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6 cose che ho pensato dopo aver visto il pilot di The Curse

The Curse
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Ideata da Nathan Fielder e Benny Safdie, co-regista di “Uncut Gems”, The Curse segue le vicende di Asher (interpretato da Fielder stesso) e Whitney Siegel (interpretata da Emma Stone), una coppia appena sposata che ha deciso di avviare un’impresa insieme. La trama si concentra sui loro sforzi per lanciare un reality show televisivo temporaneamente intitolato “Flipanthropy”, con l’intenzione dichiarata di aiutare persone in gravi difficoltà economica nella città di Española, nel New Mexico. Tuttavia, queste azioni positive servono principalmente a promuovere e sponsorizzare l’attività di ecohome dei Siegel, basata su un modello di acquisto di proprietà a basso costo e su case così ecosostenibili da sembrare irreali. Nel corso della loro missione di gentrificazione dell’area, non mancano certo caffetterie minimaliste con attraenti baristi australiani, negozi di abbigliamento con taglie ridotte e una varietà di pezzi di artigianato destinati a rimanere invenduti. Insomma una pubblicità farlocca in piena regola che “promette due paghi uno” ma che poi, guardando meglio l’etichetta ti rendi perfettamente conto dell’inganno di questi due truffatori.

Ecco tutto quello che ho pensato quando ho visto il pilot di The Curse

1) Cosa diavolo è The Curse?

Fin dai primissimi cinque minuti, la prima puntata di The Curse ti trascina in un vortice di imbarazzo e vergogna dal quale non sai ben come districarti. Assisti impotente a quell’introduzione che vuole mettere subito in chiaro la natura dello show e dei suoi protagonisti. Si tratta di un dietro le quinte in piena regola della peggior tv spazzatura, quella fatta appunto di storie strappalacrime dove però le lacrime sono artificiali. La sagra del cringe con il regista che si accanisce su una povera nonnina messicana malata di cancro, mentre i due presentatori rimangono immobili sulla sedia troppo deboli per fare o dire alcunché. E io ci ho anche inizialmente creduto che fosse stato lo shock a lasciarli impotenti ma sono bastati altri cinque minuti di puntata per convincermi definitivamente della bassezza morale di Whitney e Asher. Così si passa dal dietro le quinte che non ti aspetti al reality che invece è proprio come te lo eri immaginato: sorrisi radiosi incollati a un volto privo di empatia, dialoghi scritti senza capo né coda, una gestualità plateale da far invidia al teatro shakesperiano.

E quando pensavo che non potesse succedere qualcosa di ancora più cringe, ecco che la serie mi smentisce prontamente mettendomi di fronte nuove situazioni grottesche durante le quali non riesco a distogliere lo sguardo pur desiderandolo tantissimo. Come la scena in cui Asher si ritrova ad avere un dialogo con il suocero riguardo le dimensioni reciproche del pene. Un dialogo surreale che dovrebbe essere dichiarato illegale in qualunque manuale di sceneggiatura per il senso di disagio che trasmette allo spettatore. Eppure è proprio in quel disagio che The Curse brilla catturandoci nella sua rete.

2) Emma Stone è sempre stata così inquietante come in The Curse?

The Curse
The Curse (640×360)

Negli ultimi tempi, Emma Stone sembra ormai sempre più decisa a scrollarsi di dosso l’immagine della ragazza acqua e sapone che l’ha contraddistinta all’inizio della sua carriera e che l’ha legata soprattutto a rom com e commedie di vario tipo. Con The Curse, e ancora di più nel nuovo film di Yorgos Lanthimos “Povere creature”, la Stone si lascia letteralmente andare al lato più folle, insensato dirompente di se stessa. Nella dramedy di Showtime (che non ha sempre regalato belle serie tv), l’attrice non rinuncia al suo proverbiale talento comico ma lo volge a favore di una satira nuda e cruda in cui non interpreta per nulla il personaggio positivo della storia. Da povera, ingenua presentatrice in carriera, Whitney inizia a mostrare le crepe della sua maschera. Prima con il colloquio che le mette le spalle al muro e rivela di più sul suo passato, poi il ricatto orchestrato con quell’altro genio di suo marito e infine la visita a casa dei genitori. Con i suoi occhioni da cerbiatto e il sorriso smagliante, la Stone raggiunge qui nuovi livelli di inquietudine che ti fanno seriamente pesante che dietro la falsa ingenuità e il perbenismo spicciolo possa celarsi una psicopatica in piena regola.

3) L’inettitudine racchiusa in un uomo

All’altro capo del filo troviamo lui, l’inetto che neppure Svevo avrebbe mai potuto pensare di scrivere. L’uomo senza qualità che si aggira sullo spazio scenico senza un perché con grande imbarazzo di noi tutti. Ci sono stati alcuni momenti in cui mi sono ritrovata genuinamente a coprirmi gli occhi con la mano, seguendo quell’impulso primordiale del “non voglio guardare ma non posso farne a meno”. Un po’ come la prima volta che vidi Gollum scendere da quella maledetta rupe nel secondo capitolo del Signore degli Anelli e che, si lo ammetto, ancora oggi al pensiero mi mette i brividi. Asher, con i suoi modi goffi, la sua faccia da schiaffi e quell’insopportabile camicia azzurra, agisce senza uno scopo, succube della sua stessa inettitudine che lo rende un ometto da nulla sia nella vita privata che in quella lavorativa. Uno dei momenti più cringe raggiunti nella prima puntata è quella dello scambio di soldi dentro il bar, dove Asher va a prendere il denaro da dare alla bambina somala. In poche semplici battute è presente ogni stereotipo possibile e vorremo solo sprofondare nel divano in cui siamo seduti.

4) Ho già visto lui?

I fan di Nathan Fielder sanno quanto il regista, attore e sceneggiatore non sia affatto interessato a dare al proprio pubblico il classico prodotto comfort. Nato come comico. Fielder si è affermato come autore di stand-up comedy in show in cui non si è mai fatto alcun problema a mettere in ridicolo se stesso e gli altri. Come per esempio, Nathan for you su Comedy Central e, più recentemente, The Rehersal sulla HBO. Entrambi i prodotti mostrano perfettamente la capacità di Fielder di spingere l’acceleratore sulle situazioni sociali più imbarazzanti e di non mollare la presa. Insieme a Benny Safdie ha dato quindi forma e sostanza a una dramedy strana, satirica e grottesca che ricorda vagamente un romanzo di Stephen King e forse fa ancora più paura.

The Curse
Nathan Fielder ed Emma Stone (640×360)

5) La maledizione è vera?

Sicuramente il più grande mistero della serie tv è proprio quello che dà il nome al titolo. Dougie, il regista, cerca in ogni modo possibile di aggiungere altro materiale per lo show tanto da convincere Asher a dare del denaro alla piccola bambina somala a favore di telecamere. Ma quando queste smettono di registrare, ecco che l’inetto Asher si riprende i 100 dollari e le promette di restituirgliene 20 non appena li avrà cambiati. La bambina però non prende molto bene la cosa, e vorrei ben dire, e con un tono solenne da brividi lo maledice. Scosso Asher si rifiuta di prendere sul serio la minaccia ma qualcosa ci dice che questo sarà solo l’inizio della fine per i nostri disgraziati protagonisti. Che piega prenderà la maledizione che la bambina ha lanciato sui Siegal? Avrò davvero delle ripercussioni o minerà solo di più la loro fragile facciata perbenista borghese? Sicuramente è l’elemento più intrigante dello show perché, nello stile di Fielder, c’è da aspettarsi l’insospettabile e la cosa mi ha incuriosita alquanto in questo primo episodio.

6) Non so cosa aspettarmi da questo show

Ciò che lascia davvero turbati dopo la visione del primo episodio di The Curse è l’assoluta convinzione che i due protagonisti mettono in quello che fanno. Non solo davanti alle telecamere. Ed è di fronte a quella insensibilità nei confronti della povera comunità a cui si rivolgono che la mia curiosità per il futuro della serie tv cresce. C’è una schiettezza nel raccontare di questi casi umani che raramente si vede in tv, un modo di mettere in mostra le loro miserie in maniera allo stesso tempo sottile e ironica. Fileder sa bene ciò che fa e il fatto che si tratti di una miniserie mi fa davvero ben sperare in un finale con il botto, uno di quelli che alla fine ci lascerà tutti con un gran mal di testa e mille domande in sospeso. Forse come è giusto che sia.