I rapporti più belli, se e quando finiscono, fanno male. Si comincia col farsi dispetti, a dubitare di ciò che è stato. A vedere l’altra persona in modo diverso. Ma soprattutto a pensare: “c’è davvero stato un momento in cui le cose non stavano così?”. Un momento in cui abbiamo condiviso cose che non ci sono più? I dubbi ci assalgono. Quello che resta è un sentimento di nostalgia per ciò che è stato, misto all’incredulità per il fatto che tutto – nel bene e nel male – sia successo davvero. Ecco, questo è quello che provo se penso a The Big Bang Theory, e so di non essere l’unica.
Perché sì, purtroppo cambiare idea su cose, persone e serie tv si può, esattamente come cambiano i tempi, il vissuto e le visioni del mondo. Ma come la si risolve? Io questo ancora non lo so, ma proviamo a capirlo insieme.
Per farlo, come sempre, bisogna partire dalle origini.
The Big Bang Theory è senza esagerazioni una delle sitcom più celebri, seguite e amate della sua generazione. Anzi, non credo di sbagliarmi se provo ad allargare questa definizione all’intera serialità comedy. L’idea alla base è piuttosto semplice ma funzionale, almeno per l’epoca storica in cui è nata. Un gruppo di quattro nerd, geek e qualunque altra definizione inglese di quattro lettere che identifichi persone non propriamente al passo con i tempi, vivono le loro vite di tutti i giorni. Lo fanno tra scienza, fumetti, saghe cinematografiche sullo spazio e un bel po’ di disagio sociale. Almeno fino a quando non arriva Penny, la classica vicina della porta accanto, a sconvolgere il loro mondo.
Le 12 stagioni, diffuse tra il 2007 e il 2019, si articolano su questo cambiamento mai radicale ma sicuramente concreto per tutti i personaggi. Anche per quelli che fanno più fatica (leggi Sheldon) a vivere nel mondo reale. Leonard, Sheldon, Howard e Raj imparano a relazionarsi alla nuova ragazza che ha occupato l’altro appartamento sul pianerottolo dei primi due. Ma non solo. Cominciano pian piano a farlo senza che ogni interazione risulti estremamente disagiante. Poi addirittura iniziano a volerle bene e a usare questo sentimento per imparare ad avere a che fare anche con gli altri. Non è facile, ovviamente, ma ci pensa la conoscenza di Amy e Bernadette a sostenere questo percorso.
Puntata dopo puntata, stagione dopo stagione, vediamo i personaggi avanzare nelle loro vite. Li vediamo limare i propri lati più spigolosi anche e soprattutto grazie all’influenza che gli altri hanno su di loro.
Nel corso della serie, l’irreprensibile e abitudinario dottor Sheldon Cooper non soltanto vince un Nobel ma sperimenta l’amore, la convivenza e il matrimonio. Leonard, forse dei quattro quello che parte da basi sociali un po’ più forti, le consolida e riesce a creare una relazione sana con la donna che ama fin dall’episodio 1. Howard si sposa e diventa il padre che non ha mai avuto. Anche se non perde mai quella verve che oggi definiremmo cringe, ma che all’epoca di The Big Bang Theory era solo disagio puro.
Quanto a Raj, invece, che all’inizio della serie non è in grado neanche di parlare con una donna senza l’aiuto dell’alcool, la sua evoluzione si concretizza nel tempo in molti modi. Ma purtroppo sul finale sembra rimanere un po’ lì, quasi come se gli sceneggiatori se ne fossero dimenticati. Lasciandoci così con l’amaro in bocca e un discorso da fare che merita di essere ripreso in più di una frasetta. Ma anche Penny, all’inizio una giovane aspirante attrice non particolarmente brillante, vive la sua parabola ascendente. Sempre grazie alla vicinanza con i suoi nuovi amici nerd. Conoscere e voler bene a persone così “diverse” da lei, infatti, le fa comprendere prima di tutto che l’apparenza non è tutto. Ma soprattutto le fa conoscere la donna che è davvero e colei che aspira a diventare.
Letto così il rapporto con The Big Bang Theory sembra non avere problemi.
Eppure, ovviamente, c’è un ma. Perché se è vero che The Big Bang Theory ci ha fatto attaccare alla tv come poche altre serie prima, ha fatto incetta di tutti i premi televisivi possibili e immaginabili e ha segnato concretamente la storia delle sitcom, è anche vero che più passa il tempo, peggio invecchia. Anche in questo caso meglio partire dal principio. Anzi, meglio risalire alla fase precedente, quella della scelta del titolo. Per la serie, che in una primissima e per fortuna accantonata idea avrebbe dovuto chiamarsi Lenny, Kenny e Penny – un titolo decisamente più cheap e molto meno interessante – si è deciso di optare in via definitiva per un titolo che fosse per tutti, anche per coloro che ne sanno meno. Un chiaro rimando al mondo della scienza, ma con un sottotesto.
The Big Bang Theory infatti non è soltanto la teoria dell’origine dell’universo
La serie è anche un riferimento al Big Bang come grande colpo in termini più concreti e molto meno scientifici. Quello realizzato da Leonard nel momento in cui riesce a conquistare Penny. Uno dei titoli più conosciuti della serialità nasconde dunque un sottotesto che forse, con la sensibilità di oggi, non sarebbe particolarmente apprezzato. E con tutte le ragioni del caso.
Ed è proprio la sensibilità del 2024 a far venire fuori l’elemento più problematico della serie, uno di quelli che già nel momento in cui andava in onda era stato in parte chiacchierato da critici e sociologi ma che oggi è palese anche a noi “semplici” spettatori: il sessismo presente in buona parte dei discorsi che riguardano il mondo femminile, soprattutto nelle prime stagioni. Ai quattro protagonisti maschili della serie – in particolar modo Howard e Raj ma in misura minore anche Leonard e Sheldon -, in quanto personaggi che hanno con le donne poco successo, viene data la libertà di dire e fare cose che un giocatore di baseball dalle spalle larghe non potrebbe mai permettersi.
Pensano con estrema frequenza, più che al sesso in sé, alla conquista di una donna, fanno cose che a volte sforano nell’illegalità come entrare nel sistema di sicurezza della villa di America’s Next Top Model, pronunciano in continuazione battute che sarebbero viscide se dette dalla bocca di chiunque altro. Questo fenomeno è conosciuto in inglese come Adorkable Misogy, una misoginia che risulta patetica e comica solo perché portata avanti da personaggi che non incarnano la mascolinità nel senso tradizionale del termine ma che è pur sempre misoginia. E che, in quanto tale, oggi non sono – non siamo – più predisposti ad apprezzare.
Ora sì che si capisce bene per quale motivo il rapporto con The Big Bang Theory non è più lo stesso.
Non si può dire che la serie ci abbia deluso in fase di trasmissione, ma oggi come oggi le cose sono un po’ cambiate, noi siamo un po’ cambiati. Le battute che prima ci facevano ridere hanno cominciato a farci solo sorridere, poi a volte nemmeno più quello. Insomma, noi e The Big Bang Theory abbiamo litigato un po’. Ma faremo mai pace? La risposta a questa domanda viene da un pensiero che si è concretizzato nella mia testa solo durante la scrittura di questo pezzo: secondo me sì, faremo pace, ma solo se accettiamo la consapevolezza che il nostro rapporto non sarà più come prima.
A tempi nuovi corrispondono serie nuove, prodotti che riflettono maggiormente quelli che siamo oggi, ma ciò non significa che sia giusto dimenticare chi siamo stati e cosa ci ha fatto stare bene. Se ne è parlato tanto anche in relazione ad altre serie come Friends o How I met your mother, serie delle quali si dice che siano invecchiate male se pensate in base ai tempi che corrono: non possiamo – o forse non dovremmo – accantonarle, metterle da parte, demonizzarle o fare come se non fossero mai esistite. Possiamo – o forse dovremmo – accettarle così come sono, parti di un passato che non ci sta più bene ma che abbiamo vissuto.
E quindi sì, faremo pace con The Big Bang Theory, ma solo quando accetteremo che è una serie cominciata nel 2007 e che come tale ha i suoi limiti, così come di certo avranno limiti le serie che oggi ci sembrano tanto perfette quando saranno viste con gli occhi del 2050. Faremo pace con The Big Bang Theory solo quando riusciremo a giudicarla con gli occhi di oggi ma per quello che è: una serie di ieri, una relazione del passato.