“You think you can just do whatever you want, there’s not gonna be consequences?”
– Whitney Siegel
Si è chiusa da un paio di settimane The Curse, una delle miniserie più strane e sconvolgenti che vi capiterà di vedere negli ultimi tempi. Un prodotto che definire “sui generis” sarebbe un eufemismo perché lo show, creato da Nathan Fielder insieme con Benny Safdie, non può essere facilmente catalogato in un genere specifico. Né è una sua intenzione farlo. Presentata come una comedy a tinte sovrannaturali, la miniserie è un insieme di situazioni grottesche, personaggi insopportabili e stereotipi agghiaccianti. Ma quando pensiamo di aver capito un po’ meglio la sua natura, ecco che The Curse ci lascia un’ultima volta a bocca spalancata con un series finale che stravolge ogni cosa.
ATTENZIONE! Se non avete ancora visto l’ultimo episodio di The Curse, vi consigliamo di non proseguire con la lettura.
Il sogno dei coniugi Siegel sembra essersi finalmente realizzato. Dopo un nono episodio che ha messo fortemente in crisi la coppia, spingendo Whitney a riconsiderare il loro matrimonio, la tempesta sembra ormai passata. Asher ha dichiarato il suo grande amore per la moglie, seguendo quello che ci è apparso in tutto e per tutto un copione scritto da Nora Ephron. Ammettendo di essere lui stesso il problema, Asher fa un mea culpa di fronte al quale Whitney non può che capitolare. Così, il decimo episodio si apre su quello che sembrerebbe un nuovo e gioioso inizio. Sono passati alcuni mesi e Whitney è incinta e molto vicina a partorire.
Ospiti a un programma televisivo di cucina, i coniugi Siegel presentano la prima stagione del loro programma “The Green Queen”, disponibile in streaming. Mi raccomando andate a recuperare tutti gli episodi! Ma non c’è tempo per parlare di eco house e di scelte sostenibili, suvvia, e la parola passa di nuovo all’ospite speciale di questa puntata e alle sue favolose polpette della nonna. Con un sorriso tiratissimo in volto, Whitney e Asher rimangono sullo sfondo in attesa che venga data loro di nuovo la parola. Cosa che, ovviamente, non succede. E mentre la presentatrice ironica e l’ospite gioviale intrattengono il pubblico con una serie di battute tutte uguali tra loro, noi, pubblico da casa, siamo ipnotizzati dalle composte pose dei due protagonisti e dalla loro finzione.
Un finale che inizia nel solito, vecchio disagio, accompagnandoci lentamente per mano verso la chiusura della storia dei Siegel. Li guardiamo, come sempre, da lontano, dietro un vetro o da una porta semichiusa. Siamo osservatori silenziosi che sono ormai venuti a patti con la loro farsa, commiserandoli un po’ persino. Li guardiamo mentre si destreggiano nel recitare lo stesso ruolo, anche a distanza di mesi, come se niente fosse accaduto. Non hanno imparato nessuna lezione né su se stessi né sul mondo che li circonda, alla faccia del “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. I detti, però, sono una fonte inesauribile di saggezza e mai, come in questo finale, ci pare azzeccato pensare a “chi semina vento raccoglie tempesta”. Così viene imbastito un ultimo grande tragicomico siparietto che non ci prepara per nulla a quella che sarà poi la seconda metà della puntata.
Asher decide di fare un dono a Whitney ma sa benissimo che nulla di materiale potrebbe davvero piacerle. Né i gioielli, né una borsa, né un bel pandoro della Ferragni. Quello che davvero farà felice la sua dolce metà è la consapevolezza di aver fatto felice qualcun’ altro. Così Asher decide di regalare la casa di Questa Lane ad Abshir e alla sua famiglia. Che gesto nobile e altruista! Non è vero Whitney? I due felici corrono da Abshir per dargli la bella notizia, fieri del loro essere delle così brave persone. Peccato che la reazione dell’uomo non sia quella di gratitudine eterna, come avevano prematuramente immaginato i due allocchi. Insieme ad Abshir, tra l’altro, vediamo di sfuggita un altro uomo che, siamo quasi certi, sia lì per aiutare a spogliare la casa di tutto.
Non esistono brave persone. Le persone sono quelle del mondo reale: meschine, egoiste, impacciate, impreparate, fragili e molteplici.
Abshir pensava di essere sfrattato. Ed è qui che The Curse compie un parallelismo, nel suo finale di stagione, con ciò che è successo al padre di Whitney. Lo “squartatore” era considerato un bravo ragazzo dalla gente della comunità, ma si è comunque approfittato del proprietario dei bassifondi. A torto o a ragione. Allo stesso modo, anche Abshir fa il suo gioco pensando solo a se stesso. Forse perché provato dalla vita, forse perché in mala fede. Non ha importanza. Non è questo il punto, come la serie tv ci tiene a precisare puntata dopo puntata. La battaglie etica di cui Whitney e Asher si fanno così tanto promotori esiste solo nella loro testa. Perché la vita è molto più complicata e non può essere ridotta a una semplice distinzione tra bene e male, giusto e sbagliato, persone buone o persone cattive. Non esistono schieramenti definiti come accade nei libri.
L’assurdo viene raggiunto quando, anche di fronte all’evidenza dei fatti, i due non vogliono accettare la verità. Continuano a mentire a se stessi e agli altri sorridendo affabili e agendo in maniera sconsiderata. Il mondo è un palcoscenico e loro sono dei pessimi attori. Il finale, però, cambia ogni cosa. Se per nove episodi non succede nulla, nell’ultima mezz’ora del decimo accade tutto. In maniera così repentina da farci sospettare di aver iniziato una serie tv diversa senza nemmeno essercene resi conto. Il nostro errore è stato non credere più nelle maledizioni e non aver prestato attenzione agli indizi.
Dai vigili del fuoco alla pressione nella stanza del bambino, passando per quei riferimenti all’Olocausto che “fa ridere ma anche riflettere”, giusto per citare un altro bel luogo comune. Insomma, Nathan Fielder ha provato ad avvertirci sulle sue intenzioni ma eravamo così invischiati nella rete di assurdità dei Siegel da non sospettare minimante del destino di Asher. Già, ma cosa è successo ad Asher? Ancora una volta The Curse non si preoccupa minimante di chiarire le cose lasciandoci spiazzati ed esterefatti mentre lo sventurato vola sempre più in alto, nel blu dipinto di blu e poi nello spazio profondo. La maledizione esiste davvero allora? Per scomodare due grandi, ma giusto un pochino, Kafka e Saramago approverebbero di gran lunga questo finale.
Lo abbiamo già detto in un’altra recensione d’altronde. Asher è l’inetto per eccellenza ed è nel suo destino che si realizza quell’impotenza alla vita di cui è vittima anche il povero Gregor Samsa, oltre a Zeno Cosini. Vittima o artefice del suo stesso destino? Il dibattito sarebbe troppo lungo quindi lasciamo che siate voi a decidere. Perché la vera maledizione forse è quella di pensare che qualcosa abbia davvero importanza quando invece non è così. Almeno questa sembrerebbe la morale di The Curse. Nulla ha senso. Niente ha importanza. Né le case che regali, né quanto tu sia eco sostenibile, né quanto tempo passi al cellulare e neppure quale sia il trauma che hai vissuto. Perché la vita stessa è una maledizione. Una alla quale puoi opporti rimanendo con i piedi saldamenti ancorati a terra oppure puoi lasciare che ti faccia volare via.