Se la prima stagione di The Bridge, una volta capite le regole, funziona quasi come un orologio, tanto, tantissimo, lo si deve alla chimica assolutamente unica che si crea tra i due protagonisti: Saga e Martin, rispettivamente i detective di Malmo e Copenaghen chiamati a seguire il caso. Due personaggi non solo ben interpretati, ma costruiti perfettamente per non fondersi mai.Â
Come già detto nella recensione di The Bridge, Saga e Martin non si sopportano e non si capiscono dall’inizio. Lui rimane sconcertato dalla mancanza di empatia di lei, lei gli fa rapporto non appena lo vede perchè il comportamento del collega non rispetta quel regolamento che lei invece segue alla lettera. Ecco, il punto è esattamente quello: davanti a quel mestiere che hanno giurato fedelmente di servire, i due protagonisti di The Bridge sono l’uno lo specchio delle mancanze dell’altro. Mancanze che, inoltre, l’altro non accetterà mai fino in fondo, finendo per vedere nel collega un giudice severo e silenzioso.
Ma alcune cose li accomunano, oltre al caso che devono risolvere insieme. Possiamo partire dalla stima dei colleghi. La polizia di Malmo adora Saga, la sua percentuale di casi risolti è altissima e le spetterebbe una promozione, se non fosse lei stessa a rifiutarla. Allo stesso modo, è grande l’influenza di Martin nella polizia di Copenaghen, per tutte le libertà che può prendersi con i suoi colleghi. È ascoltato, sempre, e spesso detta la linea, sostituendosi al suo superiore.
Insomma, Svezia e Danimarca non hanno mandato Saga e Martin a investigare per caso. Li hanno scelti perchè sono i migliori. E noi apprezziamo le loro qualità puntata dopo puntata.
L’altra caratteristica che li accomuna è un’interpretazione molto personale delle regole: chiunque lavori in polizia, o chiunque abbia visto molti crime, sa che nei mestieri legati al mantenimento dell’ordine, esiste una legge morale che deve essere ascoltata tanto quanto quella positiva a cui si fa ovviamente riferimento. Dirò di più: spesso e volentieri è questo il dilemma alla base di un buon crime, e The Bridge, che è un ottimo prodotto, non fa eccezione. Ebbene Saga e Martin scelgono di non ascoltare una delle campane, intenzionalmente, trovandosi però a confrontarsi con l’altro che ha fatto la scelta opposta. Saga non capisce l’umanità di Martin, Martin non accetta la rigidità di Saga.
Ma durante l’indagine della prima stagione, costretti a collaborare, i due impareranno ad apprezzarsi, a mezza bocca. Non se lo diranno mai apertamente, ma lo mostreranno in più di un’occasione. Saga e Martin smettono di essere due strade parallele, per diventare, invece, quei due significati che rendono una parola completa.
Perchè una delle chiavi di lettura perfette per spiegare il rapporto tra Saga e Martin sembra essere proprio la grammatica.Â
Molte parole, in qualsiasi lingua del mondo, possono avere un doppio significato: quello denotativo, ovvero la definizione da vocabolario, e quello connotativo, ovvero l’insieme di tutti gli usi metaforici della parola stessa. Ebbene, della stessa parola, cioè “legge”, (ma potremmo anche allargarci al concetto di “giustizia”), Saga è il significato denotativo, letterale, rigido, schematico, perfetto, preciso fino al midollo, mentre Martin è il significato connotativo, nell’accezione più larga della legge usata come potere, per fare del bene ma anche per fare del male.
Entrambi affrontano un passato che non ci viene rivelato, se non a pezzi e sempre nel bel mezzo dell’indagine (ma che bello è vedere un crime senza flashback, che ti costringe a stare completamente dentro il caso, senza potertene staccare mai?). Passato che li ha resi ciò che sono, soprattutto perchè non rivelato a nessuno. Passato che si riverbera nel presente quindi: Saga soffre di qualcosa di simile alla Sindrome di Asperger; Martin invece ha una dipendenza dal sesso e un rapporto molto complicato con tutto ciò che comporta la parola fiducia.
Nessuno dei due ammetterà mai che esistano falle nei propri sistemi di lettura del mondo, quindi tutti i loro dialoghi sono dei piccoli scontri. Saga e Martin sono una coppia elettrica, in cui ogni discorso dell’uno colpisce, spesso senza volerlo, l’altro. In un contesto di costruzione dei personaggi, poi, che è completamente anticonvenzionale nel mondo dei crime che conosciamo.Â
Scelta vincente, ma che va spiegata nelle sue declinazioni.
Primo punto: The Bridge sceglie di non puntare sull’estetica dei personaggi, calcandoci la mano. Saga e Martin sono, rispetto a quello che siamo abituati a vedere, “brutti”. Addirittura Sofia Helin viene dotata di una vistosa cicatrice e di effetti fumè che quasi le rendono il viso un po’ sporco. A Kim Bodnia invece basta essere sempre trascurato e mostrare senza problemi una non invidiabile pancetta alcolica. Tra gli altri presonaggi abbiamo ragazzine acerbe, donne con parrucche raffazzonate, uomini con baffi troppo grandi per il volto ecc.
Secondo punto: tra i due detective di sesso opposto non si crea una tensione erotica nemmeno per sbaglio. Pensate anche solo per un attimo a Law and Order – Special Victims Unit e a tutte le ship, reali o presenti solo nella mente dei fan, di cui è protagonista Olivia Benson. Quante volte in un’indagine si flirta di più che durante un invito a cena? Ebbene in The Bridge non c’è nulla di tutto questo (e sia lodato il cielo!).
Infine, e questo è il punto più sorprendente per chi è abituato a un crime classico, manca quasi del tutto la confidenza tra i detective. Quando uno dei due deve portare l’altro nel suo mondo, lo fa inevitabilmente forzandolo, e mettendolo in una posizione di disagio. Saga si trova costretta a mantenere i segreti di Martin, Martin a sopportare le dichiarazioni a ruota libera di Saga. E quando sono insieme, non nascono quasi mai conversazioni epiche (anche se i dialoghi sono molto curati); Saga e Martin insieme sono goffi, impacciati, imprecisi e stupiti ogni volta dalle assurdità dell’altro.
Nonostante questo, però, a fatica, senza alcuna naturalezza e forse solo per l’indagine in corso, Saga e Martin imparano a fidarsi l’uno dell’altra.
Saga si forza per superare il suo modo elettrico e schematico di comportarsi; Martin impara il valore del silenzio e del dare retta alla testa più che al cuore. E il cambiamento è stupendo perchè supportato da due attori in stato di grazia. Avete presente Sheldon Cooper quando deve mantenere i segreti di Leonard? Ecco, Sofia Helin deve fare la stessa interpretazione, e le riesce tre volte meglio.
D’altro canto, Martin diventa il Leonard Hofstadter di Saga, colui che di fatto la introduce ai codici del mondo a lei fino a quel momento sconosciuti. Ma nell’insegnare impara, e non dimentica: impara a fidarsi di una donna senza volere per forza portarsela a letto; impara a restare sul pezzo anche quando i mille casini della sua mente lo porterebbero altrove; impara, pensando razionalmente, a criticarsi senza giustificarsi.
E pensandoci bene, la soluzione del caso della stagione 1 è la prova dell’esame dell’evoluzione del loro rapporto, prova d’esame che entrambi superano fallendola. Razzolano malissimo dopo aver ben predicato, ma lo fanno per un fine comune: proteggersi.
Saga da Martin ha imparato una stranissima e meccanica empatia; Martin da Saga che a volte bisogna ammettere le proprie debolezze e fragilità . La scena del viaggio per salvare Mete, la moglie di Martin, è tra le più belle della prima stagione. E si svolge completamente in silenzio. Saga calma Martin con un’empatia fino ad allora mai mostrata; Martin ritrova la calma, domando i suoi sentimenti.
E nel momento dei saluti finali, non si diranno altro che un semplice “ciao!”, piangendo l’uno di nascosto dall’altro. Saga e Martin si sono conosciuti e si sono cambiati a vicenda, senza intaccare il proprio profilo esterno. Si sono arricchiti l’un l’altro di un significato nuovo, che si aggiunge al preesistente per allargare il suo raggio d’azione.
Esattamente come in grammatica: denotativo e connotativo, due significati per la stessa parola. Che sia “legge” o che sia “amicizia”, per una volta, lasciamo sceglierlo a voi.