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The Alienist: la novità si nasconde nei dettagli

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Che ci fanno un alienista, un illustratore, una segretaria e un futuro presidente degli Stati Uniti nella vecchia nuova York?

Nel diciannovesimo secolo le persone affette da malattie mentali erano considerate alienate dalla loro vera natura, e gli esperti del settore chiamati alienisti. La Serie Tv si ispira all’omonimo libro scritto da Caleb Carr e pubblicato nel 1994. Il protagonista è lo psichiatra Laszlo Kreizler (Daniel Brühl) impegnato a dare la caccia al serial killer di giovani ragazzi, ritrovati squartati per le vie della città in abiti femminili. Fin qui sembra il classico racconto giallo: l’investigatore dall’intelligenza superiore alla media, gli aiutanti che sorvolano sulle sue stranezze e un crimine apparentemente irrisolvibile. Ma allora dove sta la novità in The Alienist?

The Alienist

Nel 1896 la scienza forense e la psichiatria sono branche della conoscenza che si stanno ancora formando. Il team procede per intuizioni, talvolta va a tentoni, ognuno indaga se stesso e le proprie debolezze per empatizzare con il killer e anticiparne le mosse successive.

“Il terrore del bambino è essenziale per l’assassino? […] Potrebbe fargli rivivere il ricordo di un trauma emotivo o fisico. Signorina Howard, come avete preso il suicidio di vostro padre? John si abbandona all’alcool, voi cosa fate?”

Kreizler afferma che devono smettere di pensare a come l’omicida abbia agito e iniziare a ragionare sul perché.

Qui capiamo che l’intento degli sceneggiatori non è tanto svelare l’identità del suddetto ma analizzare lo sviluppo di queste neonate scienze e dei suoi effetti nei membri del gruppo: ecco perché The Alienist ci ricorda molto Mindhunter.

Il cast notevole anima con passione personaggi ben costruiti, eppure si avvertono dei nodi irrisolti. Probabilmente verranno al pettine nel sequel annunciato The Angel of Darkness – L’angelo delle tenebre (clicca qui per saperne di più).

Tra i protagonisti spicca Sara Howard (Dakota Fanning), la prima donna a lavorare come segretaria per il dipartimento di polizia di New York. Il personaggio presenta un interessante quanto inedito (per l’epoca) bilanciamento fra apparente femminilità eterea e grande forza interiore. Di lei e di questo contrasto ci parlano soprattutto i dettagli: i vestiti lunghi e pesanti che è costretta a portare rappresentano l’ostacolo alla mobilità e all’indipendenza dettato dalla società patriarcale. L’insofferenza per i corsetti, l’uso della cravatta e il vizio del fumo, la voglia di emanciparsi. Gli abusi che Sara è costretta a subire come unica donna in un ambiente lavorativo intriso di machismo sono tristemente attuali: tuttavia la sua fierezza e determinazione avranno la meglio.

La New York dell’epoca è stata ricostruita nel set di Budapest quasi da zero, con un risultato molto realistico e accurato dal punto di vista storico.

Pensiamo al ponte Williamsburg, all’atmosfera da melting pot e anche alle discriminazioni sociali, razziali e di genere. Interessante anche la lotta alla corruzione della polizia da parte di Roosevelt, episodio realmente accaduto.

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Un altro esempio di grande cura per i dettagli lo osserviamo nel corso della seconda puntata, in lingua originale. La segretaria e l’illustratore John Moore (Luke Evans) si recano in casa Santorelli per ottenere informazioni sul defunto ragazzo. La famiglia interagisce in perfetto dialetto siciliano, non ciancica malamente qualche parola italiana a caso. Persino il giovane che fa da tramite, parlando in inglese, ha un accento credibile e non il solito maccheronico standard (e no, non siamo abituati a tanto riguardo).

In conclusione, noi di Hall of Series abbiamo apprezzato le attenzioni date ai particolari. Voi cosa ne pensate? Seguirete la seconda stagione?

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