The Crowded Room (qui la nostra recensione), da quando è uscito per Apple TV+ nel 2023, è stato ingiustamente ignorato o troppo poco dibattuto. Nonostante abbia legato il suo nome ad alcune critiche, mosse dal pubblico e dalla critica, non ha ricevuto indietro i giusti mezzi per difendersi.
La serie disponibile su Apple TV+ con Tom Holland e Amanda Seyfried protagonisti, è tutto fuorché banale e di sicuro spinge a delle riflessioni che debbano necessariamente andare oltre il mero aspetto estetico. Che a detta di chi scrive, ha comunque un suo potenziale.
The Crowded Room, basata sul romanzo di Daniel Keyes The Minds of Billy Milligan (in Italia tradotto come Una stanza piena di gente, più vicino al titolo della serie), è composta da dieci episodi che racchiudono la storia vera unica e complessa di Billy Milligan, che nella serie viene chiamato Danny Sullivan. Tom Holland, a cui viene affidato questo ruolo importantissimo e anche molto difficile, non fa fatica a portarlo avanti e riesce a trasportarci in una mente talmente lontana dalla quotidianità da risultare spaventosa ma anche molto interessante (anche a livello visivo). Amanda Seyfried, invece, è Rya Goodwin, l’espediente attraverso il quale viene raccontata tutta la storia di Danny Sullivan, o Billy Milligan.
Nel libro di Daniel Keyes è il Maestro (la personalità preponderante di Billy) a raccontare delle diverse personalità di Billy Milligan, l’unico che ha davvero sotto controllo tutti i suoi ricordi. È lui che ci guida nella storia di abusi infantili, violenze e rabbia nei confronti di Billy e dei reati commessi da una delle personalità di Billy stesso. Il caso di Billy Milligan, infatti, è il primo caso, nel 1977, di assoluzione totale per infermità mentale. È Billy stesso, infatti, affetto da un disturbo di personalità multipla inizialmente mal diagnosticato, a raccontare di alcune azioni efferate compiute da una parte di sé su cui lui non aveva nessun controllo. Nel libro di Keyes, sono dei dottori specializzati a tirare fuori il problema e renderlo reale, nella serie The Crowded Room è la specialista Rya Goodwin a parlare con Danny, il nostro Billy.
Per amore di narrazione, alcuni particolari sono chiaramente rivisitati, ma chiunque abbia letto il libro può serenamente guardare The Crowded Room senza rimanerne deluso. Anche se Billy si chiama Danny e anche se gli espedienti per arrivare al succo della questione sono leggermente diversi.
The Crowded Room riesce, infatti, a portare avanti la storia su cui si basa, rendendosi però anche indipendente da essa.
L’espediente che più di tutti funziona, è proprio quello dell’interrogatorio di Rya ai danni di Danny. È la tipica scena, che già in molti hanno ripreso, che ci ricorda inevitabilmente Il silenzio degli Innocenti, quel capolavoro del 1991 di Jonathan Demme che nessuno riesce a scordare. Quantomeno per l’impronta che ha dato in tempi non sospetti a un certo tipo di thriller psicologico. Come una novella Clarice Starling, Rya Goodwin di The Crowded Room si insinua nella mente di un killer seriale, pur non essendo profondamente a conoscenza di chi ha di fronte.
Proprio come la sfida di Clarice Starling era scendere a patti con un killer efferato, molto poco disposto all’ammissione ma anche molto consapevole di sé. The Crowded Room, che in questo senso raccoglie una grandissima eredità da Il silenzio degli Innocenti, non si pone come competitor o come omaggio nei confronti del film vincitore di cinque Primi Oscar, bensì ne sfrutta delle istanze e cerca di trarne degli insegnamenti. Pur essendo sicuramente un prodotto molto diverso, anche solo per il fatto che sia una serie tv e non un film.
Ma un punto in comune, i due prodotti, ce l’hanno eccome: entrambe le storie sono tratte da un bestseller che ha fatto il giro del mondo e che in tantissimi hanno letto. Entrambi, quindi, sono costretti a fare i conti con una climax mancato, inevitabilmente. Laddove il colpo di scena deve essere la base del thriller, per Il silenzio degli Innocenti e per The Crowded Room si crea un problema.
Lo spettatore che conosce la storia dei due serial killer, Hannibal Lecter e Billy Milligan, sa già quale sarà la svolta nella narrazione, sa già dove gli autori stanno andando a parare.
Nel caso della nostra The Crowded Room, entra in gioco anche un fattore piuttosto singolare: l’espediente utilizzato per raccontare delle diverse personalità di Danny, è l’incarnazione. Quindi i vari personaggi che convivono nella sua mente sono personificati, e interpretati da veri e propri attori che interpretano le storie che Danny racconta a Rya Goodwin. Lo spettatore che avesse già letto il libro scorge sicuramente dei dettagli che uno ignaro di tutto invece non coglierebbe (per approfondire in merito). E questa mancanza dell’effetto sorpresa è sicuramente qualcosa con cui The Crowded Room ha fatto e deve fare i conti. Esattamente come era già successo per Il silenzio degli Innocenti.
Ma, come si diceva, The Crowded Room raccoglie molto di più dall’eredità de Il silenzio degli Innocenti. Primo fra tutti il rapporto tra killer e innocente. Tra consapevolezza dei propri peccati efferati e voglia di comprensione ingenua e naturale. Il personaggio di Danny, e di conseguenza la persona di Billy Milligan, ha per forza di cose delle similitudini con una delle figure (immaginarie) più inquietanti della storia della letteratura. Nonostante Milligan sia una persona reale e Lecter no, il paradossale accostamento rende l’uno il Maestro (non a caso) dell’altro.
E il modo in cui The Crowded Room delinea la figura di Danny Sullivan, ci racconta immediatamente di quel tipo di serial killer, che Lecter ha ispirato nell’immaginario collettivo. Danny (e stavolta si sta parlando solo di The Crowded Room, slegato dalla figura reale di Milligan) è asettico, è consapevole ed è atavico.
Sembra, insomma, non provare rimorso ma soprattutto sembra non provare praticamente nulla. Una figura che pare “svegliarsi” solo sotto processo, solo se minacciato da qualcosa di più grande di lui. Solo quando, con un fare incalzante, una Rya Goodwin (o una Clarice Starling) dimostra di comprenderne la mente contorta e complessa. Figure, quelle di Milligan e Lecter, che si vedono solo attraverso gli occhi di chi le accoglie.
Come si diceva, molti prodotti dal 1991 in poi hanno cercato di richiamare e omaggiare Il silenzio degli Innocenti, soprattutto attraverso la narrazione dell’interrogatorio (pensiamo a quel fantastico prodotto che è Mindhunter). Cosa distingue The Crowded Room da tutti loro, quindi? Forse nulla in particolare, forse tutto. The Crowded Room gioca molto con i dettagli più minuziosi, come fosse la narrazione stessa a essere per prima ingannevole. La lotta continua contro il colpo di scena mancato, che a un film come Il silenzio degli Innocenti non ha minimamente provocato cali o scompensi, e che The Crowded Room affronta in maniera egregia, pur se con meno difese corazzate.
Forse, quindi, più di tutti gli altri The Crowded Room impara da Il silenzio degli Innocenti come non sopperire sotto al peso dell’aspettativa, come non mancare il colpo nemmeno quando tutti si aspettano che accada. E anche come delineare una figura completamente negativa, in modo che appaia scevra dalle implicazioni morali e che diventi solamente interessante, se non difendibile (solo nel caso di Billy Milligan).
The Crowded Room eredita una grande sfida, ne trae dei vantaggi e fa di tutto per non mettersi a paragone con essa. Ma una cosa è sicura: The Crowded Room merita di essere visto, come Danny e come Billy, merita di essere guardato, quanto meno per essere compreso (e vi assicuriamo che c’è molto da salvare).