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Molto più bizzarra, molto più inquietante: la scommessa vinta di The 8 Show, la diversissima erede di Squid Game

the 8 show
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Nessuno di noi si sarebbe mai aspettato di poter vivere un’esperienza allucinante dai tratti fantasmagorici, non appena si è comodamente seduto sul divano di casa, è entrato su Netflix e si è trovato un nuovo k-drama tra le prime proposte. The 8 Show è penetrata nelle vite di fan del genere e non, sconvolgendo le aspettative e lanciando spunti di riflessione come se piovesse. Questo è inevitabile considerata le svariate componenti psicosociologiche, culturali, filosofiche e di genere.

Detto questo, la compagine di coloro che sono finiti per scegliere The 8 Show tra le innumerevoli altri input, è innegabilmente stata ispirata dall’antenata Squid Game. E il paragone risulta implicito se consideriamo in superficie la trama, incentrata sulla costante del gioco compromettente per vincere laute somme di denaro e alcune categorie umane dei partecipanti. Si tratta infatti di persone che inevitabilmente hanno bisogno di grandi somme perché indebitate, di umili origini o cadute in rovina.

Tuttavia colossali sembrano le differenze tra i due estrosi prodotti sud coreani

Partiamo dal fatto che anche il genere di appartenenza delle due serie risulta simile ma molto diverso nel profondo. The 8 Show rimarca una componente decisamente comedy in prima battuta che in un secondo momento non perde tempo a tingersi di nero. Questo è il colore anche dell’ombra di cui si nutre il grottesco e il tetro.

Elementi che vengono fuori nell’istante in cui il ritmo cambia per dare spazio a tutte quelle dinamiche che si sono subito impresse nelle nostre menti e ci hanno sconcertato non poco. Veniamo infatti trasportati da un ambiente esterno in 4:3 privo di colori saturati e filtrato da una lut anni 50, verso un mondo accessibile al di là di un sipario che ricorda una Narnia (qui un nostro articolo) digitale e antropica. Dove i colori pastello rilassano le pupille e presagiscono la crisi claustrofobica che insorgerà a breve tra giocatori e spettatori.

Gli 8 concorrenti sulle scale del game The 8 Show (640x360)
Gli 8 concorrenti sulle scale del game

In The 8 Show esigue sono le regole che di semplice hanno poco

Basti pensare infatti ai rocambolesco calcoli matematici da sostenere per capire la divisione dei montepremi degli 8 piani. L’incessante legame tra tempo accumulato e ricchezza di ognuno, i conseguenti espedienti su come far aumentare questo tempo e infine cercare di sopravvivere. Ebbene sì, gli “amici calamari“, nonostante non ne sapessero nulla in principio, scopriranno presto che non superando ognuna delle sei prove non sarebbero passati a quella successiva in senso letterale. Qui invece l’obiettivo più importante è restare in vita fino alla fine per poter poi portare a casa il montepremi vinto.

Ed è attraverso il desiderio di ricchezza che scopriamo lentamente i connotati dei nostri personaggi. Dai quali non può emergere nessun protagonista, ma solo dei caposquadra cangianti da un episodio all’altro. Si parte infatti con un martellante ma disteso voice over di colui che poi diventerà Piano 3, del quale emergeranno i soliloqui e gli spasmodici flussi di coscienza. Di tanto in tanto però l’attenzione si sposta su ognuno questi 8 individui che sembrano uscire da un anime. I quali possiedono quindi poco altro che una forte carica stereotipata.

Annoveriamo infatti Piano 1 come il clown triste e affabile

Questi per potersi permettere le cure alla figlia, decide di farsi investire nella stessa sera in cui verrà reclutato per partecipare al gioco. Proseguiamo con Piano 2 che riveste il socialtipo della donna acerba e mascolina, esperta di arti marziali e dalla decisa integrità morale. Risulta poco sveglia in quei momenti in cui l’impulso iracondo prende il sopravvento e le buone maniere passano in secondo piano. Piano 3 è la nostra guida turistica dalle prime tappe, per poi farsi conoscere come il più frustrato nonché il leone codardo della compagnia. Questo non gli impedisce di coltivare dentro di sé una spiccata sensibilità e una strategica intelligenza per superare la vita lì dentro. Spiccando anche di magnanimità nei confronti degli altri giocatori.

Piano 4 è la prevedibile ragazzina entusiasta priva di una sua strutturata personalità. Tende a seguire infatti le regole scritte dal più forte del momento. Come è solita fare la famosa bandierina che si muove in base a dove soffia il vento. Solo che così facendo non si rende conto che può diventare la più pericolosa. Poiché è assodato che non bisogna mai fidarsi degli yes men o, i questo caso, women.

Piano 5 incarna le vesti di una donna rispettabile e raffinata nonché empatica

Tuttavia ci mostra tutta la sua fragilità e la poca abitudine a vivere situazioni stressanti e indigenti. A questo proposito anche lei si farà prendere dalla poca lucidità diventando inconsapevolmente avventata. Piano 6 non è altro che il bullo della scuola o meglio, l’attaccabrighe che non aspetta altro di fare a pugni e lanciare sedie dopo aver alzato il gomito al bar.

Nello specifico sa essere burbero e efferato quando il suo orgoglio viene provocato e il suo machismo compromesso. E questo lo vediamo in particolare rispetto all’abilità da lottatrice di Piano 2. Di quest’ultima così come di tutti gli altri non è infatti definito il possibile orientamento sessuale, come nessun altro aspetto psico-culturale. Tuttavia si percepisce un accanimento di Piano 6 nei suoi confronti per non avere i tratti estetici e caratteriali della donna tradizionale. Quindi perché non provocarle svariate contusioni ogni volta che si crea l’occasione? Beh, qui è il patriarcato aq rispondere con un silenzio assenso!

Continuando con la kermesse di The 8 Show un posto in alto lo conquista Piano 7

Questi non a caso eccelle in termini di ragionamento matematico e diventa dunque un guru sulle dinamiche intrinseche del gioco che a nessuno di loro vengono spiegate. Ricoprirà il ruolo di mentore e motivatore, ma anche stratega e traditore, il tutto per un fine apprezzabile. Nei limite in cui si possa parlare in questi casi di bontà e altruismo.

Infine, su un piedistallo autocostruito e del tutto incontrollato se non pazzoide, troviamo Piano 8. Quest’ultima non è altro che la classica ragazza più popolare della scuola tale da fare comunella necessariamente con un Piano 6 qualsiasi. È frivola, svampita, egoista, mitomane, incredibilmente sadica e abile a mascherare un’intelligenza emotiva più che contorta e distruttiva. Diventerà lei alla luce di tutto il finto reality la principale game master. Quella che da lì non sarebbe mai uscita, visto il declassamento della sua vita da artista e gli enormi vuoti interiori colmati soltanto da averi e apparenza.

Sembra evidente come la sorte abbia fatto scegliere ad ognuno di loro l’esatto piano in cui nella vita reale vivevano già. In Squid Game (qui ne parliamo), il numero dei partecipante era di gran lunga superiore, tanto da creare un fenomeno di massa, sia dentro che fuori lo schermo. In questa circostanza però la caratterizzazione di pochi personaggi, che in questo specifico caso possono chiamarsi protagonisti, emergeva in maniera più concreta e studiata.

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Piano 8 guarda il suo montepremi

In The 8 Show invece parliamo appunto di piani e non di nomi

Perché l’importante è portare avanti la denuncia di un social background in cui chi sta ai piani bassi di un condominio rientra già in una fascia sociale del tutto distante da chi è più in alto. Se sei povero resti fermo nella tua casta. E anche se ti fanno credere che fare la scalata sia possibile, arrivi poi nell’ultimo episodio della tua vita dove non solo non basta un miliardo di won per acquistare un posto in un piano più alto, ma talvolta non riesci neanche ad uscire vivo dal tuo stesso condominio.

Siamo di fronte ad una dimensione delicata e fortemente drammatica. E seppur non manchino assolutamente i picchi tragici in Squid Game, qui rasentiamo la disperazione più viscerale e l’impotenza più autoimmune da sopportare per una vita intera. Non c’è nessun Front Man a tenere le redini e un po’ per uno qui, i più disgraziati e i più intraprendenti per lo più, lo diventano in un modo o nell’altro. Dove però ad essere marcata resta sempre la diatriba violenta e mai diplomatica tra la fazione dei piani alti contro quella dei pini bassi.

Tuttavia appare logicamente realistico il rimescolarsi delle carte

L’avvento stucchevole della guerra tra poveri, di tutte quelle reazioni fratricide che delineano i tratti bestiali di ognuno di noi circoscritto ad agire e sopravvivere in condizioni disumane. Non siamo di fronte a giochi per bambini horror, non incontriamo It Pagliaccio Assassino pronto far urlare piccoli e grandi. Qui l’unico clown purtroppo diventa la vittima. E seppur anche lui abbia peccato di infamia e ingordigia fino all’ultimo respiro, non è comunque riuscito ad averla vinta e coronare il nobile traguardo che agognava più di ogni cosa. In The 8 Show siamo di fronte alla perversione di alcuni che rendono gli altri marionette dei propri disturbi psichici non del tutto identificati. Che la principale game master risulti quindi Piano 8 è evidente. Così come la sua accezione da antagonista risulta stridere con l’estetica che la contraddistingue e che all’inizio inganna gli altri giocatori e chi guarda.

E metaforica, come ogni centimetro di trama di The 8 Show, risulta proprio la sua figura. La quale rappresenta i Paesi di tutto il mondo, ma in particolare quelli ancora in via di sviluppo come appunto la Corea del Sud. I quali sono governati da leader spesso incompetenti in materia politica, egoriferiti e proiettati verso i loro malsani interessi. La lente di ingrandimento nella serie punta sull’azione e sull’evoluzione umana nelle situazioni sgradevoli, di pericolo, di occlusione, sottomissione e sopravvivenza. Ma questa visione particolata si sposta anche nella sala del teatro dove si “esibiscono” i nostri 8. Di fatto è ormai noto come la meta-narratività dello show è forse il principale elemento che la distingue dai possibili prodotti simili e al panorama seriale in toto.

Non sono avidi magnati a voler godere e pilotare attivamente le vittime del gioco

Sono degli spettatori comuni e quindi noi stessi ad annoiarci durante i primi episodi e a far diminuire così il loro tempo-denaro. Ed è proprio questa la questione più pruriginosa e machiavellica. Secondo cui in un mondo regolato dai mass media, in cui tutti possiamo far parte di uno star system in ogni momento, siamo arrivati a spettacolarizzare il dolore, la violenza e il fallimento degli altri. Lo facciamo per sentirci migliori, per convincerci di avere di più dalla vita ed essere più accettati dalla società. Pronti a ricevere il nostro premio e la riconoscenza per aver brillato fino alla fine.

Questo fenomeno in Italia, giusto per fare un paragone storico a noi vicino, ha avuto inizio con la Televisione del dolore, o meglio del dol-orrore. Queste espressioni sono nate per quei peculiari fatti di cronaca nera che sono diventati dei veri e propri eventi mediali, se non i primi del nostro Paese. Basti pensare al tragico caso di Alfredino a cui è relativa la prima diretta televisiva italiana di ben 18 ore. Per proseguire poi con le spinose vicende di Denise Paparone, Sarah Scazzi, Yara e chi come loro ha avuto la stessa drammatica sorte priva di finale.

Si tratta di eventi che hanno invaso gli show televisivi e il web per molto tempo

Creando nello spettatore quel macabro e indicibile piacere nelle storie di dolore delle vittime. È infatti stato creato tanto hype dietro ogni loro storia da far nascere addirittura un tele-turismo nei luoghi di vita delle vittime. Tutto questo risponde ad un taciuto e comune desiderio voyueristico che si rifà a studi ed esperimenti sociologici e psicologici, nonché al fatidico concetto del Big Brother (qui ne parliamo), padre di reality e monografie del caso.

Tutto questo è rivoluzionario, geniale e disarmante. Se consideriamo tutto ciò che ci provoca nel profondo e che ci mostra in maniera velata ma puntuale e priva di mezze verità. Ecco perché la fotografia fatta di colori più tenui e la location molto minimale ma strategicamente strutturata, non ci danno un vasto respiro come in Squid Game che si rifà invece a tratti pop e brillanti. Questo perché già la componente narrativa crea dei contrasti così stridente e polisemici, che una soffusa atmosfera è funzionale a non rendere il flusso ancora più iperbolico.

Gli 8 concorrenti durante il talent show

Di contro il montaggio di The 8 Show risulta più ardito e mai scontato

Creando giochi di incastri, flasback tra reale e fittizio, visioni allucinatorie, slow motion e ipervelocità, tali da vincere ogni paragone. In termini di temporalità inoltre, un altro accorgimento non è immediato ma singolare. The 8 Show si articola in archi temporali scanditi da prove da superare o in cui morire prima di raggiungere l’obiettivo finale.

L’8 del titolo se posto in orizzontale diventa una sorta di simbolo dell’infinito. Volto ad ingigantire a questo proposito, l’idea di una loop carceraria che non permette mai ai giocatori di avere un riscatto economico e sociale. Facendoli apparire stolti già solo per essersi fatti persuadere da un SMS che in fin dei conti aveva già tutta l’aria di essere un debito truffaldino.

Questo status è dimostrato non a caso nel finale, quando Piano 3 crede di impazzire una volta uscito dal gioco con il denaro vinto. Non è sicuro di ciò che ha davvero vissuto lì dentro ed è vittima dei ricordi più falsi e lancinanti. Tutto si sposta su un piano sempre meno verosimile e più introspettivo. Tanto che oltre a recuperare la stanchezza fisica e il sonno perduto, non sa cosa altro fare se non pensare di togliersi la vita ancor prima di ottenere le risposte che cerca. Pertanto sarà il pensiero dell’ultima triste speranza del funerale di Piano 1 e il poter così rivedere immersi nel reale quotidiano gli altri concorrenti, ad infondergli quella lucidità volta a rimettergli la terra sotto ai piedi.

In The 8 Show non abbiamo inganni né rivelazioni matrioska alla Oh Il-nam

Tuttavia resta soltanto quel desiderio di rivedere i volti di coloro che in quello strano posto ormai lontano hanno avuto il coraggio di essere vittime e carnefici. E che di fronte al più tragico evento umano come la morte, si sono bagnati gli occhi di lacrime in egual misura. Alcuni per basilare commozione, altri per sofferenza, amarezza, consapevolezza o perversione. Tuttavia è in quel preciso istante si sono ricordati di essere vivi e umani.

Parlando invece del plot twist seguente al The End, ci rammenda come il colpo di scena a sorpresa è un amico dei k-drama. Dunque l’assenza fisica di Piano 7 alla veglia funebre di Piano 1 è stata logicamente voluta. Perché probabilmente era impegnato a scrivere proprio la sua sceneggiatura vincente intitolata non a caso The 8 Show. Dimostrando come gli ideatori di questo mirabolante prodotto si volessero prendere gioco di noi. Questo non è un caso visto che ognuno di noi sarà stato sicuramente sommerso da dubbi e domande riguardo alla possibilità che tutto ciò a cui aveva appena assistito fosse solo frutto della mente fantasiosa di Piano 7.

Solo alla battuta del suo ipotetico produttore tiriamo un sospiro di sollievo

E capiamo che ahimè, tutto sembra essere successo davvero e Piano 7 non ha fatto altro che metterlo nero su bianco. Curiosa sembra comunque la sua reazione sarcastica incorniciata quasi da una risata isterica, volta a deridere a tratti il finale di Squid Game. Secondo cui dopo la morte del vecchio ideatore del Gioco, il protagonista si imbatta in un altro uomo che stava per cadere in un adescamento simile al suo. Per poi ricevere addirittura una strana telefonata che non prometteva niente di buona se non un ritorno al passato.

Questo perché sicuramente l’obiettivo era spianare la strada per una possibile seconda stagione. Cosa che sol senno di poi risulta un po’ macchinosa visto che abbiamo dovuto aspettare anni per vedere l’alba di un sequel. Pertanto in The 8 Show il senso di sconfitta resta perenne ma un messaggio di resilienza nonché di umanità ci viene regalato in conclusione. Nel primo caso invece sembra quasi che il desiderio sia quello di far ripiombare lo spettatore in quel senso di angoscia e occlusione della prigione da cui i sopravvissuti erano riusciti a tirarsi fuori.

Questo maggior respiro che ci viene offerto è come se volesse demarcare un’altra differenza tra le due serie. Squid Game infatti sottolinea ogni volta che può il suo spirito asiatico e quindi Orientale. Mentre The 8 Show sembra già dimostrare, da alcune attitudini dei personaggi e iniziative narrative, che l’obiettivo sia espanderlo a delle influenze più universali.

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Una delle innumerevoli telecamere del game

In The 8 Show non parliamo di occidentalizzazione di un k-drama questo è chiaro

Poiché la tutela a preservare la cultura del luogo resta decisamente l’intenzione principale di chi produce questo genere show. Però non si può negare che poche cose ricordano in maniera puntuale la tradizione sud-coreana. Tanto che Piano 8 cerca in tutti i modi di sembrare una show girl americana piuttosto che un artista in rovina asiatica. Detto questo, se pensavamo di aver visto tutto in termini di competizioni e giochi mortali dopo i mirabolanti Hunger Games (qui un articolo per voi), Battle Royale e infine appunto Squid Game, siamo tutti d’accordo che The 8 Show si è rivelato d’effetto e impattante sotto i più disparati punti di vista.

Lodevole è il climax ascendente della narrazione, che ha portato chi non confidava all’inizio in un decisivo slancio della storia a doversi ricredere! Ad un certo punto infatti l’adrenalina ha preso il sopravvento alternata a coerenti momenti di down e di focus sull’intimità di alcuni dei personaggi più influenti. Tutto alla fine risulta scorrevole e inserito in una logica numerica che sfiora la perfezione. Questa parte infatti dalla scelta del titolo, passa per il numero dei concorrenti e degli episodi. Fino a coronare il messaggio che senza una spiccata velocità di calcolo unita ad un raro ingegno, non si può andare granché lontano.

Ognuno di loro infatti mette in atto un tipo di intelligenza personale…

…e ugualmente strumentalizzabile per raggiungere valide posizioni. E dopo due mesi e mezzo di detenzione ludica, risulta davvero forte la riflessione di Piano 3 su come il mondo non si sia accorto minimamente della loro assenza. Così come, nonostante fossero stati lontani dal proprio posto di lavoro, dalla famiglia, dai luoghi del tempo libero, gli altri abbiano continuato a vivere la loro indisturbati. Quanto può essere piccolo dunque l’essere umano se ci si ferma a pensare come dei meccanismi macroscopici ci designino l’esistenza presente e futura.

Nulla ci appartiene in fondo e nessuno è migliore di qualcun altro, proprio perché il destino alla fine sembra essere uguale per tutti anche se ci si arriva attraverso scelte o percorsi differenti. Siamo pedine in un mondo che è quello civile ed esaltato dalla società di diritto. Questa però non ha nulla a che fare spesso con ciò che davvero spetta ad ognuno di noi dal punto di vista pragmatico e obiettivo. È la sfera emozionale che ci confonde il più delle volte, in quanto ci fa provare sensazioni che non sapremo mai essere davvero corrispondenti al reale e consone alle situazioni vissute.

Se fossimo senza anima vivremmo consapevoli dello squallore che ci circonda

Quindi possiamo sostenere a gran voce che i sentimenti e le percezioni siano benedetti! Sono infatti la generosità, il senso di giustizia, la compassione e non per ultimo l’amore, mostrato attraverso un saluto, un sorriso e una parola di conforto, a farci vincere la vita. In questo caso nello specifico è qualche inchino e platonico gesto di affetto dispensato stoicamente da lontano, a rendere bellezza alla “caverna”. Come amava insegnare Platone infatti, solo coloro che spezzano le catene dell’ignoranza ed escono dalla caverna consapevoli di andare incontro alla paura e all’ignoto, sono i filosofi.

Questi infatti per l’antica Grecia rientravano nelle classe sociale più alta in quanto erano considerati semplicemente i migliori del popolo. Allo stesso modo i nostri 7 eroi, sulle spoglie del primo di loro che lo è stato sin dall’inizio, vanno incontro alla luce del sole. Tra gli applausi di coloro che sono stati in qualche modo smascherati e sconfitti mediante il buio della cecità. Sventura con cui convivevano già prima dell’inizio di quel delirante spettacolo.