incrociano gli sguardi in un imbarazzante incontro casuale. Che si palesa negli occhi di una Rebecca che osserva perplessa una scatola di fiammiferi dal forte valore simbolico, pensa a Sam e non trova le parole giuste per dirglielo una volta per tutte. Parole che invece trova, in un tenero messaggio, Colin Hughes, legatissimo al suo nuovo compagno ma ostaggio di un microcosmo machista che non sa contemplare l’idea che l’omosessualità possa essere parte di sé. Un microcosmo in cui il silenzio alberga e che Ted Lasso sta intelligentemente disvelando, attraverso una sottotrama in cui le parole non dette, quelle che “tutti sanno” e vengono espresse da Leonard Cohen nel brano che chiude l’episodio, sembrano esser destinate a venire finalmente alla luce. Parole che potrebbero ridefinire persino quel grandissimo infame di Nate, malinconico nell’osservare la rapida ascesa di un club, il Richmond, che sembra non aver smesso di amare e sente ancora suo.

Un amore spezzato, ancora una volta. Un amore minato dall’incomunicabilità. Che parla una lingua tutta sua, spesso smarrita però all’interno di una traduzione distorta dalle incertezze. Dalle fatali esitazioni, dalle fragilità di un cuore che non sa rivolgersi al cuore della persona amata. Amore, amore universale. Un amore che esplode, in una lingua compresa da tutti, nei confronti di Zava. L’amore per il calcio, quello vero che fa di uno sport una grande forma d’arte sociale, condivisa e abbracciata da miliardi di persone, divampa in un boato. Dopo un gol, tra le righe di un miracolo che unisce quel che è terreno da quel che non lo è, fino a convertire tutti al culto di una divinità nazionalpopolare. Un amore, questo sì, che non ha bisogno di parole, si muove a un ritmo incalzante mentre calciamo il medesimo pallone e gioiamo con la medesima intensità.

Un barlume di luce, nell’oscurità di una frase non detta. Di un gesto non compiuto. Di un atto di coraggio al di là dei nostri confini, in grado di farci esprimerci sul serio. Fino in fondo. Oltre Zava, oltre i versi insensati di Celentano. Dentro Ted Lasso, dentro di noi. Per ritrovarsi tra i versi di una canzone che un senso ce l’ha, anche se non sappiamo se è lo stesso che gli autori hanno deciso di dargli. Ma ci piace pensare che sia andata proprio così. Prima di far ripartire Prisencolinensinainciusol per l’ennesima volta e non tenerci più dentro due parole fondamentali, nella nostra personalissima serie tv. Due parole molto più semplici, molto più comprensibili. Meravigliosamente infantili. Splendidamente umane: ti amo.

Crediamoci.

Believe.

Antonio Casu

Ted Lasso 3×03 – La recensione del terzo episodio della terza stagione