Ho deciso di vedere The Dropout incuriosita dalla storia (vera) narrata e dall’incredibile cast capitanato da Amanda Seyfried e Naveen Andrews, ma che conta nomi del calibro di Stephen Fry, Sam Waterston e William H. Macy giusto per citarne un paio (qui potete leggere la nostra recensione). L’idea della serie tv nasce dall’omonimo podacast della giornalista Rebecca Jarvis.
The Dropout, disponibile su Disney+, condensa in otto episodi da quasi un’ora la decennale vicenda che ha visto coinvolta Elizabeth Holmes e la sua azienda Theranos.
La Holmes, classe 1984, è stata fondatrice e CEO di Theranos, azienda che ha fondato quando aveva solo 19 anni utilizzando i soldi che sarebbero serviti per continuare i suoi studi alla prestigiosa università Stanford.
La struttura di The Dropout rende impossibile distaccare lo sguardo dallo schermo, ci immergiamo nella mente di Elizabeth, viviamo con lei il cambiamento, la folle determinazione che diventa ossessione, dissolvendo i confini tra realtà e finzione. Il suo sguardo nello specchio è un continuo monito a non mollare di fronte a niente, imparando a inghiottire la realtà come fa il disgustoso frullato verde di Sunny.
Elizabeth cresce troppo in fretta, con l’obiettivo ultimo di diventare qualcuno e cambiare il mondo. Lei non accetta la normalità , o di vivere la sua vita seguendo le tappe del destino e un giorno andare via senza aver lasciato il segno. Mentre le sue coetanee appendono poster di attori e band famose, lei appende il poster di Steve Jobs: l’uomo che rappresenta il suo ideale di vita, il sogno per il quale è disposta a sacrificare tutto.
Sente di non essere tagliata per la vita normale, la società è un mondo in cui non sa interagire, e quando prova a farlo si scontra con una realtà che le sputa in faccia la sua fragilità . Elizabeth è un’outsider e deve accettare di esserlo, così impare a prendere il trauma e il dolore e anestetizzarlo mettendolo da parte.
In quel momento inizia a vivere in una realtà tutta sua, si costruisce il suo castello di vetro in cui la sua visione è l’unica cosa che conta. Gradualmente ogni sfumatura di se stessa svanisce, come il tono della sua voce che diventa sempre più basso e oscuro (e in questo caso merita un plauso speciale Amanda Seyfried, che ha fatto un lavoro pazzesco).
Per lei è l’unico modo per farsi rispettare in un mondo di squali pronti a mangiarla viva. The Dropout ci trascina in questo mondo, e i nostri sentimenti sono contrastanti. Siamo affascinati e spaventati da Elizabeth, e ancora di più ci lasciamo coinvolgere dall’intensa relazione che la lega a Sunny Balwani (magistralmente interpretato da Naveen Andrews, attore a mio avviso incredibilmente sottovalutato).
Nonostante siamo consapevoli del fatto che gran parte della loro relazione in The Dropout sia romanzato dalla serie, non possiamo fare a meno di rimanere intrappolati in questo romanzo.
Sono una coppia sbagliata sin dal principio: due persone estremamente tossiche che quando incrociano le loro strade non possono evitare quell’attrazione fatale che li incatena in un rapporto fuori da ogni regola. La Holmes era appena diciottenne al tempo, pronta a iniziare il suo percorso universitario, e Balwani era un uomo fatto e finito con circa il doppio dei suoi anni.
La loro relazione è stata lunga, travagliata e soprattutto segreta. Lo show cerca di rendere quanto più umane possibili due persone attratte in maniera malata dal potere e dal loro ego. Non c’è nulla di sano tra i due: Sunny è arrogante e poco abile nel gestire i suoi attacchi d’ira, è inquietate ed efficace la rappresentazione dei suoi sbalzi d’umore, passando dall’essere una figura protettiva e amorevole, al diventare un mostro dalle urla e dalle azioni incontrollate. Dall’altro lato c’è Elizabeth, incentrata solo ed esclusivamente su se stessa, e sul raggiungimento di un ideale che si rivela inconsistente come una bolla di sapone.
L’efficacia della serie è proprio quella di trascinarci nel dietro le quinte di una lucida follia.
Ecco perché siamo affascinati dai personaggi, dalla loro relazione ipnotica e profondamente malata. Quando il gioco delle bugie finisce, siamo sollevati e ci chiediamo come tutto questo sia potuto accadere, ci rendiamo conto che abbiamo guardato una Serie Tv ma che, oltre la coltre del romanzato, c’è uno scheletro di verità . E la verità , a volte, fa più paura del fittizio. Soprattutto quando quella sfumatura di umanità ci porta a empatizzare con situazioni e vicende che stridono con la nostra etica.
E forse è questo l’elemento che negli ultimi tempi ci porta ad apprezzare così tanto i true crime, o comunque le miniserie che in generale traggono ispirazione da storie vere. Ne è testimone anche il successo di miniserie come Dopesick (Hulu) che ci racconta dello scandalo legato alla vendita del farmaco OxyContin (ne parliamo qui).
Quando niente sembra ipnotizzarci e spaventarci più come prima, ci affacciamo alla realtà , che si rivela la fantasia più terrorizzante di tutte.