Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su The Act
Un’esperienza a tratti agghiacciante, immagini che sprigionano disagio, un abisso di inquietudine in grado di inghiottirti. No, non si tratta fortunatamente di una brutta esperienza personale, ma di una suggestiva immersione in una delle serie più sorprendenti degli ultimi anni: The Act, (qui la nostra recensione The Act: la recensione della Serie Tv basata sull’omicidio di Dee Dee Blanchard), andata in onda su Hulu, la piattaforma streaming capace in poco tempo di alzare l’asticella della serialità televisiva con prodotti lodevoli come lo struggente Normal people, il verista Dopesick o il recentissimo The Dropout.
Le continue angherie che ci vengono sottoposte sono cazzotti ben assestati negli stomaci degli spettatori che, in equilibrio tra il timore di assistere a ciò che succederà e la curiosità voyeuristica di come l’evento si realizzerà, guardano inermi concretizzarsi il macabro scenario che conclude questo distillato di soli otto episodi. Quelle stesse sensazioni che parecchie trasposizioni cinematografiche e televisive sono in grado di trasmettere, basti pensare a cimenti turbolenti come I segreti di Twin Peaks o Mulholland drive di David Lynch, riescono a coinvolgere lo spettatore in una vorticosa altalena di angoscia e sopraffazione.
Attanagliante come The Terror, seppur catapultato in una cornice del tutto dissimile dal fantasy (The Act è incredibilmente ispirato a una storia vera ed è forse questo il motivo principale per cui ne patiamo sensibilmente le vicissitudini), la serie, con protagonista una superlativa Patricia Arquette (Boyhood; Al di là della vita, Medium), ruota attorno al curioso, drammatico e ossessivo rapporto tra una madre e una figlia, protagoniste di una famiglia disfunzionale al centro della cronaca nera americana nell’estate del 2015.
Questa dimensione familiare che rende l’esperienza tremendamente soffocante è uno dei motivi più significativi dell’accezione disturbante della serie tv.
II crimine: un omicidio, perpetrato in modo orrendo da Gypsy Blanchard, l’insospettabile sadica figlia famelica di vendetta e dal suo malleabile amante, il cui volto è quello del giovane attore canadese Calum Worthy (Un anno da leone; Pacific rim – la zona oscura)
Una dolce piccola ragazza con un’indigestione di film Disney che, nella sua vita particolare, ambisce a diventare una principessa alla ricerca del suo impavido cavaliere pronto a salvarla dalle grinfie di una madre che ne ha catturato anima e corpo, confinandola in una prigione brulicante di ninnoli e peluche.
Una comfort zone, ma solo di facciata, per un’eterna bambina pronta a trasformarsi in una donna fatta e compiuta in un galoppante climax di tensione perfettamente escogitato di puntata in puntata.
I sospetti dei medici sull’operato della madre, il naturale desiderio di emancipazione emotiva e principalmente sessuale della figlia, gli incontri clandestini nel bagno di un cinema, fino al definitivo compimento dell’atroce delitto.
Un mirabile crescendo che accompagna la micidiale metamorfosi della piccola Gypsy, interpretata da un’eccellente Joey King (Crazy, stupid, love; Wish I was here; The kissing booth) da innocua ragazzina ammanettata a una vita senza prospettive a machiavellica e spietata carnefice della propria genitrice. Un matricidio che trova le sue fondamenta negli innumerevoli soprusi di un’esistenza intera dominata da negazioni, coercizioni, frustrazioni e tanta, tanta rabbia repressa.
Sullo sfondo, il sempre pruriginoso tema della malattia mentale. Finemente argomentato anche in un’altra limited series di pregevole fattura, ovvero Sharp Objects (e il marchio HBO sappiamo quanto sia diventato negli anni ampia garanzia di successo e qualità), la patologia in questione è la Munchausen per procura.
Patricia Arquette veste i panni di una moderna Annie Wilkes incastrando, in un giro di frottole e scappatoie, vicini, amici, parenti, personale sanitario collezionando false malattie della figlia col solo scopo di guadagnarsi la pietà e le attenzioni della gente e, naturalmente, frodare l’assistenza sanitaria; una madre asfissiante capace di sacrificare la vita della “povera” Gipsy immergendola in una spirale di bugie, ricatti e sopraffazioni.
In The Act tutto è tormentoso e tormentato: il volto gonfio e imperfetto di Dee Dee Blanchard, i vestitini grotteschi di Gipsy e la sua voce spettrale e irritante, quasi a rimarcare il preludio del mostro che verrà, le cianfrusaglie accatastate che sovrastano le camere della casa, la sociopatia del giovane Nick sul quale ricadranno le accuse di omicidio.
The Act è un mirabile affresco di due donne forti e labili allo stesso tempo; due personalità per le quali provare contestualmente pena e livore, compassione e odio, empatia e fastidio.
La storia della relazione tossica tra madre e figlia della serie ti colpisce e lo fa in maniera chirurgica facendo breccia nei meandri reconditi delle nostre emotività.
Non è quel senso di privazione della nostra privacy che avvertiamo quando il prete di Fleabag si accorge di noi voltando il suo sguardo verso lo spettatore e la telecamera, non è nemmeno quel senso di impotenza e sopraffazione che proviamo per i poveri fratelli Roy, soggiogati dal padre-padrone nella pluripremiata serie capolavoro Succession, né tantomeno quella soffocante tensione che ci assale nel corso dell’infinito inseguimento finale della prima meravigliosa stagione di True Detective, ma un’angoscia motivata da un terribile delitto, per giunta realmente accaduto, figlio di una terrificante sindrome psichiatrica e di spietate vessazioni.
Ma del resto, il mondo delle emozioni è affascinante anche per questo: ce ne sono tante, ne proviamo di parecchie, ci defibrillano i sensi, scaturite da eterogenee situazioni, ma anche da identiche circostanze. E noi, masticatori seriali, di prodotti televisivi ne sappiamo qualcosa.
The Act è una miniserie autoconclusiva andata in onda nel 2019, creata dalle menti di Nick Antoscia e Michelle Dean (il primo ce lo ricordiamo anche per aver contribuito alla narrazione di alcuni episodi di Hannibal).
Nonostante la tematica non propriamente mainstream, anzi, decisamente coraggiosa e innovativa, The act ha ottenuto un validissimo riscontro, non soltanto tra gli esperti del settore psichiatrico, ma anche da parte del pubblico e dalla critica.
Anche in ottica premi la serie Hulu ha incassato nomination e statuette. Tra Satellite Awards, Screen Actor Guild Awards, Golden Globe ed Emmy Awards, The Act ha portato a casa ben dieci nomination e due vittorie, un Globe e un Emmy, entrambi per la superlativa performance di Patricia Arquette che ha, così, bissato, il successo dell’anno precedente, quando trionfò alla cerimonia dei Golden Globe vincendo il premio come miglior attrice in una miniserie per il lavoro svolto in Escape at Dannemora.