Il 24 giugno del 2019 assistevamo all’ultimo episodio di The Big Bang Theory e, nonostante il senso di vuoto iniziale, oggi possiamo dire con convinzione che la sitcom creata nel lontano 2007 da Chuck Lorre e Bill Prady ha smesso di mancarci. Bazinga! Il finale ha certamente conferito una degna conclusione ai percorsi dei nostri nerd preferiti, ed è arrivato in una fase in cui prolungare la serie a oltranza avrebbe significato molto probabilmente banalizzarla o peggio lasciarla scadere nel ridicolo, come è accaduto a molti racconti che non hanno avuto il coraggio di fermarsi al momento giusto. Insomma sappiamo perfettamente che la serie ci ha confidato tutto ciò che aveva da dirci, aprendosi senza riserve con il suo pubblico come si fa davanti a una birra ghiacciata con il proprio migliore amico: al punto che una sua prosecuzione non sarebbe stata auspicabile.
Eppure la verità, nascosta dietro una condiscendenza che sembra più un meccanismo di difesa, è che Sheldon, Leonard, Raj, Howard e tutti gli altri straordinari protagonisti di The Big Bang Theory ci mancano da morire!
Abbiamo instaurato con ciascuno di loro un rapporto speciale, scoprendone a poco a poco le stranezze, i sentimenti e le fragilità: la minuta ma tostissima Bernadette, che con la sua vocetta stridula metteva in riga tutti quanti. L’impacciata e goffa Amy: un brutto anatroccolo capace di trasformarsi in cigno tutte le volte che riusciva a mostrare al mondo il suo grandissimo cuore. Il timido e dolcissimo Raj e la sua ambigua passione per i film con Sandra Bullock, la sua cagnetta Cannella e hobby prettamente femminili. Le freddure e i fallimentari approcci con le donne di Howard, e poi la dedizione e l’impegno che è stato in grado di riversare nel suo matrimonio e nei riguardi della sua famiglia una volta cresciuto. La pazienza, l’insicurezza e l’indispensabilità di Leonard, forse il vero collante del gruppo, spesso l’unico tramite e ponte di comunicazione tra Sheldon e tutti gli altri. La geniale normalità di Penny, il pesce fuor d’acqua in una combriccola di scienziati, protagonista di un’evoluzione pazzesca, forse la più significativa e inaspettata.
E infine il mondo asettico di un androide imprigionato nel corpo di un essere vivente: l’unico, esasperante ed esilarante Sheldon, l’indiscusso centro di gravità di The Big Bang Theory. Un universo a sé stante che finisce per contaminarsi di amore, lealtà e bellissima imperfezione umana.
Ma non sono solo quei sette strambi amici a strapparci una lacrimuccia di nostalgia: The Big Bang Theory, infatti, è molto più dei suoi protagonisti. La grandiosità della serie sta nell’aver disseminato tra le pagine della sua storia momenti grotteschi, situazioni caricaturali, frasi ricorrenti e persino oggetti di scena che sono diventati delle vere e proprie icone, riconoscibili anche da chi non ha mai guardato una sola puntata: sono pochi in effetti gli inavveduti che non sanno che non si occupa il posto di Sheldon sul divano! E come dimenticare la sua bizzarra abitudine di bussare sempre tre volte (il leggendario “Penny? Penny? Penny“?) o l’ascensore in disuso che viene riparato non a caso solo durante il finale di serie, quando è ormai tempo di salutarci.
Abbiamo tutti salito a piedi ogni gradino di quelle infinite rampe di scale e ci siamo rifiutati categoricamente di condividere i pasti su un comune tavolo da pranzo, per ritrovarci a cenare sempre in quel salotto pregno di ricordi insieme ai protagonisti di The Big Bang Theory.
Ma la fortunatissima serie non si è fermata qui. Non si è accontentata di intrattenerci, divertirci e finanche emozionarci con passaggi la cui profondità, mascherata da leggerezza e ironia, ci scaldava il cuore. The Big Bang Theory infatti ha avuto anche il merito di essersi prefissa e poi di aver centrato in pieno un ambizioso proposito: quello di sdoganare tutti i cliché sui nerd, prendendo una categoria bistrattata e rendendola non solo il cuore di un intero progetto, ma addirittura un esempio da seguire, quasi una moda. Essere occhialuti divoratori di videogiochi, magari con un quoziente intellettivo superiore alla media e un’immensa collezione di gadget dalla saga “Il Signore degli anelli“, è diventato figo.
Una vera e propria rivincita del sottobosco geek, che raggiunge il suo apice quando l’attraente, spigliata e corteggiatissima Penny finisce per dare il ben servito a tutti gli insignificanti bellocci che tentano di fare colpo su di lei, scegliendo contro ogni pronostico proprio l’intelligente e defilato Leonard.
Questo azzeccato e bilanciato mix di inimitabile complicità con il suo pubblico, originalità e coraggio ha reso The Big Bang Theory la serie di riferimento di un’intera generazione: e se ci guardiamo intorno ci accorgiamo con dispiacere che, a differenza di mostri sacri come Friends, il cui retaggio è stato accolto e attualizzato da comedy di indiscusso successo come How I Met Your Mother o New Girl, non esiste oggi una degna erede di The Big Bang Theory, né (con la doverosa esclusione delle acclamatissime Brooklyn Nine-Nine e Modern Family) una sitcom che sia quantomeno paragonabile al fenomeno mediatico che la serie è stata in grado di generare e sviluppare nell’arco di più di un decennio.
Ciò che più ci manca di The Big bang Theory allora è semplicemente la sua stessa palpabile assenza, un vuoto lasciato proprio dalla sua qualità più preziosa: la sua unicità. La risposta è sì, a un anno e mezzo dalla sua fine The Big Bang Theory ci manca terribilmente proprio perché, il giorno in cui abbiamo applaudito il nostro Sheldon durante il suo commovente discorso per la vittoria del Premio Nobel, oltre a degli incredibili personaggi che sono diventati parte di noi abbiamo perso un porto sicuro in cui rifugiarci anche solo per venti minuti di spensieratezza, la fedele e frizzante compagna di una giornata piovosa, una carezza affettuosa prima di spegnere la luce e andare a dormire.