Ci voleva un intermezzo temerario e spregiudicato tra la seconda stagione di The Boys – andata in onda nell’autunno del 2020 – e l’arrivo della terza, previsto per giugno 2022. La vena artistica di Garth Ennis è stata sfruttata da Seth Rogen e Evan Goldberg per cavarne fuori una serie antologica animata, basata sempre sulle vicende della Vought e del suo universo pazzoide ed esagitato. The Boys Presents: Diabolical è disponibile dal 4 marzo 2022 su Amazon Prime Video ed è una serie in otto episodi da un quarto d’ora l’uno. L’idea era stata lanciata al Comic Con Experience Worlds 2021, a San Paolo, in Brasile. Il progetto era nato proprio per dare qualcosa in pasto alla fanbase in attesa del terzo capitolo della serie madre, un boccone veloce per placare la bulimica astinenza da Super frustrati e paranoici.
La verve satirica rimane la stessa, il format viene completamente stravolto.
Considerando lo stop alle produzioni live action durante la pandemia, i produttori si sono buttati sul genere animato, esplorando modelli stilistici diversi e realizzando otto brevi episodi autoconclusivi. C’è la strizzatina d’occhio ai cartoons del vecchio secolo, in perfetto stile Looney Tunes, ma c’è anche l’estetica più dissacrante di Justin Roiland (Rick and Morty), che figura qui anche tra gli interpreti. Si può notare l’ispirazione ai manga orientali e l’impronta delle animazioni dei fumetti francesi, il riferimento al Saturday-morning cartoon e naturalmente quello stile che ricalca più da vicino l’impostazione dei fumetti di Ennis. La discordanza stilistica tra le varie parti di The Boys: Diabolical non disturba la visione. Al contrario, dà l’idea di una palpazione veloce e fugace del genere animato, godibile in questi termini proprio perché si maneggia una serie antologica.
Protagonisti di questo siero allucinato estratto dalle arterie di The Boys sono tante piccole figure riconducibili al mondo della Vought, la multimiliardaria compagnia che produce supereroi in larga scala. Laser Baby, per esempio, è una dolce nanerottola che sputa fasci di luce esiziali dagli occhi, i piccoli Super scazzati sono un gruppo di supereroi, assurdi e allucinati, usciti male dai laboratori della V – una banda che rimanda vagamente ai “super” altrettanto strambi di The Umbrella Academy -. Poi abbiamo due goffi influencer che conquistano il polifagico mondo dei social intingendosi in quantità spropositate di composto V, una ragazzina borderline il cui superpotere è un pezzo di escremento parlante, una famigliola di superdotati alla prese col divorzio e una straziante coppia di anziani che tenta di darsi una seconda possibilità.
La scrittura dei personaggi è molto in linea con gli standard di The Boys.
Si tratta di figure alienate e paranoiche, molto spesso disturbate, preda di un disagio serpeggiante che le spinge a comportamenti cinici e irrazionali. Rispetto alla serie principale, dove la psicologia di ciascun personaggio può essere approfondita con una narrazione più lenta e coerente, in The Boys: Diabolical non c’è tempo per farlo, per cui ogni soggetto che incontriamo in questo breve assaggio di follia è già il risultato di complesse dinamiche che ne hanno segnato i comportamenti. Sono figure quasi caricaturali, per quanto profondamente anticonvenzionali. E non mancano i riferimenti ai personaggi centrali di The Boys: in Io sono il tuo pusher, diretto dall’italoamericano Giancarlo Volpe e scritto direttamente da Garth Ennis, vediamo comparire Billy Butcher nelle fattezze del fumetto e con lui Hughie, il mastino Terrore, Queen Maeve e Patriota. Ed è proprio il diamante di punta dei Sette, Patriota, ad animare l’ultimo degli otto episodi della serie.
In Uno più uno uguale due, ci viene mostrata la prima missione ufficiale del Supereroe americano, un mezzo disastro che poi la propaganda della Vought è costretta a trasformare nel grandioso battesimo del fuoco del migliore dei suoi Super. Sono bastati quindici minuti a Simon Racioppa – produttore di un’altra serie animata a tema supereroi di Amazon Prime Video, Invincibile – per mettere a nudo le fragilità di Patriota, una maschera estremamente vulnerabile data in pasto alla criminofobia degli americani e al loro segreto bisogno di sicurezza e di identificazione. Patriota è la colossale bugia che la gente ha bisogno di sentirsi raccontare e Diabolical riesce in un quarto d’ora a smascherarla con efficacia e nettezza.
Tra gli interpreti dell’episodio ritroviamo Giancarlo Esposito e il neozelandese Antony Starr (sapevate che lo hanno arrestato in Spagna?).
Nelle voci del cast originale, troviamo anche Xolo Maridueña (Cobra Kai), Caleb McLaughlin (Stranger Things), Jason Isaacs e Simon Pegg, Dominique McElligott, Ben Schwartz, Christian Slater e tanti altri. Il progetto è ben congegnato e gli amanti di The Boys ne saranno di sicuro entusiasti. Diabolical incontra il genio della serie madre – le sue strade sporche, le sue pennellate splatter, il rovesciamento dell’epica americana, la caratterizzazione dei personaggi – ma riesce ad andare persino oltre. La vena satirica di The Boys: Diabolical può permettersi di esplorare confini nuovi, di spingersi a toccare vette che lo show principale ha potuto solo sfiorare. La serie madre non ha avuto infatti la stessa libertà d’azione dello spinoff. Dovendo necessariamente seguire una linea narrativa e rimanere coerente con gli sviluppi della trama, era impensabile che potesse concentrarsi su personaggi alternativi come i Piccoli Super scaz*ati del secondo episodio, tra i più interessanti dell’intero ciclo.
Va anche detto che il risultato non è sempre eccelso. Alcuni episodi funzionano più di altri, alcune trovate hanno più presa rispetto ad altre. Ci sono dei passaggi un po’ deboli, non esattamente brillanti, in cui la voglia di strafare e di spingersi oltre resta fine a se stessa e rischia persino di rivelarsi controproducente. Ma la visione d’insieme è tutt’altro che scadente. Ogni fan di The Boys ci ritroverà quello stile ironico, diretto e politicamente scorretto che ha contraddistinto i fumetti di Ennis e la serie madre di Amazon Prime Video. In ogni caso, The Boys: Diabolical dura talmente poco che non avremmo neppure il tempo di rifletterci su.