Tehran è un serie televisiva israeliana di spionaggio, produzione del canale pubblico Kan 11 che, durante il 2020, ha tenuto incollato allo schermo tutto il Paese. Da fine settembre, grazie alla lungimirante neonata Apple Tv+ – che ne ha acquistato i diritti – è sbarcata anche nel resto del mondo, con le sue due stagioni di 8 puntate ciascuna. Segue la scia di altre produzioni di origine israeliana, come Prisoners of War, da cui è stato poi tratto Homeland e il pluripremiato Fauda. Con quest’ultima serie tv, targata in questo caso Netflix condivide – oltre allo sceneggiatore Moshe Zonder – il tema della missione in territori nemici e, in parte, anche lo scontro tra culture.
Teheran è una serie mozzafiato, sorprendente, intrigante, coinvolgente, quasi militante. E molto attuale poiché evoca le relazioni tra Israele e Iran, due paesi dai rapporti burrascosi. La protagonista della serie spy è Tamar, hacker del Mossad che, infiltrata a Teheran sotto falsa identità, deve neutralizzare un reattore nucleare. Mancato l’obiettivo, la donna si ritrova bloccata in Iran. Da lì si ritrova a organizzare un’operazione più che pericolosa che potrebbe avere conseguenze sui suoi parenti. Tamar è interpretata in modo eccellente dall’attrice israeliana Niv Sultan, purtroppo poco conosciuta al di fuori del suo paese, ma che dovrebbe vedere crescere decisamente la sua notorietà. Non corriamo però troppo, e iniziamo col declinare la storia di Teheran.
Teheran: quando la qualità conta più della quantità
Tehran è l’ennesima conferma che la strategia perseguita da Apple Tv+ sia vincente. Ad ora, puntare alla qualità e non alla quantità ha portato tanto successo alla piattaforma streaming della casa con la mela morsicata e vedere che anche un’acquisizione esterna al proprio catalogo sia di buon livello non fa che dimostrare l’efficacia del loro modello contenutistico. Se già la prima stagione aveva posto delle ottime basi per la costruzione di una storia originale e carica di adrenalina, dove il conflitto tra il Mossad e il controspionaggio iraniano era il perno centrale dello sviluppo della trama, con la nuova stagione, lo scontro tra le due fazioni si fa più complesso e delicato, violento e problematico. Al tempo stesso, la qualità non ne risente, anzi, aumenta. Non c’è da stupirsi dunque che la Serie Tv sia un successo di pubblico e di critica (ha infatti vinto un Emmy come miglior serie drammatica internazionale).
Tehran risulta una unicità incredibile su tutti i punti di vista nell’immenso mondo seriale contemporaneo. La scrittura è sorprendente perché costruisce eventi, situazioni e incastri spionistici perfettamente legati l’uno con l’altro, dimostrando un lavoro di ricerca ai massimi livelli. La regia è dinamica e si appoggia ai personaggi senza rivelarsi artificiosa, senza esagerare con le scene pulp, ma senza nemmeno strizzare l’occhio a produzioni d’azione che di azione pura non hanno nulla. Vera punta di diamante è il cast. Tutti gli attori sono in sinergia tra loro. Ciliegina sulla torta è Glenn Close, un’attrice talentuosa che è stata sfruttata appieno, senza prevaricare gli altri membri del cast, ma rendendo la donna una spalla perfetta e un colosso di bravura. Nel complesso Teheran è un’opera vera e propria. Una produzione che, grazie a basi tecniche e qualitative eccellenti, riesce in ogni puntata a sorprendere lo spettatore e reinventarsi, tendendo alla perfezione e guardando ad un futuro ancora più radioso per la sua terza probabile stagione.
Un viaggio nel moderno Medio Oriente
Per concludere, possiamo dunque dire che la serie tv prodotta dalla casa di Cubertino è ricca di tensione, molto suggestiva e capace di offrire intelligenti spunti di riflessione, soprattutto culturali. Si tratta di una scelta totalmente vincente da parte di Apple Tv+. È una spy story avvincente che dipinge con pennellate pesanti e in altri casi delicate il disegno di un paese e della sua gente troppo spesso rappresentati secondo stereotipi caricaturali che tendono quasi, per certi versi, al razzismo. In Teheran non conta dunque la storia, che di per sé potrebbe non essere aderente alle dinamiche di spionaggio moderno, ma quello che ci viene raccontato. In un mondo reale infatti, Tamar sarebbe difficilmente presa come modello. Anzi, Teheran potrebbe quasi essere impiegato come un manuale degli errori in un corso per neo-spie.
Una missione come quella rappresentata, oggi come oggi, sarebbe tutta condotta in remoto, cioè senza il bisogno di persone fisiche. Senza nessun bisogno di inviare agenti sul campo. Per non parlare del fatto che la regola più importante del manuale di spia, cioè mai reclutare israeliani che vivono in Paesi stranieri, viene infranta quasi subito. Non è un caso però tutto ciò. Teheran è infatti un thriller solo nella forma. Quello che mette in scena la serie tv è un viaggio di recupero e di esplorazione, dei protagonisti della produzione e degli spettatori seduti sul divano. Ci sono i parenti ritrovati che raccontano la forza delle radici, c’è l’amore che porterà a costruire nuovi legami fino alla crisi di identità. E poi, come è ovvio, c’è il senso del dovere per la patria adottiva, in questo caso Israele. Insomma, una immersione completa nel Medio Oriente, nella sua cultura e nelle sue contraddizioni.