La prima stagione di The Diplomat è uscita lo scorso 20 aprile su Netflix. Il colosso dello streaming ha voluto fare le cose in grande affidando un progetto ambizioso a due donne decisamente fuori dal comune: Debora Cahn e Keri Russell.
La prima, sceneggiatrice e produttrice esecutiva, vincitrice di un Writers Guild of America per la miniserie Fosse/Verdon, pur molto giovane ha già un curriculum seriale davvero incredibile. Tra il 2002 e il 2006, infatti, ha fatto parte dello staff di sceneggiatura con Aaron Sorkin in The West Wing scrivendo ben 34 episodi (ricevendo una candidatura agli Emmy); subito dopo, tra il 2006 e il 2013 era nello staff di Shonda Rimes in Grey’s Anatomy per la quale ha scritto 17 episodi (ricevendo una candidatura agli Emmy); nel 2016 ha scritto tre dei dieci episodi di Vynil; e tra il 2018 e il 2020 ha partecipato alla stesura di cinque episodi di Homeland nelle ultime due stagioni.
La seconda, Keri Russell, tra le altre cose, tra il 2013 e il 2018 è stata Nadezhda, alias Elizabeth Jennings, in The Americans, ruolo per il quale ha vinto un Satellite Award.
L’incontro tra l’attrice e la sceneggiatrice, visti i trascorsi di entrambe legati a due importantissimi thriller spionistici, avrebbe fatto pensare a una storia dalle tinte fosche, complicata e complessa, e oltremodo violenta. In realtà The Diplomat è tutt’altro. Del resto il personaggio interpretato da Keri Russell, Kate Wyler, è la nuova ambasciatrice americana a Londra, sistemata nella capitale inglese dal presidente americano, interpretato da Michael McKean (tra le altre cose Chuck McGill in Better Call Saul), e dalla sua capo di gabinetto, interpretata da Nana Mensah (tra le altre cose la dottoressa Candelario in New Amsterdam). E come ambasciatrice ha un range operativo piuttosto ristretto che non le permette certo di prendere un’arma e cominciare a sparare a destra e a manca né, tanto meno, comandare un’incursione di un drone killer in territorio nemico. Anche se, almeno nel caso della pistola, ogni tanto si ha l’impressione che il personaggio di Keri Russell ne avrebbe tanto volentieri bisogno soprattutto per usarla contro il marito, interpretato da Rufus Sewell.
The Diplomat inizia con il siluramento di una portaerei inglese nel Golfo Persico. Le agenzie spionistiche e le sedi diplomatiche sono in fermento per cercare di capire chi siano i colpevoli. Le prime cercano prove, le seconde avviano contatti con alleati per garantire una sorta di legittimità in caso di risposta armata. Ma le cose, ovviamente, non sono come sembrano e il compito della neo ambasciatrice americana sarà quello di indirizzare la politica, americana e inglese, a prendere le giuste decisioni evitando lo scoppio della Terza Guerra Mondiale.
Le otto puntate presenti sulla piattaforma di streaming, equamente suddivise tra i registi
Simon Cellan Jones, Alex Graves (The West Wing), Liza Johnson (The Last of Us) e Andrew Bernstein (Ozark e Jack Ryan), raccontano un’avvincente storia politica farcita da una romantica storia d’amore. La protagonista, infatti, oltre ad avventurarsi nei meandri della complessa arte della diplomazia ha a che fare con il marito, anch’egli ambasciatore, attualmente sistemato in panchina dal Dipartimento di Stato. Un problema non da poco per l’egocentrico ex diplomatico incapace, almeno inizialmente, ad accettare il ruolo di semplice spettatore anziché di giocatore protagonista nella scacchiera dell’ordine mondiale.
La creazione di The Diplomat ha radici lontane, che risalgono addirittura all’epoca di The West Wing. L’autrice, infatti, racconta di aver avuto un accenno di idea proprio lavorando con Aaron Sorkin. La questione, per Debora Cahn, era quella di trasferire quanto appreso in un contesto più internazionale rispetto al solo Studio Ovale. Qualcosa che avesse un riflesso sull’intero pianeta. Questa idea, poi, ha cominciato a germogliare durante il suo periodo homelandiano. Com’è risaputo gli autori della fortunata serie, prima di scrivere gli episodi di una nuova stagione, effettuavano degli incontri con personaggi di alto profilo politico, militare e diplomatico per cercare di dare alla serie la maggiore verosimiglianza possibile. Proprio durante uno di questi incontri prende forma l’idea di un’ambasciatrice: “Mi ritrovai di fronte una donna straordinaria con una storia personale e lavorativa mozzafiato. Mi ero sempre immaginata gli ambasciatori intenti a bere champagne e a parlare del meteo sbagliando completamente“.
“Il personaggio di Kate Wyler nasce quasi per un’esigenza personale. Sono cresciuta in un ambiente dove l’ambizione femminile e la conseguente realizzazione di essa erano mal considerate non soltanto dagli uomini ma anche e soprattutto dalle donne. Ho sentito dentro di me la necessità di rappresentare una donna già ampiamente soddisfatta della propria carriera che si ritrova a dover fare un lavoro che non vuole. Ma per senso del dovere verso il suo paese è in grado di farlo in maniera incredibilmente efficace“.
Un po’ come accade in Madam Secretary, altro political drama dove la protagonista, Tea Leoni, è un ex agente della CIA promossa al rango di Segretaria di Stato. E tra l’altro non è nemmeno l’unica somiglianza tra le due serie.
Di somiglianze The Diplomat è piena. Il rapporto conflittuale tra marito e moglie, per esempio, ricorda molto quello presente in Political Animals tra Sigourney Weaver, Segretaria di Stato ed ex candidata alla presidenza, e Ciarán Hinds, ex presidente incapace di accettare un ruolo secondario, soprattutto se sotto la moglie.
Un altro rimando è certamente legato a Homeland dove il personaggio di Carrie Mathison, interpretato dalla meravigliosa Claire Danes, è l’unica a voler evitare una guerra mondiale facendo letteralmente di tutto.
Per non parlare del rapporto caratterizzato da continui battibecchi tra titolare e sottoposto presente sia in The West Wing che in Grey’s Anatomy.
Ma oltre alle similitudini ci sono anche diverse citazioni alcune delle quali sono omaggi alle serie nelle quali Debora Cahn ha lavorato. Come per esempio quando Kate Wyler si sporca i pantaloni con dello yogurt che le lascia una bella macchia. Il riferimento è a un episodio di The West Wing durante il quale CJ Cregg si sporca la camicetta e non può cambiarsi.
Un evento del tutto casuale, un evento del tutto naturale. Un evento che, apparentemente, sembrerebbe inutile ma che invece pone l’accento su quella che potremmo definire, citando anche noi, la linea comica della serie.
“Volevo scrivere una storia che corresse continuamente sul filo del rasoio: da una parte la serietà degli argomenti inerenti la guerra, dall’altra la commedia utile ad alleggerire una situazione che altrimenti potrebbe risultare asfissiante, soprattutto considerata l’attuale situazione che stiamo vivendo“. Perché la nostra realtà è ben presente all’interno della serie sfornata da Netflix con riferimenti alla guerra in Ucraina, la presenza di un presidente americano anziano e bisognoso di badanti e un primo ministro inglese che si ispira a certe folli politiche di Boris Johnson.
Dunque, il dualismo tra dramma e commedia è costantemente presente tanto che in certi momenti lo spettatore rimane spiazzato, obbligato a chiedersi che genere di serie stia guardando. Nel corso di una singola puntata è possibile, infatti, alternare risate di cuore a sinceri momenti di preoccupazione sia per il matrimonio della protagonista sia per la situazione del mondo.
E tutti i personaggi, indistintamente dal ruolo che occupano all’interno della serie, regalano agli spettatori di questi momenti un po’ al limite grazie a una scrittura capace di giostrarsi sapientemente tra l’approfondimento e l’alleggerimento.
Fryderyk Chopin insegnava ai suoi allievi come andasse interpretata la sua musica: quello che si prendeva da una parte, accelerando, andava restituito dall’altra, rallentando, in modo che l’equilibrio della composizione non venisse mai meno. Così fa Debora Cahn permettendo alla sua creazione di non perdere mai di tensione e nemmeno di scadere nel ridicolo. Le estenuanti liti tra l’ambasciatrice e suo marito, per esempio, superficialmente appaiono come semplici siparietti, anche piuttosto snervanti a dirla tutta, mentre in realtà servono a definire il carattere dei personaggi e, di conseguenza, spiegano i loro comportamenti e le loro azioni.
Questo costante tira e molla, gestito per altro alla grande, sembra essere il marchio di fabbrica di Debora Cahn, qui alla sua prima volta come showrunner. Il talento dell’autrice c’è e si vede. Intrecciare due linee narrative, una geopolitica e l’altra romantica, riuscendo a non ingarbugliare niente, anzi evitando intrecci particolarmente complessi, non è cosa di poco conto.
La gavetta di Debora Cahn fatta con The West Wing e Grey’s Anatomy, di cui vogliamo ricordarvi i momenti più tragici, traspare in certi movimenti di macchina e certe scene sembrano prese dai suoi precedenti lavori e riadattate per The Diplomat. La serie è stata rinnovata per una seconda stagione visto il successo ottenuto e così, per fortuna, i cliffhanger finali avranno una spiegazione.
Come spettatori possiamo augurarci che le future puntate continuino su questo livello permettendoci di non annoiarci come non ci siamo annoiati in queste otto. Magari, con la prossima stagione, l’autrice riuscirà ad affrancarsi ancora di più dalle sue esperienze trovando il giusto equilibrio tra passato e futuro.