Inserirsi in uno show rodato non è semplice. E, ancor più, indossare le vesti di un personaggio straordinario ma, diciamo, complicato come la Regina Elisabetta. Serve umiltà, serve coraggio, serve talento e nemmeno poco. Una serie di qualità che sicuramente non mancano a Olivia Colman, l’attrice britannica premio Oscar per La Favorita che nella terza stagione dell’acclamatissima The Crown (qui la nostra recensione) ha dato forma alle gioie, agli affanni, alla vita della sovrana inglese. Senza dimenticare l’estrema cura messa nel riprodurne l’accento e l’impercettibile, ma eloquente mimica facciale.
Messa da parte Claire Foy, indimenticata e indimenticabile interprete dell’Elisabetta più giovane e inesperta, spaventata dal peso della corona e dal futuro di impegni e oneri che il destino le aveva assegnato, quella di Olivia Colman è una donna alle prese con altre battaglie, altre preoccupazioni, altri pensieri. E lo si nota benissimo sin dai primi minuti dell’episodio d’apertura: davanti alla sua effige, quella stessa immagine che tutta l’Inghilterra vedrà su francobolli e banconote, Elisabetta riflette sul tempo che passa, su quello sguardo che non brilla più come un tempo, su quelle rughe, segno degli anni che scorrono veloci e delle responsabilità che aumentano.
Un tema, questo dell’invecchiare e dell’accettare l’inevitabile sfiorire della bellezza giovanile, che sembra attraversare gli intrecci di tutte le donne della terza stagione di The Crown.
Perfino della spregiudicata e spensieratissima Margaret, abituata a indossare una maschera di costante menefreghismo nei confronti dell’etichetta per nascondere il dolore e la frustrazione di un matrimonio che non va come vorrebbe e di un secondo posto che la costringe a essere la spalla della sorella e a non brillare come pensa di meritare.
Quando gli scenari politici cambiano e le certezze di un tempo iniziano a crollare, la regina non può prendersi il lusso di lasciarsi fagocitare dalla paura e deve affrontare i risvolti della crisi a muso duro: muore Winston Churchill e con lui la sicurezza di poter contare su un pilastro stabile e su occhi che non l’avrebbero mai tradita, arriva il nuovo primo ministro, Wilson, e arrivano con lui il sospetto del tradimento e la difficoltà di incastrarsi con idee politiche e visioni completamente nuove e diverse dalla sua. Inizia a serpeggiare il pericolo di un colpo di Stato e il rischio di vedersi franare addosso quel mondo che, sin da bambina, è stata abituata a vedere e a immaginare come la destinazione finale.
L’Elisabetta di Olivia Colman ha così tanto da gestire da non riuscire, spesso, a prendersi una pausa da quello che gli altri vorrebbero lei facesse per capire sul serio cosa vorrebbe lei. Un’abitudine a non ascoltarsi che l’ha portata a soffocare l’emozione e a scambiarla per debolezza, ad asciugarsi le lacrime nell’ombra e a mostrarsi al suo popolo come granitica e risolta, anche quando il dolore non la lasciava respirare. Uno scenario che Peter Morgan ha racchiuso magistralmente nel terzo episodio, dedicato al disastro minerario che nel 1966 ha colpito il villaggio gallese di Aberfan.
La tragedia è il plot ideale per sviscerare la difficoltà della regina a concedersi il lusso della compassione.
Non le mancano l’empatia né la sensibilità per soffrire con le madri che hanno perso i loro figli o le nonne che hanno salutato i loro nipoti sulla strada della scuola senza pensare alla possibilità di non rivederli mai più: l’educazione a cui è stata abituata ha ucciso in lei la spinta a manifestare l’emozione, implodendo qualsiasi cosa non sia ammessa dal protocollo. Fino a scoppiare. Il momento in cui non riesce più a trattenersi è di una delicatezza commovente: Olivia Colman regala alla sua regina una sola lacrima ed è in quella sola lacrima che si nasconde tutto il cuore di una donna che ha dovuto rinunciare alla se stessa più umana per il bene della nazione. E che sa essere impassibile senza essere meccanica, controllata senza essere anaffettiva.
Camminare su un filo sottilissimo e non avere il diritto di sbagliare, anche inconsapevolmente. È questo il mantra che guida l’Elisabetta regina, madre e moglie della terza stagione di The Crown, è questo il percorso che la Colman è riuscita a interiorizzare e nel quale è stata capace di coinvolgere il pubblico anche solo con uno sguardo. Una delle mille ragioni per cui non ha fatto sentire alcuna nostalgia di quel che c’era prima di lei. Il casting non poteva essere più centrato e l’avvicendarsi delle due attrici non è stato altro che l’immagine perfetta del susseguirsi di giovinezza e maturità e del naturale adattarsi di una persona a due fasi diverse della sua vita e al bagaglio di esperienze ed esigenze che si portano dietro ben 25 anni di regno.
Il regno. Fardello e tesoro di una madre che, per la Corona, si trova anche a discutere col primogenito.
Il rapporto di Elisabetta con Carlo è un altro dei punti più alti della terza stagione di The Crown. Terminati gli studi, arriva per il giovane primogenito il momento di assumersi delle responsabilità. Ma il ragazzo non sembra avere intenzione di seguire quello che le regole prevedono e non riesce a non esprimere la propria opinione. Sarà proprio la sovrana a sbattergli in faccia la dura realtà: quelli come loro non hanno diritto di vedere le cose coi loro occhi e di poterlo esprimere a parole, quelli come loro devono mettere il pensiero a disposizione di cose ben più grandi e non possono illudersi di poter fare quel che vogliono. Anche e soprattutto nelle relazioni sentimentali, altro elemento di rottura tra i due che andrà a coinvolgere anche la problematica secondogenita Anna. Insomma, più che la politica, è forse la famiglia il peggiore dei grattacapi della regina che, oltre ai corsi e ricorsi storici della scena pubblica, deve riuscire a barcamenarsi tra le bizze e i capricci di figli parecchio fumantini.
Fare differenze tra il prima e il dopo non sarebbe giusto e neppure corretto, ma ripetere a gran voce e all’infinito quanto mostruosamente brava sia stata Olivia Colman sì, quello è quasi un dovere. E i dieci episodi in cui ha dato prova delle sue capacità ne sono l’esempio più bello. Soprattutto davanti a chi, prima che tutto iniziasse, prima di vedere anche solo un minuto di un episodio a caso, storceva il naso davanti alla scelta di un’attrice che di Elisabetta non aveva neppure il colore degli occhi. Come se facesse la differenza rispetto a una performance inappuntabile. Come se facesse la differenza davanti a un’attrice che della regina ha saputo cucirsi addosso anche le coordinate più nascoste. Quelle della geografia dei suoi sentimenti.