My name is Raymond Reddington. I’m a criminal.
Bastano i primi 120 secondi del pilot di The Blacklist per capire che siamo dinanzi a uno show adrenalinico, misterioso, spiazzante. Curvilineo, raffinato, splendidamente narcisistico. Basta vedere Raymond Reddington – un irresistibile James Spader – togliersi l’elegantissima giacca blu e, mani dietro la testa, consegnarsi volontariamente al dipartimento di giustizia dell’FBI di Washington DC, per intuire che è un incipit che ci terrà incollati allo schermo. E a un protagonista talmente enigmatico che basteranno poche scene per esserne conquistati. Definitivamente.
La nonchalance, la classe e il fascino noir di James Spader che ricorda Humphrey Bogart – con il borsalino, le cravatte, gli abbinamenti sartoriali impeccabili – sono il primo segnale estetico che siamo dinanzi a una serie d’eccellenza. A un crime perfetto.
The Blacklist. Il Concierge of Crime, Raymond Reddington. L’antieroe più intrigante del genere crime.
Sono molti gli studi che hanno affrontato, negli anni della Grande Serialità, la figura dell’antieroe, l’allineamento e le alleanze emotive che, grazie al carisma e all’acuta intelligenza, questa figura è in grado di muovere negli spettatori. Ne ha scritto rispetto ai personaggi della letteratura del XIX secolo la studiosa Blakey Vermeule in“Why Do We Care about Literary Characters”: un’indagine neuro-estetica e cognitiva sul nostro attaccamento affettivo, pulsionale, sessuale, sociale a personaggi finzionali che sappiamo bene non esistere e di cui, nonostante ciò, percepiamo il propagarsi di una melliflua influenza nelle nostre relazioni e nella vita reale di ogni giorno.
Altri autori come Murray Smith hanno analizzato l’attrattività degli antieroi concentrandosi su case study di massimo rilievo da Tony Soprano a Dexter Morgan, da Don Draper a Walter White. Ma sia che si tratti di drama, crime, noir o thriller e di menti superiori per eccellenza, poco si è scritto di una delle più grandi: Raymond “Red” Reddington. Non solo una delle psicologie di antieroe più intellettualmente complesse, ma una delle serie, prodotta da NBC e trasmessa su NowTv, meglio scritte, che possiamo considerare il crime, dalle tinte cupe e l’ironia geniale, perfetto.
Un po’ come Dexter è considerato un cult ed è lui stesso divenuto un’icona pop, allo stesso modo Raymond Reddington diventa iconico con il suo lifestyle, ma soprattutto con quell’istrionismo linguistico, affilato e ricercato, che si materializza in accattivanti meme e che meriterebbe, come Dexter, un articolo dedicato alle più belle citazioni
Dal 2013, anno in cui viene trasmessa da NBC – con una narrazione long form e la capacità straordinaria di intrecciare trame verticali e un mistery drama orizzontale mai scontato – ha generato un tale successo di ascolti da ordinarne subito una stagione completa. 22 episodi. A seguire, NBC non si è mai fermata continuando a rinnovarla per altre 9 stagioni (per un totale di 10). Ma parliamo di Raymond Reddington, il noto criminale, nella lista dei 10 fuggitivi più ricercati al mondo dall’FBI. C’è molto di lui – del suo charme unito a un inconfondibile accento e timbro vocale – nel personaggio.
E c’è molto di Reddington, della self confidence, delle abilità dialettiche, dei modi da gentleman in James Spader. Raymond Reddington è un’evoluzione quasi naturale nella interessante carriera cinematografica e televisiva dell’attore che ha spesso ricoperto ruoli ribelli dove l’ambiguità, le sfumature, i confini tra bene e male, tra erotismo e seduzione trovavano spazio in storie d’amore, crimine e mistero. Pensiamo a “Sex, Lies, and Videotape” di Steven Soderbergh, a “Crash” di David Cronemberg – dove la tensione erotica si sprigiona nel piacere di procurarsi incidenti stradali – fino a “Secretary”, storia di dominio mentale e possesso fisico sul luogo di lavoro e alla stessa “Boston Legal,” per tornare alle Serie Tv. Il mistero del protagonista in The Blacklist accentua il valore del crime.
Sin dalla puntata Pilota, in questo serrato viaggio, le domande centrali non faranno che aumentare. Le risposte svaniranno e la voglia di sapere, inesauribile.
The Blacklist è una delle serie siglate NBC che ha generato il maggior numero di fan theories in tutto il mondo: dagli Stati Uniti all’Italia sono innumerevoli i gruppi Facebook, gli account Twitter e le community Instagram in cui si discute dei misteri della serie e di quale sia l’identità segreta di Raymond Reddington, analizzandone tutti i dettagli maniacali che la compongono.
Del protagonista si sa che gestisce un impero criminale di caratura mondiale, un’organizzazione parallela a qualsiasi sistema politico, economico e finanziario che rientra nell’orizzonte della legalità. Per questo motivo è il ricercato numero 1 da parte del Governo americano e del suo Bureau investigativo ma, parimenti, ne è il suo asset principale. The Blacklist è infatti la lista segreta di nomi, sconosciuti alla stessa FBI, di criminali, terroristi, serial killer, politici e banchieri corrotti che solo Raymond conosce, perché appartengono al suo mondo, quello buio, notturno, il lato oscuro della società. Raymond è disposto a consegnare, uno per uno, i nomi della Lista Nera a una speciale Task Force che il Procuratore di Stato ha formato, garantendo a lui l’immunità totale in cambio della collaborazione. Reddington ha una sola condizione. Parlerà solo a una giovane profiler, new entry dell’FBI: Elizabeth Keen.
Da una fabula che sembrava lineare – acciuffare criminali, combattere corruzione e abusi di potere nel sistema americano e contrastare le minacce esterne – si determina un intreccio tutt’altro che progressivo.
In The Blacklist tutto ciò che sembra vero può essere falso. Non può esservi fiducia, in nessun luogo si è al sicuro. Quando una persona mostra il suo lato affidabile, quando si pensa di essere alle porte di un lieto fine, come in una pericolosa illusione, tutto cambia.
Reddington stesso è il primo illusionista. La forza drammatica del suo personaggio – che lo rende ancora più potente, sfaccettato e imprevedibile di figure carismatiche come Dexter, Patrick Jane, Ray Donovan – è la magia. La magia del suo intelletto. Quindi la cultura, il buon gusto, la competenza riguardo alle cose del mondo, l’amore per l’arte, l’abilità a disporre di persone e team, la leadership, la persuasione manipolatoria. E soprattutto: il potere delle informazioni.
The Blacklist costruisce un meccanismo perfetto tra tensione crime, indagini poliziesche, atmosfere noir, suspense e magia dell’informazione.
Del resto tutto ruota attorno a un elenco di nomi e quello che Raymond Reddington, il Concierge of Crime, fa nei suoi giri per il mondo, non è altro che amministrare un’economia dell’informazione, un’impresa del crimine che – come si scopre lungo la serie – non è per nulla diversa da quella che si ritiene essere quella giusta, in quanto legale.
Impossibile in un solo articolo menzionare la quantità e qualità di aneddoti e metafore che Raymond – esperto conoscitore della vita e del mondo – racconta, con il suo parlato elegante, quando media nelle trattative, quando prende in ostaggio le persone, quando minaccia e tortura, quando assolda o dà lavoro ai suoi impiegati. Quando legge il giornale o affida nuovi casi alla sua Elizabeth Keen e alla Task Force.
James Spader – che domina indiscusso su un cast ben equipaggiato che gli fa da spalla – porta in The Blacklist un’eleganza recitativa e linguistica in puro stile British.
È un piacere ancora più grande guardare The Blacklist in lingua originale. Perdersi l’interpretazione dei dialoghi significa perdere il 50% del valore della serie. Il pensiero acuto, il sense of humor con cui affronta le situazioni più tremende, il problem solving e l’eclettismo dei collaboratori di cui si affianca (su tutti Dembe, Mr. Kaplan e l’avvocato Marvin Gerard che farebbe ottima squadra con Saul Goodman) rendono The Blacklist un concentrato di tensione ad alto stimolo intellettuale e investigativo; è questo taglio poliziesco che attraversa la serie nella sua parte di indagini episodiche a farla, difatti, rientrare nel filone tematico “Sky Investigation” di NowTv.
A differenza di altri antieroi della grande serialità, James Spader non incarna un personaggio traumatizzato da piccolo che, dunque, sviluppa una personalità tormentata (come Dexter); non è neanche l’uomo qualunque, l’inetto sveviano che si trasforma in un boss criminale, in un mostro dall’intelligenza stravolta senza più anima né etica (come Walter White).
Raymond Reddington – tratto che emerge nei molti dibattiti morali con il suo alter-ego buono Harold Cooper, direttore della Task Force – è l’ideatore e costruttore di una stratosferica multinazionale che usa gli stessi mezzi (security, infrastrutture aziendali, trasporti aerei, assistenza medica e legale, servizi finanziari) di una qualsiasi altra azienda. Con la differenza che i suoi capitali spesso sono costretti a spostarsi di notte proprio per favorire i legali mercati diurni. Di giorno, alla luce del sole, le azioni e gli obiettivi sono gli stessi delle big companies o dei Governi: espandere il valore delle proprie operazioni.
Raymond Reddington è un criminale spietato senza cuore che uccide a sangue freddo, e al contempo è portavoce di un convinto relativismo morale nel quale, di fatto, si muove parte della società.
È incline alla violenza; nella sua magnetica, dominante personalità, si nascondono eccessi emotivi, collassi di solitudine, ossessioni per la vendetta così accecanti da mettere a rischio la sua vita e quella delle persone a lui più care. Il patrimonio finanziario che possiede sfida le più grandi mafie, il narcotraffico e il terrorismo, e lo pone tra gli uomini più potenti e pericolosi al mondo, ma questo non impedisce di sviluppare verso di lui attrazione, affetto e una naturale propensione a difendere la sua missione e la qualità della sua leadership.
Una missione che resta misteriosa. Se da una parte, infatti, i criminali vengono smascherati, arrestati, uccisi o vengono fatti sparire dalle stesse risorse di Raymond in singolari programmi di protezione testimoni, dall’altra, dell’uomo Raymond Reddington vengono centellinate info fino all’ultimo. Questo è il fil rouge più accattivante e meglio costruito nella serie NBC dall’ideatore Jon Bokenkamp. Per chi non ha visto la serie, il consiglio è quello di correre a vederla, approfittando dell’attuale piena disponibilità su NowTv, perché un tale tasso di mistero e colpi di scena non è qui riassumibile e non si può spiegare.
Non ha i tratti della suspense soprannaturale di Twin Peaks, ma ha lo stesso potere di instancabile ricerca. Chi ha ucciso Laura Palmer in The Blacklist diventa “Chi è davvero Raymond Reddington?”.
In ogni episodio Red appare dinanzi ai nostri occhi, vestito di tutto punto nelle sue dimore eleganti, sul suo jet mentre legge il giornale e sorseggia un whiskey, in automobile mentre impartisce ordini al telefono, vediamo tutto di lui, possediamo diversi tasselli eppure non riusciamo a comporre il mosaico: chi sia, dov’è nato e quale il suo rapporto con Elizabeth Keen (interpretata da Megan Boon). Durante le prime stagioni non abbiamo dubbio nel credere che un tale spropositato amore verso la giovane profiler – che lui stesso ha voluto come unica interlocutrice – sia dettato dalla paternità. Raymond Reddington è il padre dell’agente Elizabeth Keen? Più però si va avanti – e qui risiede la perfetta scrittura crime della serie – più ogni verità viene scontornata e ogni teoria smentita. L’adorabile marito di Eilzabeth, Tom Keen (interpretato da Ryan Eggold, protagonista di un’altra serie di successo NBC, New Amsterdam) può rivelarsi l’opposto.
Tutti potrebbero essere burattini le cui fila sono tirate da Red inclusa Elizabeth che non sa chi sia il padre, ma neanche la madre.
Ci vorranno numerosi flashback per comprendere quale sia il legame di Elizabeth con Red, con la Russia prima del crollo dell’Unione Sovietica, con lo spionaggio e con il suo incarico nella segreta Task Force dell’FBI. E nonostante questo, il mistero non è risolto. Ci sono finanche scuole di pensiero che ritengono che Raymond Reddington – sensuale uomo alpha dall’intelligenza fuori dal comune amato dalle donne – sia in realtà la madre, non il padre, di Elizabeth.
L’interpretazione di Megan Boon, presente per 8 stagioni, non può avere pari con quella di James Spader. La giovane attrice prova a tenere la scena ma il suo ruolo, per quanto essenziale all’esistenza stessa di The Blacklist, resta di servizio. Nulla di più. Il suo è un personaggio centrale che vive uno sviluppo borderline, così irto di contraddizioni da non riuscire ad amarla. Sono moltissimi i fan – quasi la totalità – che, nel corso della storia, hanno sperato nella sua morte o uscita di scena. Elizabeth Keen è talmente fastidiosa che fa pensare a Skyler White e ai 10 motivi per odiarla. Altrettanti ve ne sarebbero per questa giovane figura inspiegabilmente e incondizionatamente amata da una personalità così solida come quella di Reddington.
Lungo le dieci stagioni, l’escalation di questo amore assoluto che ha al contempo i tratti dell’incesto e quelli della santità, raggiunge l’esito più imprevedibile.
Del resto la grandezza dei crime risiede in questo: nel portare avanti la storia senza che nulla possa essere dato per scontato. In questo sentiero The Blacklist è perfetta. I colpi di scena pervadono orizzontalmente la serie, anche quando la verticalità episodica sembra fargli perdere linfa e appeal. Ogni tanto la scoperta del colpevole cementa la trama e i suoi sviluppi.
Può quindi capitare che il binge watching che The Blacklist accende si trasformi, per alcune puntate nella cosiddetta “tantric tv” quella che vediamo lentamente, il cui piacere dilatiamo. Come potrebbe non accadere qualche momento del genere in una narrazione lunga da 22 episodi a stagione? Quello che però improvvisamente ci riattacca allo schermo e strega la visione – oltre al magnetismo generato dalla performance di James Spader – è di nuovo l’affannosa ricerca di risposte. A domande rimaste inevase e anzi rese ancora più complesse dai nuovi sviluppi, come quando si guardano quelle serie in cui è veramente difficile scoprire chi sia il colpevole.