Da qualunque prospettiva la si guardi, la vendetta è un concetto che è stato affrontato numerose volte al cinema e in televisione; forse perché è morbosamente interessante, o forse perché all’uomo piace sempre guardare i vizi a distanza. Finché non lo riguardano, fintanto che non ne si viene toccati. Fino a quando non è sbarcata su Netflix The Glory, l’ennesimo colpo riuscito da parte dell’industria dell’intrattenimento coreana, e siamo stati tutti costretti a confrontarci con una scomoda verità: ci sono sentimenti ai quali è impossibile sottrarsi. Ci sono volte in cui ci ritroviamo inchiodati davanti alla televisione, obbligati a vivere una storia che pur non essendo la nostra ci tocca dentro. E fa male, un male cane. La nostra recensione di The Glory, il nuovo gioiello coreano di Netflix, serve anche a ricordarci che la vendetta è davvero un’arma a doppio taglio. E che se non si sta troppo attenti, il rischio è quello di ferire noi stessi ancor prima di chi vorremmo punire.
La serie, scritta da Kim Eun-Sook e diretta da Ahn Gil-ho, è divisa in due parti, trasmesse su Netflix a distanza di qualche mese l’una dall’altra, e in breve tempo ha riscosso un enorme successo internazionale. Basti pensare che, ad oggi, si tratta di una delle poche produzioni coreane presenti sulle piattaforme occidentali ad essere stata doppiata in numerose lingue (ricordiamo che per il doppiaggio italiano di Squid Game abbiamo dovuto aspettare quasi un anno dalla sua uscita). Sono mesi che si parla, si discute, si operano congetture su The Glory. Ma la vera domanda è: la serie funziona? Sì. Inequivocabilmente, aggiungeremo.
The Glory è basata su un’incredibile storia vera, una di quelle che sembrano uscite dai nostri peggiori incubi, tanto assurde da sembrare impossibili, e vede come protagonista la stella coreana Song Hye-kyo nei panni di Moon Dong-eun, un’insegnante di scuola elementare. La narrazione della serie si divide continuamente su due linee temporali diverse ed esplora un intervallo temporale di circa vent’anni, trattando di un tema che può apparire inizialmente come molto complesso ma che in breve si rivela terribilmente semplice: quello della vendetta. Moon Dong-eun, ai tempi un’adolescente come mille altre, divenne il target preferito di un gruppo di bulli, che le resero la vita un vero e proprio inferno e la costrinsero addirittura ad abbandonare la scuola. Anni dopo, la donna è determinata a mettere in atto una rappresaglia coi fiocchi e riuscire finalmente a vendicarsi delle persone che le hanno tolto ogni cosa.
The Glory sembra avere una storia semplice, alla “occhio per occhio”. Niente di più sbagliato, perché la serie fin da subito sceglie di imboccare una strada diversa e prova a raccontare la sofferenza della persecuzione da un’altra prospettiva. Sono le conseguenze e i rimpianti a fare da protagonisti in The Glory. E le cicatrici, sia quelle fisiche e prepotentemente visibili che quelle emotive, forse peggiori perché nascoste.
La serie è stata prima di tutto elogiata per la sua straordinaria abilità nel raccontare un fenomeno che in Corea del Sud viene ancora fin troppo sottovalutato se non addirittura nascosto: quello del bullismo. Quello della prevaricazione nei confronti degli altri è un tema che al paese sta molto caro (ed è anche una brutta macchia sulla storia di una nazione che spesso si presenta come avanti decenni rispetto agli altri). Ma a colpire in particolare è il cosiddetto lookismo, la discriminazione nei confronti di determinati individui sulla base del loro aspetto fisico. Anche se non è tanto la bellezza a fare da biglietto da visita in storie come queste, quanto un generico modo di porsi dove i soldi e la capacità di destreggiarsi in società giocano un ruolo fondamentale. In Corea del Sud la purezza esteriore presuppone quella interiore: puliti fuori, puliti dentro.
E invece no. Perché è proprio in prodotti come The Glory che la vera sozzura, la mostruosità umana ingiustificata e spietata esce allo scoperto. Ed ecco perché servono più serie televisive del genere, e forse meno kdrama fiabeschi e tutti a lieto fine: The Glory giudica, condanna e fa aprire gli occhi davanti ad una realtà che viene troppo spesso nascosta sotto il tappeto.
A meravigliare nella serie sono due elementi ben precisi: da una parte la grande attenzione ai dettagli, dall’altra la straordinaria scrittura dei personaggi. Dalla protagonista Moon Dong-eun, un esempio perfetto di che cosa accade ad una persona quando la si distrugge pezzo dopo pezzo, al gruppo di antagonisti, bulli da giovani e allo stesso modo da adulti. Un branco di lupi fatto e finito, corrotti da tanti di quei vizi che è impossibile contarli tutti. Mostruosi perché terrorizzati e soprattutto soli, perché se c’è un’altra cosa che insegna molto bene la serie è che i cattivi non hanno amici. Stringono alleanze. Li definiamo candidamente cattivi perché questo sono, ed è così che la serie dipinge ogni personaggio. Semplice e viscerale, ridotto alla forma più banale di un essere umano. Bianco o nero, senza scale di grigio in mezzo. Non è difficile vedere, infatti, una semplice correlazione tra il gioco strategico da tavolo che i personaggi della serie più volte utilizzano e i fondamenti stessi della storia che si vuole comunicare. Un gioco di strategia e deduzione dove però non ci sono vincitori. Né vinti.
Ed è proprio così che The Glory ce la fa davvero, riuscendo a raccontare una storia che sembra avere fin dall’inizio una direzione precisa e che improvvisamente si ribalta. Così facendo, sposta il focus sul viscerale desiderio di ripicca e lo posizione dove nessuno guarda. Sui vinti, gli sconfitti, coloro che passano la vita ossessionati da una guerra che non può avere un lieto fine.
The Glory, senza fronzoli, rammenta a tutti noi che quando si parla di vendetta le fosse da scavare sono due. Una per il tuo nemico e una per te.
Da un punto di vista tecnico abbiamo poco da dire. La regia è stellare, l’atmosfera cupa e oppressiva quanto basta, la recitazione colpisce nel segno. Ci sono scene dove si fa fatica a non coprirsi gli occhi e altre dove non vorremmo sbattere le palpebre nemmeno una volta. Di più non possiamo dirvi: The Glory è cattiva, irriverente e soprattutto imprevedibile. Non chiede niente, se non di lasciarsi ascoltare. Fatelo.