Quando fu mandata in onda la prima puntata di The Big Bang Theory avevo soltanto otto anni. In quel periodo preferivo guardare cartoni animati e immaginare mondi lontani in cui abitavano gli alieni. Era il lontano 2007 e non avevo ancora sentito parlare di Sheldon Cooper o di qualche sua battuta diventata successivamente iconica. Poi ci fu un giorno di qualche anno dopo. Un giorno in cui ci fu un’assemblea a scuola e le lezioni terminarono prima del previsto. Tornai a casa in un lampo e accesi la tv per spezzare la monotonia di quelle ore. Una sigla bizzarra catturò immediatamente la mia attenzione e captai alcune parole che scrissi sul mio diario bianco e nero: “Matematica, scienza, storia, districando i misteri, Tutto questo è iniziato con il big bang! “. Avevo quindici anni e il contesto era completamente cambiato: le sitcom erano diventate il mio passatempo preferito. The Big Bang Theory era diventato il mio paracadute – un piccolo angolo in cui riuscivo a trovare spensieratezza e grasse risate.
Oggi, mentre scrivo questo articolo che sa di nostalgia, ho ventitré anni. Da quella benedetta assemblea scolastica sono cambiate tantissime cose: non sono più un bambino e frequento l’università con una fame mai sazia di curiosità. Ma soprattutto The Big Bang Theory è finito. Dopo dodici appassionanti stagioni la famiglia più ‘nerd’ del mondo ha abbandonato tutti i suoi seguaci, me compreso. Con la sua conclusione era anche terminata un’era in cui il modo di fare una sitcom seguiva una logica tutta sua, fatta di inquadrature fisse e angolature istantanee che facevano da cornice a una trama per lo più orizzontale e senza troppi guizzi da effetto sorpresa.
Le storie di Sheldon, Howard, Leonard hanno avuto il privilegio di essere raccontate attraverso due generazioni, oggi entrambe nostalgiche di quel toccante e meraviglioso finale di stagione che fu, senza troppe pretese, estremamente ‘lineare’. Il velo di tristezza che provo in questo momento pensando all’ultima puntata di The Big Bang Theory è ciclopico perché, schiavo della malinconia, mi passa in mente ogni singolo momento delle dodici stagioni nonché ogni vecchia sfumatura del passato: “la variabile del cambiamento è l’unica stabile nell’arco della vita”. Con la serie e l’evoluzione dei personaggi, attraverso un lungo decennio, è cresciuta anche la mia parabola di vita, fino al finale di stagione che per me sapeva di casa. Ma andiamo con ordine. E vi sfido a non piangere.
Il finale di The Big Bang Theory
Una telefonata. Un semplice schiocco di telefono è la benzina che dona al motore del finale una marcia in più. Sto parlando della telefonata che ricevono Sheldon e Amy dopo una notte frenetica e insonne come i loro desideri. L’annuncio dice che hanno appena vinto il Premio Nobel per la Fisica: il coronamento perfetto per i nostri amici nerd a cui piacevano le formule matematiche come il pranzo preferito. Se guardiamo indietro vediamo un giovane Sheldon pronto a dividere il perimetro della stanza con l’amico di sempre, Leonard. Lo stesso Leonard che ha sposato la formidabile Penny a Las Vegas dopo aver superato tutti i timori legati a una relazione mai così instabile. Nell’istante in cui Sheldon fa i conti con la stampa si rende conto che il futuro non è mai stato così incerto e che i cambiamenti possono in qualche modo snaturare la sua esistenza. Ma cos’è l’esistenza se non un continuo ribaltamento di fronte? Sei stato proprio tu a suggerirci questo orizzonte a cui guardare caro Sheldon, anche se indirettamente e timidamente.
Penny è il primo protagonista che usa l’ascensore ormai, come le ferite del passato, finalmente riparato. L’uscita della donna sembra riflettere quello che forse è il cambiamento più importante della sua vita: è incinta. Proprio lei, la ragazzina che dodici anni prima ci aveva scaldato l’anima con la sua passione, ora deve fare i conti con la responsabilità più grande di sempre. Facciamo i conti con questa bellissima notizia soprattutto durante il volo aereo verso la Svezia, destinazione premio Nobel. Alla scoperta della notizia, Sheldon sembra abbastanza freddo e questo delude moltissimo Leonard. Una delusione che a tratti sentiamo anche nostra: avremmo voluto un comportamento legato alla gioia di quel momento. Ma d’altra parte Sheldon è sempre stato questo: un uomo in cui l’attenzione verso gli altri ha combattuto sempre un po’ con il suo egoismo. Nel discorso finale, quello che tiene dinanzi a una vasta platea accorsa per il premio Nobel, si lascia però andare a un toccante pensiero: la sua vita non sarebbe stata la stessa senza l’appoggio incondizionato di amici e famiglia. In quel momento si alzano tutti in piedi per ricevere i giusti riconoscimenti da parte di Sheldon: voglio pensare che sia una sorta di standing ovation in cui siamo noi ad applaudire tutti questi formidabili personaggi che abbiamo ospitato, nelle nostre case, a suon di battute e dialoghi fuori dagli schermi.
C’è anche spazio per disegnare l’ultima parabola di Howard e Bernadette. La coppia più stravagante termina la sua corsa con un pensiero rivolto ai figli lontani. Questo rapporto ci ha fatto venir voglia di credere a un amore che sia in grado di durare per sempre, al di là di piccole crepe che si aprono nella normale danza della vita. Insieme, proteggendosi a vicenda, sono cresciuti tanto mentre hanno smontano, congiunti, le fragilità di cui erano colmi. Questo aspetto ci ha ricordato che The Big Bang Theory non ha parlato soltanto di scienza o intrattenimento, ma anche a soprattutto dei valori connessi all’amicizia e all’amore. Una visione più romantica che, apparentemente si nasconde dietro l’ironia della serie, ma che in pratica risorge costantemente nelle idee dei personaggi.
Dove eravamo rimasti
L’ultima scena inquadra il gruppo storico mentre mangia nell’appartamento di Leonard e Penny. La canzone che fa da cornice a questo momento è la stessa che abbiamo sentito nella sigla iniziale per dodici stagioni. L’inizio e la fine, quindi, che si tengono per mano un’ultima volta come se fossero figli della stessa madre. La scelta di puntare su un normale appuntamento quotidiano è lo strumento per smorzare il peso della rivoluzione e consegnarci i protagonisti così come li abbiamo sempre visti. Così come ci hanno fatto compagnia per tantissimi anni all’insegna di commozione e risate, senza esasperare in alcun modo una trama che ha funzionato proprio per la sua totale indifferenza al travolgimento degli eventi.
“Ah, che fastidio, non possiamo semplicemente dire ‘non vi vedete più’”?