Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla terza stagione di The Bear.
Avete presente come si conclude la terza stagione di The Bear, no? Carmy si ritrova a leggere una recensione del suo locale, fondamentale per il destino futuro dello stesso. La recensione è decisa, ma allo stesso tempo ambigua: aggettivi positivi si alternano armonicamente ad aggettivi negativi, tenendo in sospeso le sorti del suo The Bear. Ecco, se dovessimo parlare di The Bear (la serie) e della sua terza stagione, potremmo impostare l’analisi nel medesimo modo. Senza sbilanciarci oltremisura coi termini negativi, per carità, ma garantendo allo stesso tempo una certa obiettività.
Lo faremmo con un sunto piuttosto semplice, ma non semplicistico: The Bear 3 non è stata all’altezza delle prime due. Non lo è stata affatto. Nonostante ciò, è talmente bella da aver comunque meritato una vagonata di Emmy. Una vagonata, accompagnata da una postilla che rappresenta in qualche modo un monito: vincere undici Emmy, record per il genere, non è stato sufficiente per conquistare la statuetta destinata alla miglior comedy. In sintesi: bella, a tratti bellissima. Ma non abbastanza bella da essere la numero uno per la terza volta di fila.
Ciò basta per giustificare alcuni titoli critici oltremisura che hanno commentato la sua uscita nei mesi scorsi?
No, affatto: The Bear è stata spesso la vera The Bear anche nel suo terzo atto. E la vera The Bear è una spanna sopra tutti (quasi, tutti) anche non riesce a dare il meglio di sé. Come è successo stavolta. E come non succederà – con ogni probabilità – con la prossima stagione. Un atto di fiducia incondizionata, il nostro? Solo fino a un certo punto. Anche perché le scottature sono all’ordine del giorno in questo mondo. Non sarebbe certo la prima volta che ci ritroveremmo con una serie fantastica poi peggiorata esponenzialmente nel tempo, d’altronde.
Tuttavia, siamo abbastanza tranquilli a proposito del futuro di una delle serie tv più maestose degli ultimi anni. Perché la terza stagione ha avuto un problema che rappresenterà un vantaggio piuttosto certo per la prossima: non è stata una stagione completa, bensì un lunghissimo preambolo. Un prologo sui generis, talvolta frustrante ma propedeutico.
Andiamo con ordine, evitando di fare confusione.
Cosa intendiamo, esattamente? Tornando agli ultimi minuti della terza stagione, il racconto si interrompe con tre parole familiari: “To be continued”.
Una chiusura emblematica che chiusura non è: è in realtà una sospensione. Non destinata ad annunciare il rinnovo (implicito) di The Bear, ma a esplicitare la natura della stagione stessa. Non una stagione con un inizio e una fine: al contrario, una prima parte. Un punto? Due punti, al massimo. Un punto e virgola, volendo essere pignoli. Come se la terza e la quarta stagione fossero in realtà una cosa sola, e tutto quello che abbiamo visto finora fosse solo la costruzione di un presupposto per restituirci, tra pochi mesi, una narrazione all’altezza delle prime due annate epocali.
Tutto ciò lo affermiamo con una motivazione persino banale: The Bear, dopo aver corso a mille all’ora per due anni, ha rallentato il ritmo. Arrivando addirittura a fermarlo, in alcuni momenti. Non ha raccontato niente di nuovo, o quasi: dove eravamo siamo rimasti, ma con dieci episodi in più. La trama orizzontale non è andata avanti se non con dettagli più o meno centrali, e si è dato il meglio con le trame verticali del sesto e dell’ottavo episodio (quelli dedicati a Tina e Natalie, per intenderci), gli unici davvero all’altezza del nome ingombrante che la serie si è creata.
Secondo qualcuno, The Bear è stata vanitosa e si è specchiata eccessivamente: vero, in parte. Secondo qualcun altro, ha esasperato le componenti peculiari che ne avevano fatto le fortune per paura di avventurarsi in un terreno esplorato: falso, in gran parte. Se non a proposito del nucleo tematico.
Troppa estetica, poca sostanza. Per dirla con un’espressione gergale comune negli Stati Uniti, normalmente usata al contrario, “all filler, no killer”. Riempitivi, e basta. Di gran qualità e dal notevole impatto visivo ed espressivo, ma insufficienti per sorreggere un’impalcatura che ha basato tutto su una trama accartocciatasi su rapporti di causa ed effetto già esplorati in precedenza con grande cura. Ha raccontato una storia che aveva già raccontato, e anche se l’ha fatto meglio di chiunque altro ha comunque suscitato più di una perplessità sia tra il pubblico che tra la critica.
In fondo, la trama è solo uno dei fattori di un’opera tanto complessa, scritta sulle reazioni agli eventi che sugli eventi stessi. Ma una domanda, a questo punto, diventa doverosa: ne avevamo bisogno? Oppure si è persa l’occasione per rispondere a un dettame che lo stesso Carmy deve affrontare nel corso della stagione? “Less”, gli dicono a un certo punto. “Meno”. Se il segreto in cucina è saper lavorare sapientemente sulla sintesi, altrettanto si può dire a proposito di un’opera del genere. Beh, sì e no: occhio, però, alle estremizzazioni.
Come dicevamo, è importante considerare il gioco di equilibri tra le esigenze di trama e la necessità di lavorare sui personaggi (ancora prima che sulle situazioni).
Nelle prime due stagioni, questo equilibrio era stato perfetto. E altrettanto avevamo detto qualche mese a proposito della seconda stagione di House of the Dragon, da noi elogiata ma criticata da una parte del pubblico per i medesimi motivi. Stavolta, però, si è tirata troppo la corda. Emblematica, in tal senso, la première della terza stagione di The Bear, manifesto programmatico di una stagione riuscita solo a metà.
“Tomorrow” è un episodio di raccordo che rappresenta, per molti versi, uno straordinario esercizio di stile del tutto fine a sé. Situazioni a noi familiari si accavallano e si rincorrono nel tempo attraverso un gusto narrativo, registico ed estetico eccelso: una meraviglia per gli occhi, ma cosa ci rimane davvero al termine della puntata? Una puntata chiave, visto che ha aperto la stagione? Uno dei migliori recap mai visti. Un teaser meraviglioso, da studiare in tutte le scuole di cinema del mondo. Ma la narrazione latita. Latita e fugge via, totalmente.
Tomorrow è un fantastico bignami di tutto quello che The Bear era stata fino a quel momento, ma tiene The Bear alla finestra.
Scelta legittima e apprezzabile, sul momento. Se però si riflette sull’attendismo smodato che ha caratterizzato gran parte degli episodi successivi, diventa di per sé un problema. E genera alcune perplessità. Timide perché si legano a un timore reverenziale fisiologico, visto che parliamo di una serie tv clamorosamente bella e ben fatta, ma comunque presenti. Al contrario, gli episodi più apprezzati sono quelli che si slegano dalla trama centrale e affrontano due personaggi “secondari” che rubano la scena a tutti, dando vita a dinamiche originali e inedite: una scelta di campo non nuova per The Bear, ancora una volta vincente. Parliamo, però, di due dei dieci episodi: tutti gli altri si fossilizzano e si impantanano a più riprese, smorzando la tensione emotiva estrema a cui ci aveva abituato. La testa c’è sempre e con essa il genio creativo, ma è mancato il cuore.
Rimarchiamo una questione, allora: perché si è scelto di “sacrificare” la terza stagione, allungando il racconto con modalità piuttosto innaturali?
Non possiamo sbilanciarci granché perché non abbiamo elementi certi da riportare, ma c’è una sensazione piuttosto vivida: sembra quasi che la terza stagione non fosse inizialmente prevista e sia stata messa in piedi per motivazioni che sfuggono alle mere esigenze narrative. Non la terza stagione in generale, ovviamente: “questa” terza stagione. La prima parte di un racconto organico diviso in due atti, includendo nel percorso anche la quarta in arrivo. Con ogni probabilità, vedremo la “vera” terza stagione l’estate prossima, quando dovrebbe andare in onda il prossimo ciclo di episodi. Secondo alcuni rumors mai confermati, infatti, parte della quarta stagione sarebbe stata girata insieme alla terza, portando oggi a una notevole accelerazione del percorso di produzione.
Uno sforzo eccezionale, a dirla tutta: nel mondo della tv odierna, è ormai raro avere a disposizione quattro stagioni in quattro anni. Soprattutto per una serie tanto complessa.
In quest’ottica, The Bear 3 pare essere un sacrificio necessario sull’altare della popolarità acquisita. Una popolarità all’inizio imprevedibile, e che potrebbe aver portato autori e network a intensificare il lavoro di sviluppo di una serie inizialmente destinata a un percorso differente. In ogni caso, tutto sta alla volontà di chi ha creato e scritto questo gioiello televisivo. Lo è stato finora, e così sarà anche in futuro. Perché a questo punto è importante cercare di capire quanto The Bear andrà ancora avanti.
Ne ha parlato nei mesi scorsi John Landgraf, presidente di FX Networks, con una risposta che certifica la notevole libertà lasciata allo showrunner. E non fuga i dubbi su quante saranno le stagioni complessive della serie. Queste le sue parole, rilasciate nel corso di un’intervista con Variety: “Non lo sappiamo davvero. Queste decisioni sono di natura creativa. È stato Sterlin Harjo a decidere che Rez Dogs fosse una serie di tre stagioni. E quindi è davvero una decisione di Chris [Storer] per The Bear. Quanto ha ancora da raccontare? Ovviamente, spero che abbia più di una stagione di storia da raccontare. Ma se si arrivasse al punto da avere una stagione fantastica o tre mediocri, preferirei averne una fantastica. Devi solo seguire la creatività”.
Affidiamoci, allora, a Storer, la mente straordinaria che ha concepito e sviluppato un capolavoro. Con la consapevolezza che la quarta stagione possa avere da raccontare molto di più di quanto abbia avuto la terza, e con l’idea chiara che The Bear possa non aver ancora dato il meglio di sé. Uno scenario idilliaco, visti gli standard altissimi comunque raggiunti in un momento di evidente calo. Attendiamo fiduciosi per goderci momento per momento il suo ritorno: ogni secondo, d’altronde, conta. Anche quando certi secondi, quelli futuri, contano più del nostro presente.
Antonio Casu