ATTENZIONE: evitate di proseguire nella lettura se non volete spoiler sulla prima stagione di The Following.
Nonostante siano passati ormai nove anni The Following è una di quelle serie che restano nel cuore e nella mente dei telespettatori. In particolar modo la prima stagione. Nel bene e nel male, senza via di scampo.
Creata da Kevin Williamson, ideatore della fortunata saga cinematografica Scream, la serie prodotta dalla Warner Bros e trasmessa dalla Fox non è la prima opera televisiva dello sceneggiatore, premiato nel 1996 con un Saturn Award proprio per Scream. Kevin Williamson è conosciuto, infatti, per aver scritto anche le iconiche Dawson’s Creek e The Vampire Diaries, due serie di grandissimo successo capaci di influenzare, soprattutto la prima, una intera generazione di sceneggiatori televisivi.
La prima stagione di The Following è andata in onda tra il gennaio e il maggio del 2013 (da noi quasi in contemporanea, su Premium Crime) sulla rete generalista Fox del magnate dell’editoria Rupert Murdoch. La genesi dell’opera ha origine addirittura prima della creazione di Scream e non è stata priva di difficoltà. Kevin Williamson, infatti, aveva da sempre l’idea di creare qualcosa che mettesse in contrapposizione un profiler dell’FBI e un professore universitario serial killer. Idea poi accantonata per occuparsi della fortunata saga. Quando si trattò di scrivere il terzo capitolo della stessa però Williamson venne messo da parte, un po’ perché troppo impegnato in altri progetti, un po’ perché non disposto a ridimensionare la violenza della sua sceneggiatura che metteva in crisi la casa cinematografica produttrice dei primi due capitoli dopo la terribile sparatoria nel liceo di Columbine.
Un periodo complesso quello del post massacro nella High School del Colorado che costò la vita a quindici ragazzi. La stampa americana, infatti, accusò come spesso accade i film horror di aver fomentato la fantasia degli assassini. Così Williamson fu costretto a ritirarsi e dedicarsi ad altro prendendo spunto da quella sceneggiatura mai nata per creare The Following. In particolare riadattò l’idea di un un club di assassini trasformandola in una setta vera e propria sotto l’influenza di un professore universitario.
Il pilot di The Following andò in onda ottenendo un successo incredibile sotto ogni punto di vista. Non solo uno share altissimo ma anche un punteggio eccezionale nella fascia di età tra i 18 e 49 anni, quelle persone più appetibili per i pubblicitari. Insomma, i dirigenti della Fox felicissimi di aver trovato una nuova serie vincente, si sfregavano le mani per la contentezza.
Ma perché la prima stagione di questa serie ottenne un successo incredibile diventando, di fatto, indimenticabile? I motivi sono molteplici primo fra tutti è certamente l’interpretazione dei due protgonisti, Kevin Bacon, per la prima volta alle prese con un progetto televisivo, e James Purefoy. I due attori interpretano rispettivamente Ryan Hardy, ex tormentato agente dell’FBI, ora alcolizzato, e Joe Carroll, professore universitario con una passione sfrenata per Edgar Allan Poe e gli omicidi seriali. Personaggi complessi, forse con qualche cliché già visto, ma perfettamente creati e per questo credibili nell’ottica della serie. I due, oltre a inseguirsi per le ovvie vicende legati a una sequela di omicidi impressionati hanno in comune l’amore verso il personaggio interpretato da Natalie Zea, ex moglie di Carroll ed ex amante, ma ancora innamorata, di Hardy. L’amore nei confronti di questa donna è, in pratica, il motore trainante di tutta la prima stagione e avrà un finale per nulla scontato. Anche il resto del cast non è da meno. Ci sono, infatti, Valorie Curry, interprete di una seguace di Carroll con evidenti disturbi psichiatrici che però la rendono intrigante; Nico Tortorella, nei panni di un afflitto fidanzato desideroso di compiacere il personaggio di Valorie Curry e di James Purefoy; Adan Canto, nei panni di uno psicopatico innamorato del personaggio di Nico Tortorella. Persino il figlio del professore killer, interpretato da Kyle Catlett, è bravo nel suo ruolo. Tutti personaggi che in altre situazioni risulterebbero pesanti, noiosi mentre in questa serie sono brillanti e piacevoli.
Altro elemento di pregio è sicuramente la trama che si allontana dalla classica storia dell’eterna lotta tra Bene e Male grazie a una serie di espedienti narrativi interessanti. Il continuo rimando alle opere del grande Edgar Allan Poe, inventore del genere poliziesco e del giallo psicologico, permettono alla storia di toccare inquietanti momenti che la rendono appassionante e coinvolgente. I colpi di scena sono frequenti e inaspettati. Si capisce che sta per succedere qualcosa ma il cosa, il come e il chi sono oscuri fino al momento opportuno. E quando si ha l’impressione che la situazione stia per ripetersi ecco uscire fuori un nuovo elemento davvero imprevedibile capace di cambiare le carte in tavola.
Le sottotrame poi arricchiscono l’intrigo principale alleggerendo l’attenzione dai due protagonisti principali così da non tenerli sempre sotto l’occhio dei riflettori e permettere loro di respirare. Sono, inoltre, sorprendenti perché il lieto fine dei personaggi secondari quasi mai è presente ed è chiaro che non si tratta di un espediente per chiudere una situazione diventata difficile da gestire. Tutt’altro.
La storia procede sempre in maniera spedita, senza mai perdere colpi. La tensione iniziale cresce in maniera continua e anche nei momenti di apparente quiete escono fuori elementi che la mantengono costantemente viva. Vi è poi un intenso uso del flashback, per nulla fastidioso, attraverso il quale lo spettatore scopre piano piano i giusti elementi per comprendere meglio le ricche psicologie dei personaggi.
Una storia importante necessita di personaggi ben scritti, ben delineati, con un ricco passato, che li renda indimenticabili. Da una parte abbiamo il bene rappresentato da Kevin Bacon. Dall’altra il male intrepato da James Purefoy. I due personaggi seguono una serie di principi dettati dalle loro coscienze rappresentando bene gli spicchi di un Tao: da una parte il bianco e dall’altro il nero ma in entrambi è presente l’essenza dell’opposto. Così la morale del primo viene corrotta dalla malvagità del secondo in maniera tale che il detto “il fine giustifica i mezzi” diventi, di fatto, punto in comune. A entrambi, infatti, manca la pietà e sono costretti in questo folle, reciproco inseguimento continuo a scavare a fondo nel loro animo per ricavarne la forza di proseguire. Lo fanno attraverso l’uso della violenza che pare eccessivo in certi frangenti ma che in realtà ha la sua funzione: quella di catarsi che rende i due protagonisti facce di una stessa medaglia.
Il risultato finale della prima stagione, forse, potrebbe risultare scontato. Ma non è tutto lì. Lascia un sospeso capace di far accapponare la pelle: fino a che punto è in grado di spingersi il Bene, per poter trionfare sul Male?
La prima stagione diThe Following non ha soltanto risvolti positivi, però. E questo va detto in tutta onestà. Ci sono diversi buchi di trama e la parte investigativa, in certi momenti, risulta al limite del principiante. È vero che gli adepti della setta sbucano fuori dappertutto e si vive nel continuo chi va là, senza potersi fidare di nessuno. Ma è altrettanto vero che l’incapacità della polizia e dell’FBI di proteggere un testimone o di convergere in un ipotetico covo in massa pianificando un’operazione con i fiocchi sono al limite del grottesco. Il seguace di Carroll che si uccide dentro l’infermeria di un ufficio federale, per esempio, soffocandosi mangiando le bende della sua ferita è sicuramente geniale nell’idea ma dovrebbe essere impossibile nella sua realizzazione. Va bene la sospensione dell’incredulità da parte del telespettatore ma fino a un certo punto.
Per fortuna il ritmo è talmente rapido e la storia in continua evoluzione che queste imprecisioni diventano dettagli che si perdono nell’insieme.
A conti fatti questa prima stagione è, delle tre, senza dubbio la migliore. La faccenda avrebbe potuto benissimo fermarsi dopo i primi quindici episodi anche perché un leggero calo degli ascolti era prevedibile e comunque già sulla carta. E invece si è proseguito, come spesso accade, andando a banalizzare un prodotto decisamente più che buono. Perché anche i pochi contro se sommati ai tanti pro hanno di fatto reso la prima stagione di The Following un prodotto televisivo indimenticabile.