The Good Lord Bird, una miniserie firmata Showtime, è forse una tra le cose più esplosive uscite alla fine del 2020, in un momento storico assurdo e instabile. Trasmessa su Sky Atlantic dallo scorso autunno e disponibile anche su Now TV, se amate i western folli, rock e insurrezionalisti non potete perdervela.
Punto di forza: è stata ideata, co-sceneggiata, prodotta e interpretata da un Ethan Hawke che non abbiamo mai visto prima, nei panni di un personaggio storico che forse conosciamo troppo poco. E considerato i tempi, soprattutto negli USA con il movimento Black Lives Matter, è anche tristemente attuale.
Il mio nome è Capitano John Brown! E sono qui nel nome del grande Re dei Re! Il Santo Redentore, l’Uomo della Trinità! Perché Lui è dalla parte della giustizia e voi siete dalla parte delle catene.
I sette episodi raccontano – tra finzione e realtà – le vicende accadute nel profondo sud degli Stati Uniti negli ultimi anni di vita dell’abolizionista calibro 44 John Brown. La miniserie è tratta dall’omonimo romanzo di James McBride, del 2013, ed è narrata attraverso gli occhi di un giovane schiavo, Henry Shackleford, che accompagna Brown e i suoi soldati fino all’incursione di Harper’s Ferry.
Una storia drammatica ma raccontata con ironia e sano umorismo.
I toni sono accesi sin dalla prima scena. Il sarcasmo è contagioso e dopo aver visto la prima puntata avvertiamo subito una irrefrenabile tendenza a gesticolare e a parlare, anche con il salumiere, come invasati alla maniera del Capitano.
Tarantino non c’entra nulla, ma c’è tanto del suo stile in The Good Lord Bird.
La visione aizza la nostra voglia di insorgere contro le diseguaglianze e le ingiustizie, proprio come fanno alcuni film di Tarantino. Le somiglianze non sfuggono. Il colore giallo acceso delle scritte giganti che campeggiano a pieno schermo per suddividere la struttura a capitoli degli episodi. Lo stile fumettistico. Le situazioni improbabili, i dialoghi dal retrogusto solenne alla Jules Winnfield di Pulp Fiction, le ambientazioni, la colonna sonora anacronistica, i personaggi: insomma, quasi tutto è inzuppato dello stile memorabile di Quentin.
In effetti, Tarantino e Hawke un paio di cose in comune ce l’hanno.
L’amore per Uma Thurman e per John Brown. Il regista ha dichiarato infatti di avere sempre voluto scrivere e dirigere un film dedicato proprio a uno dei suoi eroi americani preferiti.
Perché diciamolo, John Brown è un eroe pulp!
Eppure non avvertiamo mai quel senso di imbarazzo per qualcosa che rifà il verso a un capolavoro, ma che invece finisce per essere la sua brutta copia. The Good Lord Bird omaggia sicuramente il regista, e Django Unchained, ma ne prende le distanze e ci offre un intrattenimento originale, divertente e appassionante.
Una menzione speciale va a Ethan Hawke che non interpretava un personaggio così folle da forse… mai!? Spesso imbrigliato in ruoli drammatici (strepitosi), con questa serie si è superato, e non solo come attore. Ha dato tutto quello che poteva dare, perfino la famiglia. Infatti ha coinvolto all’adattamento l’attuale moglie Ryan Shawhughes e la figlia Maya, la quale interpreta proprio la dolce figlioletta dell’attivista.
Ingredienti per due personaggi col botto: Brown e Cipollina.
Prendete un attore come Hawke. Aggiungete una lunga e folta barba da caprone, mescolate uno sguardo da pazzo e da profeta visionario a un personaggio realmente esistito. Poi prendete un giovane schiavo del Kansas, interpretato da Joshua Caleb Johnson. Mettetegli gonna e cappellino, chiamatelo Cipollina (Onion) e lasciatelo camminare tra un branco di bianchi ottusi e incapaci di distinguere una ragazza da un ragazzo afroamericani.
Versate tutto in un’ambientazione storica piena di tensioni civili, pallottole, impiccagioni, suprematisti bianchi e la miscela ironica e corrosiva è pronta a esploderci tra le mani.
John Brown era idealista, pacifico e pervaso da un sincero fervore religioso, fino a quando non si convinse di un fatto: per cambiare le cose bisognava armare gli schiavi e ammazzare qualche bianco.
Io, John Brown, sono quasi del tutto certo che i crimini di queste nazioni non potranno essere epurati che con il sangue.
La violenza non è una virtù, tantomeno una virtù cristiana, e non può mai essere giustificata. Eppure in un contesto come quello del Bloody Kansas di metà ‘800, dilaniato da violenze, ipocrisia e odio razziale, qualcuno doveva pur fare qualcosa di estremo. L’attivista ha scelto di accendere la miccia con pallottole, versetti della Bibbia e massacri là dove il pacifismo non produceva alcun effetto. Per questo i suoi coetanei, e alcuni storici, lo consideravano un terrorista.
La narrazione restituisce al personaggio un’aurea più rivoluzionaria. Sottolinea quanto la sua avversione per la schiavitù lo abbia portato a riversare tutta la sua ira in azioni sanguinarie che travolgeranno chiunque incontri sul suo cammino. Brown dichiarava di avere una missione, certo che davanti al buon Dio siamo tutti uguali.
La miniserie si conclude con le vicende di Harper’s Ferry. L’obiettivo di Brown era quello di scatenare un’insurrezione fra gli schiavi che, sperava, avrebbe condotto alla rivoluzione in tutto il Paese. Era necessaria un’azione simbolica capace di risvegliare la coscienza collettiva del nord e unire gli schiavi del sud.
Glory, Glory! Hallelujah! His soul is marching on!
Nessuno può rimanere fermo al ritmo del canto di libertà John Brown’s Body, soprattutto oggi, dopo gli eventi scatenati dall’assassinio di George Floyd a Minneapolis. John Brown morirà nel 1859 e la guerra civile americana inizierà solo due anni dopo, nel 1861. Il suo contributo all’inizio della guerra e all’abolizione della schiavitù sono ormai innegabili.
The Good Lord Bird elogia un uomo visionario, votato al sacrificio e disposto a tutto pur di iniziare qualcosa di significativo, senza sapere neppure lui bene cosa. Insomma, una vicenda storica raccontata (quasi) fedelmente, dalle sfumature leggermente pulp e sopra la righe, che scatena risate ma anche tante sane riflessioni.
Pace al Capitano John Brown.