Non ci sono storie. Da quando è approdato su Disney Plus nel nostro paese, il successo di The Bear, show FX accolto in patria con scroscianti applausi, continua esponenzialmente ad aumentare, toccando vette altissime. Una popolarità davvero meritata, ma anche inaspettata: la serie con protagonista Jeremy Allen White (il Lip Gallagher di Shameless) sembrava infatti tutt’altro che destinata a diventare mainstream. Con uno stile autoriale molto particolare e tematiche di spessore, The Bear è infatti sinonimo di sperimentalismo e di originalità, con un’impronta indipendente che l’ha resa diversa da qualsiasi altro prodotto visto di recente in televisione e in streaming. Apprezzata da pressoché chiunque per la sua sceneggiatura di vibrante realismo, i suoi dialoghi naturali e l’eccellente comparto tecnico-visivo, la serie tv disponibile su Disney Plus è il connubio perfetto di realtà contrastanti.
Attenzione, nell’articolo potreste trovare lievi spoiler sulla prima stagione di The Bear: siete avvisati.
A The Bear, infatti, piace giocare di incastri e di opposti, in un ossimorico amalgama capace di catturare l’attenzione del pubblico, che non può fare a meno di essere risucchiato nella cucina del The Original Beef of Chicagoland insieme ai personaggi nella storia, bloccati in vite strette ma con la mente rivolta verso grandi sogni. Ordine e caos, confusione e rigore: coppie antitetiche ugualmente indispensabili nella ricetta che The Bear scrive sapientemente. Un dualismo perfettamente rappresentato dal personaggio di Carmy Berzatto, dilaniato tra la ricerca di perfezionismo e le proprie umili origini, tra disciplina e il disastro in cui si ritrova a lavorare. Perché, nonostante un groviglio di ambienti ristretti e soffocanti, di dialoghi sovrapposti e una fotografia che illumina e al contempo “sporca“, gli autori della serie hanno le idee ben chiare e una storia lineare da raccontare, immediatamente chiara e con uno sviluppo preciso e ben studiato.
Se in un primo momento poteva ritrovarsi frastornato e spaesato di fronte ad atmosfere tanto asfissianti e oppositive, allo spettatore basta poco per ambientarsi tra le pile di piatti sporchi, il continuo via vai del locale e le voci sovrapposte dei dipendenti che affollano i suoi angusti corridoi. Le ambientazioni claustrofobiche in cui i personaggi si spostano riflettono perfettamente il caos in cui il locale versa: un chiasso che però non è più il familiare senso di comunanza che i dipendenti del locale ricordano con piacere in merito al passato, ma un senso di angoscia che rispecchia con straordinaria grazia il garbuglio di pensieri dei personaggi: da chi quella confusione vorrebbe farla sparire una volta per tutte a chi non è ancora disposto a lasciarla andare. Un caos che, col procedere della narrazione, diventa paradossalmente indispensabile e confortante e che, d’altra parte, rende i silenzi raccontati dalla serie ancora più potenti e pregni di significato.
Le grida e i dialoghi sovrapposti, urlati, violenti, pieni di slang, spontanei e naturali ci catapultano in una narrazione che a tratti pare un documentario e che si distacca dalla teatralità tipica di tanti prodotti televisivi per ricercare grande realismo e dinamicità. Una dinamicità restituita da inquadrature che seguono i gesti spontanei dei personaggi, le loro reazioni fisiche e i loro spostamenti, resi difficoltosi dall’angustia degli spazi e da una fotografia sui toni del giallo che “sporca” l’ambiente più degli avanzi e delle incrostazioni dei piani di lavoro.
Il vortice di voci, l’assembramento e il chiassoso via vai dei personaggi restituiscono tuttavia con chiarezza le storyline dei vari protagonisti, dal lutto di Carmy e di Richie, alla frustrazione di Sydney, passando per la riscoperta della passione di Marcus… Un caos di storie che si accavallano riuscendo ognuna a trovare comunque il proprio spazio e offrendo un risultato che tiene costantemente lo spettatore sulle spine e lo spinge a trovare incredibile profondità anche in quelle che all’apparenza paiono solo semplici ricette o normalissime preparazioni.
La sceneggiatura della serie FX non ammette infatti sbavature, ma è tanto ben delineata che ci pare quasi si possa scrivere da sola. Ecco, quindi, che il caos della cucina di Carmy Berzatto e compagnia diviene una sorta di brodo primordiale in cui si intrecciano le vite, i pensieri e i sentimenti dei suoi abitanti e dal quale, spontaneamente, nasce e si sviluppa una storia che, nonostante la cornice in cui si ambienta, non ha niente di complicato o confusionario. I sentimenti e gli archi evolutivi dei personaggi ci vengono infatti presentati poco per volta, senza fretta, ma mai a caso e, soprattutto, sempre al momento giusto, talvolta con grande dolcezza, talvolta con estrema brutalità.
Dai drammi interiori di Carmy, che lotta contro i propri demoni e con l’accettazione della morte del fratello, a Sidney, che combatte con tutta se stessa per allontanarsi dalle delusioni del passato, fino a Richie, che nasconde le proprie fragilità cercando di dimostrare tutto il suo beffardo menefreghismo, erto a scudo per proteggersi dal grande senso di tristezza che lo attanaglia quotidianamente. Tutto ciò che viene raccontato dalla serie di Disney Plus ha un senso ben definito e segue regole narrative che portano i tanti frammenti disordinati che la costellano a riunirsi, per creare un mosaico di rara bellezza, credibile in tutte le sue sfumature.
Da questo punto di vista, contribuisce sostanzialmente la straordinaria regia della serie, che raggiunge l’apice nel mostruoso penultimo episodio, composto da un lunghissimo e al contempo angosciante piano sequenza in un momento di grande tensione, che permette allo spettatore il massimo grado di immersione e che ci mostra che qualsiasi storia, senza alcun bisogno di particolari colpi di scena o di risvolti inaspettati, può risultare pienamente appassionante.
Ma anche quando ci pare di essere finalmente riusciti a inquadrare una volta per tutte la serie FX, ecco che questa riesce comunque a sorprenderci con squisite sequenze in cui a diventare protagonista è il cibo, non più solo l’oggetto di tanta fatica e frustrazione, ma valvola di sfogo e di passione, che calma e fa tirare un sospiro di sollievo. Così la glassatura di una ciambella diviene uno spettacolo per gli occhi che stuzzica il nostro appetito, ma anche tutti i nostri sensi e la preparazione di un piatto di spaghetti cucinato con commozione e cura per ricordare un fratello scomparso diventa quasi un rito, che seguiamo in religioso e ammirato silenzio.
“Caos e Cosmos”, dicevano gli antichi. Disordine e ordine. E gli autori di The Bear paiono aver recepito il messaggio. Confusione ed equilibrio: due facce della stessa medaglia che raccontano in maniera diversa differenti aspetti di un’unica realtà. Frammenti che si completano a vicenda e che contribuiscono a raccontare una storia tanto semplice quanto complessa, così com’è l’ineffabile spirito umano dei suoi personaggi. Animi fatti di contraddizioni che trovano il loro posto nel caldo abbraccio della perfezione di un piatto gustoso e nell’imperfezione di cumuli di piatti sporchi, nel calore di un buon pasto in compagnia. Nel sordo dolore che lascia senza fiato.