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The Good Place e il concetto di anima gemella

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Che vuol dire avere un’anima gemella? Esiste davvero, nel mondo, un legame che ci tiene uniti a qualcuno come un lungo filo rosso grazie al quale ritrovarsi in ogni circostanza? Esiste un disegno predefinito che suggerisca quale sia l’anima più affine alla nostra? Oppure semplicemente scegliamo i nostri partner in base a necessità e circostanze del momento, cercando di volta in volta quegli aspetti che più ci sembrano vicini al nostro sentire di quel determinato segmento di vita? Se c’è un concetto sul quale la filosofia di The Good Place si è soffermata più che su altri è proprio quello che riguarda l’anima gemella e l’essere destinati a “ritrovare” la propria oltre la vita terrena.

Non è un segreto che molte delle storie a cui ci appassioniamo raccontino una qualche declinazione o sfumatura di amori perduti, riscoperti o appena bocciati. Amori non necessariamente romantici, ma profondi a tal punto da avere un impatto su quelle vite che vediamo rincorrersi nelle inquadrature tra incomprensioni, gesti plateali e silenzi carichi di significati nascosti. E, più di quanto riusciamo a renderci conto, questo tema ruota intorno a quel mito che ha un’eco incredibilmente lontana nel tempo: anime gemelle, spiriti affini, metà perfette di un tutto. Mille nomi per richiamare lo stesso concetto di “appartenenza”.

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Ma cosa c’è di tanto diverso in The Good Place che svuota lo stereotipo dei significati che nel tempo si sono sedimentati al suo interno? 

La serie ci porta a conoscere esseri umani che passano nell’oltrevita e cercano di prendere coscienza di cosa sia il Paradiso e del perché si trovino lì. Questo li pone irrimediabilmente alla ricerca della loro stessa essenza, del loro valore come esseri umani. Qualcuno, come Eleanor e Jason, si rende conto di non meritare alcun premio. Altri, come Tahani, sentono che spetta loro di diritto una ricompensa. E infine Chidi, che in parte spera di essere meritevole, ma un passo alla volta scopre di non aver saputo davvero capire il peso degli errori commessi. Tutti vengono illusi che, in questa nuova dimensione in cui sono stati ammessi, troveranno la loro anima gemella ad attenderli. 

Eppure, lo abbiamo detto: è solo un’illusione. Non si trovano nel Paradiso e Michael non è l’architetto del loro personale Aldilà, non ha cercato di farli riunire con le persone a loro destinate. Al contrario, ha studiato 15 milioni di modi per torturarli e il suo preferito, quello su cui ha basato l’intera struttura del suo sadico labirinto a ostacoli, è far credere a ognuno di loro che esista davvero qualcuno che sia il loro incastro perfetto, l’altro capo del filo che racchiude il senso di una perpetua ricerca di assoluta comprensione e appartenenza. E cosa c’è di più crudele di un’illusione come questa?

The Good Place rinnega con forza la retorica dell’amore da favola, secondo la quale una volta trovato il compagno di vita ogni cosa andrà al suo posto. La respinge al punto da rendere il concetto stesso di anima gemella uno scherzo meschino di un demone. Allo stesso tempo però ci chiede uno sforzo filosofico. Se davvero l’anima affine e l’amore tessuto nel determinismo cosmico non esistono com’è possibile che a ogni “riavvio” dell’esperimento Eleanor e Chidi o Jason e Janet ritrovino la strada che li riporta inevitabilmente l’uno dall’altra?

Unioni non scontate, spesso paradossali, che affondano le loro radici molto nel profondo e lasciano sbocciare le mille sfaccettature dell’animo umano, sono il fulcro del concetto di amore vero alla base di The Good Place.

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Non ci sono risposte riguardo al piano su cui questi legami vengano alchemicamente alla luce. Non sappiamo come sia possibile che un uomo indeciso come Chidi, fortemente legato alla riflessione etica e alla coerenza di pensiero, possa trovare un equilibrio ideale nel rapporto con Eleanor, così schiva, sarcastica, brutalmente onesta al punto da mettere al rogo ogni tipo di tatto nei confronti altrui. Né come un essere come Janet, esistente solo sul piano concettuale, possa legarsi indissolubilmente a Jason, che è istinto e azione: logos e mitos che trovano una sintesi nella loro unione romantica. Ciò che è chiaro è che, seppur non esista un perché, tali unioni si sono consolidate sotto il peso di quelle prove che avrebbero idealmente dovuto spezzarle.

La verità è che non esiste alcun disegno, nessun percorso predefinito, spiega Micheal a Chidi dopo l’ennesimo reboot nel quale lui ed Eleanor si gravitano attorno. Ciò che facciamo è frutto del nostro libero arbitrio, della somma delle nostre scelte, specialmente l’amore. Che non si verifica come un incantesimo ai cui effetti l’essere umano soccombe, ma è un’azione che scegliamo attivamente di compiere. Giorno dopo giorno.

Michael: “Anche supponendo che esista un’anima gemella, non credo che si trovi, ma che si crei.”

The Good Place 4×09

In queste parole di Michael ritroviamo tutto il concetto di anima gemella secondo The Good Place. Le persone si trovano, si conoscono, vedono qualcosa le une nelle altre per cui vale la pena di costruire un legame per una certa parte di vita. Che sia romantico o no non ha grossa importanza. Ci si riconosce come compagni con cui condividere il peso delle cose del mondo

Non abbiamo un “pezzo mancante” da ritrovare in un’anima gemella che ci completi, non abbiamo un vuoto da riempire, ma una voce interna che funge da richiamo. Nessuno sa in chi quel richiamo genererà una risonanza e quanto lavoro richieda tutto ciò che verrà costruito a partire da quel riconoscersi. Ma in fondo è questo il fascino dell’esperienza umana messa al centro della scena in The Good Place: quella mancanza di certezza che è eterna possibilità.

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