Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla decima stagione di The Big Bang Theory
Portarsi dietro un cognome non è sempre semplice. Capita talvolta che si trasformi in un onere insostenibile, un abito dalle misure inadeguate alla nostra silhouette che non ci permettono di vestirlo al meglio. Diventa nostro, col tempo. Oppure facciamo di tutto per allontanarlo, senza poterlo mai cancellare. Un cognome racconta in parte chi siamo, a prescindere da chi siamo. Se poi c’è una serie tv di mezzo e ogni elemento non è casuale, il cognome diventa parte attiva della narrazione, scoprendo un intero mondo attraverso un dettaglio apparentemente superfluo. Stiamo parlando di The Big Bang Theory, e di un curioso caso che riguarda buona parte dei personaggi principali (Bernadette inclusa).
I cognomi rappresentano una componente fondamentale dell’universo evoluzionistico di The Bang Theory. Vengono evidenziati spessissimo (fino a risultare ridondanti) e danno vita ad un microcosmo pazzesco, tanto particolare quanto stereotipato. Il risultato è frutto di uno o più omaggi (Leon Cooper è stato un premio Nobel per la Fisica, così come Robert Hofstadter), oppure della volontà degli autori di definire da subito un albero genealogico preciso (Wolowitz e Rostenkowski sono cognomi piuttosto diffusi in Polonia, mentre Farraw Fowler evoca una discendenza inglese). In tutti i casi menzionati (per non parlare dell’indianissimo Koothrappali), i cognomi, associati a personalità particolari e a famiglie dai tratti spesso estremi, hanno creato un peso enorme. Quasi fosse nel loro destino essere schiacciati da un genio fuori dal comune, rimanere lontani da una condizione di semplice normalità oppure vivere addirittura ai margini della società.
Il contesto da comedy pura ha permesso a The Big Bang Theory di giocare per anni su questi elementi, attraverso un’ironia pungente (superando talvolta il limite del politicamente corretto) che ha alleggerito la manifestazione delle difficoltà dei vari protagonisti, soggetti in buona parti dei casi ad un’infanzia complessa, un’adolescenza che ne ha fatto dei talenti incompresi e, in generale, alla ricerca di un’identità che inglobasse le radici (culturali e soprattutto familiari) in un percorso indipendente e libero da vincoli. Il racconto che emerge è una storia di geni alla ricerca di una quotidianità sostenibile (Sheldon su tutti), e un elogio dei processi storici d’immigrazione che hanno fatto grandi gli Stati Uniti e avrebbero tanto da insegnare ad ognuno di noi, specie in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo. Non solo Rajesh, il caso più evidente, ma anche i coniugi Wolowitz (entrambi d’origine polacca, uno ebreo e l’altra cattolica) e Leonard (il già citato Robert Hofstadter era d’origine polacca, ma è probabile che le sue radici siano tedesche). Loro, come l'”inglese” Amy, una ragazza che sembra esser stata educata attraverso una morale di stampo vittoriano fortemente limitante.
Per un motivo o per l’altro, i cognomi dei protagonisti di The Big Bang Theory pesano sempre come un macigno e, paradossalmente, i dottor Cooper, Hofstadter, Koothrappali, Wolowitz (a prescindere dalle battute sul suo percorso di studi), Rostenkowki e Farrah Fowler hanno affrontato in dieci anni un percorso per diventare, semplicemente, Sheldon (come dimostra l’evoluzione del suo abbigliamento, ne abbiamo parlato qui), Leonard, Rajesh, Howard, Bernadette ed Amy. I cognomi, menzionati a più riprese, hanno lasciato spazio gradualmente ad una maggiore ricerca di empatia con i personaggi, sempre più vicini a noi. E, più di tutti, alla normalissima Penny, protagonista del processo inverso. Da un parte abbiamo una schiera di geni dal cognome altisonante e ingombrante alla ricerca di un nome, dall’altra una ragazza che un cognome, addirittura, non ce l’ha.