ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulla seconda stagione di The Big Door Prize – Il premio del destino, disponibile su AppleTV+!!
La Morpho menelaus è una specie di lepidottero che vive nell’America centrale e meridionale. Il suo nome deriva dal re Menelao di Sparta e ha grosse ali di colore blu, simbolo di profondità, introspezione, mistero. The Big Door Prize è una serie tv immersa nel blu. Le scelte cromatiche di regia e fotografia riportano a questa tonalità specifica, come a dire che sarà proprio il mistero la componente essenziale attorno a cui verrà costruita la storia. La prima stagione della serie Apple TV+ (ecco le 5 serie della piattaforma da guardare almeno una volta nella vita) ci aveva intrigato parecchio: una cittadina della Louisiana entra in agitazione quando una misteriosa macchina inizia a stampare cartoncini con su scritto il potenziale di chi inserisce il gettone. Basta lasciare le proprie impronte digitali per avere indietro un’indicazione sulla propria vita e sul proprio destino.
Nato come un gioco tra gli abitanti di Deerfield, la ricerca del proprio potenziale da parte di ciascun personaggio diventa quasi un’ossessione. La macchina, con un semplice cartoncino, ha il potere di sconvolgere le singole esistenze e di mettere in discussione le fragili certezze di ognuno. Le domande esistenziali si rincorrono per tutto il corso della prima stagione, consentendoci di entrare in sintonia con i personaggi ed empatizzare con loro. Ci interroghiamo sul significato di alcuni cartoncini – “professore fischiatore“, “regalità“, “eroe“ – e cerchiamo di capire quanto ci sia di vero in quello che dice la Morpho e quanto sia invece solamente un gioco.
Ma, veritiero o meno, non è tanto il responso della macchina a essere importante. È piuttosto il credito che gli danno i personaggi.
Non importa se noi ci crediamo o meno: gli abitanti di Deerfield lo fanno e questo basta ad innescare le dinamiche che sono alla base dell’intreccio di The Big Door Prize. I personaggi sono ossessionati dal proprio potenziale. Rimettono in discussione tutto solo perché una macchina ha tirato fuori dal database un bigliettino. La Morpho lascia le persone che la utilizzano a interrogarsi. Chi poggia le proprie impronte sullo schermo si chiede se la propria vita sia stata uno spreco oppure no. Se la strada intrapresa sia stata quella giusta o se, piuttosto, non si è fatto altro che limitare il proprio potenziale. Se valga la pena continuare a percorrere un sentiero o se non sia necessario imprimere una svolta alla propria esistenza. Quello in cui si vive è il posto adatto a realizzare le proprie aspirazioni o ci sono altre strade da battere? La felicità è qualcosa alla portata?
La Morpho, all’apparenza, sembra uno strumento ideato per offrire delle risposte. Invece, pone solo un numero inquantificabile di domande The Big Door Prize è uno show introspettivo, un pozzo senza fondo da scandagliare per bene. È una serie azzurrognola, cerulea, che spinge a interrogarsi su se stessi e sulla direzione che ha preso la propria vita.
Esattamente come il lepidottero che campeggia sulla macchina Morpho, anche questa serie sembra attraversare più stadi vitali. La prima stagione è stata un po’ la fase preparatoria del ciclo. Ogni farfalla, al suo stadio larvale, è un bruco. Sceglie uno stelo e tesse il suo cuscinetto di seta. Si mimetizza nel contesto assumendo colorazioni criptiche. Percorre la sua strada con pazienza, senza dare nell’occhio, preparando il terreno alla fase successiva. Nei primi episodi di The Big Door Prize abbiamo preso confidenza con i personaggi. La seconda stagione fa invece un salto ulteriore, spingendo gli abitanti di Deerfield a passare al livello successivo. Come se fossero in un videogame, i personaggi possono scegliere se inserire il proprio cartoncino all’interno della macchina e scoprire cosa riserva loro la fase successiva. Stavolta però, la Morpho non si limita a stampare cartoncini personalizzati, ma apre ad un’esperienza ancora più immersiva.
Chi inserisce il proprio potenziale all’interno della macchina si ritrova proiettato in una sorta di videogioco di cui è egli stesso protagonista, ma di cui non ha il controllo. La versione computerizzata di Dusty (Chris O’Dowd), per esempio, è su una pista da sci a Whistler, a riflettere sui rischi prima di ogni salto nel vuoto. Quella di Cass (Gabrielle Dennis) prende a coltellate madre e marito all’interno di un labirinto di paglia. La versione di padre Reuben (Damon Gupton) riscopre il wrestling, quella di Jacob (Sammy Fourlas) gioca una partita solitaria a tennis e così via. La seconda stagione di The Big Door Prize esplora, molto più della precedente, una dimensione onirica incastrata a metà strada tra fantasia e realtà.
Le visioni che appaiono sullo schermo sono un’anticipazione di quello che succederà in futuro, la manifestazione di pensieri inconsci o, più semplicemente, una metafora con la quale interpretare la propria vita?
Se lo chiedono i protagonisti della serie e ce lo chiediamo noi, a volte cercando di penetrare la corazza di mistero di cui è avvolta la serie, altre mediante una sospensione dell’incredulità che ci convince a non porci troppe domande. In ogni caso, la fase successiva della Morpho porta i personaggi a compiere una autoesplorazione di sé. Dusty e Cass prendono il consiglio alla lettera e scelgono di prendersi del tempo per approfondire il proprio potenziale. Padre Reuben ne approfitta per capire quale sia la sua reale vocazione, il signor Johnson (Patrick Kerr) coglie l’occasione per imprimere la prima vera svolta alla propria vita, Jacob cerca di analizzare il significato del suo essere rimasto solo. Anche se sono soprattutto gli adulti a dare peso alle rivelazioni della Morpho, tutti devono fare i conti con l’evoluzione del proprio potenziale. Tutti devono rimettere in discussione un aspetto della propria esistenza.
The Big Door Prize di straordinario ha proprio questo: la capacità di lanciarti addosso degli interrogativi pesanti sull’esistenza e sul nostro modo di vivere, utilizzando però un registro che vira verso il comico.
La serie Apple TV+ (piattaforma sulla quale andrebbe recuperata un’altra dramedy come Shrinking) è un’operazione filosofica messa su con gli strumenti della comedy televisiva. Ci interroga sullo stato delle nostre vite e sul destino, questioni esistenziali che meriterebbero secoli di approfondimenti. Ma lo fa scegliendo di essere un prodotto leggero e corale. Un’intensa esperienza di gruppo, insomma, che ci aiuta a conoscere i personaggi e ad entrare in confidenza con loro e le loro vite. E se la prima stagione di The Big Door Prize, nel ciclo vitale di un lepidottero, corrispondeva allo stato larvale, la seconda è invece una crisalide. Non più un bruco che mostra a stento i suoi colori, ma qualcosa a metà strada tra il punto d’origine e quello di arrivo. Nessuna notizia ufficiale ci ha confermato l’arrivo della terza stagione della serie. Ma il cliffhanger con cui si è chiuso questo nuovo capitolo di episodi rende necessario un rinnovo.
Non tutto è chiaro sul funzionamento della Morpho e sul finale di stagione.
Ci sono aspetti che sono stati solo accennati in questi episodi – vedi la presenza di puntini blu sulla pelle di alcuni personaggi – e che probabilmente dovranno essere spiegati in futuro. La seconda stagione di The Big Door Prize è dunque solo una stagione di transizione, necessaria per approdare al livello successivo. È però molto più intensa e coinvolgente della prima e riesce a bilanciare ancora meglio elementi drammatici e comici. Una dramedy pura (le migliori da non farsi sfuggire sono queste), con un bel po’ di innesti fantasy a stimolare la curiosità del pubblico. Il cast, capitanato dall’irlandese Chris O’Dowd, ha fatto un ottimo lavoro. Non c’è una figura accentratrice, la storia cammina su più spalle e risulta tanto più interessante quanto si allarga il suo raggio d’azione. Per saperne di più però, dovremo aspettare il capitolo successivo e restare per ora a confrontarci con le domande rimaste sospese.