Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di The Good Place
“Welcome! Everything is fine”, è la scritta a caratteri cubitali che apre la prima scena di The Good Place. Eleanor Shellstrop apre gli occhi e legge una frase di benvenuto così rassicurante da apparire perfetta. Ma né Eleanor, né nessun altro dei protagonisti che impareremo a conoscere sa che il finale di The Good Place si chiuderà con una morale che è all’opposto di quella scritta. Eppure, pur sempre meraviglioso. The Good Place inizia nel 2016 e termina, magnificamente, nel 2020. È una di quelle serie che non ha stagioni brutte, che convince puntata dopo puntata e soprattutto che riesce a comprendere come e quando scrivere la parola fine.
Le parole in The Good Place sono importanti; sono le parole di benvenuto sopracitate che ci fanno immediatamente capire dove si trova Eleanor, sono le parole che Chidi sottolinea nelle sue lezioni di etica che portano avanti la storia, sono le parole che bloccano Jason da quello che è davvero.
E sono sempre le parole che concludono un viaggio unico e affascinante nel mondo dell’aldilà che The Good Place descrive (a proposito delle parole in The Good Place). Quella Parte Buona dove Eleanor sta per andare è un luogo senza spazio e tempo dove l’etica deve essere appresa e dove il buono e il cattivo si mescolano. Anche se non ce lo aspettiamo.
Quando Eleanor capisce di essere nella parte buona, intuisce l’errore. La sua non è stata una vita degna della parte buona, del paradiso o come la si voglia chiamare (The Good Place è molto abile a schivare qualsiasi tipo di implicazione religiosa). Ma Chidi, che in vita era un professore di filosofia, è lì per lei. I due dovrebbero essere anime gemelle (sul concetto di anima gemella nella serie), secondo il disegno contorto di Michael, architetto della parte buona che sta in realtà mascherando la sua anima di demone. Ma le implicazioni legate alla trame oggi saranno tralasciate, anche per lasciare modo a chi legge di andare a recuperare The Good Place (per approfondire e farvi convincere). Uno dei motivi più convincenti, però, è proprio Chidi (interpretato da William Jackson Harper).
Il suo personaggio è quello che potremmo definire un deus ex machina, un espediente perfetto per risolvere ogni situazione. La sua indole è proprio questa: eternamente indeciso, assalito dalle paranoie, Chidi Anagonye vuole sempre accontentare tutti e trovare una risposta a qualsiasi dilemma.
Soprattutto se si tratta di dilemmi morali. Influenzato dalla sua esperienza in campo filosofico, Chidi è ossessionato dall’etica e dalla sua applicazione morale nelle persone. Ma questa sua ossessione, come dicevamo, torna utile alla narrazione di The Good Place, che lo pone come punto di riferimento per gli altri personaggi.
Così Chidi inizia ad insegnare ad Eleanor, che nel frattempo gli ha confessato l’inganno, cos’è l’etica e perché vale la pena conoscerla e utilizzarla. Chidi sa che il suo è un compito difficile ma la sua smania di dare una risposta a tutto lo fa lottare. Anche contro dei demoni personali che non sapeva di dover distruggere. E saranno propri questi ultimi a definirlo davvero, per la prima volta, solo dopo la sua morte. Perché il castigo di Chidi, il suo contrappasso per dirlo in termini danteschi, è proprio la decisione. Incapace di scegliere anche tra le cose più banali, Chidi dovrà imparare a fare tesoro delle lezioni che propina agli altri e applicarle alla sua esistenza ultraterrena. Per imparare ad essere migliore, per arrivare nella parte buona e, solo sul finale, per salvare l’umanità. Perché a un certo punto Chidi, dopo aver lavorato sulle anime di Eleanor, Jason e Tahani (ma anche su quelle di Michael, Janet e Mindy) sarà messo alla prova per davvero.
Sul finale, la sua esperienza e la sua saggezza diventeranno necessarie alla salvaguardia del genere umano, sull’orlo dell’eliminazione.
E sarà proprio grazie a questo suo ruolo definitivo che Chidi imparerà a conoscersi e a perdonarsi.
Il destino dell’umanità, quindi, è legato al destino di Chidi. E viceversa. Chidi Anagonye non è solo il filosofo che insegna l’etica agli abitanti della parte buona che vogliono redimersi; Chidi è soprattutto un perno attorno al quale la storia degli altri personaggi riesce a delinearsi. In qualche modo è grazie a Chidi se i protagonisti riescono ad ottenere spessore, credibilità e coerenza. Perché è Chidi che li mette a nudo, che li fa uscire allo scoperto. Il suo intento è quello di renderli migliori, meritevoli di stima e di rispetto per se stessi, prima che per gli altri.
Ma il fine non è la parte buona, contrariamente a quanto si possa credere inizialmente. Chidi sa che non si deve diventare migliori per ottenere qualcosa, perché il solo obiettivo finale ci farebbe già essere egoisti.
L’etica che Chidi cerca di insegnare a tutti è un’etica aulica, auto referenziata e priva di implicazioni esterne. È etica pura. Passando per Socrate, Platone e Kant, Chidi Anagonye raccoglie tutto ciò che c’è di buono nella filosofia e ne scorpora solamente le parti moralmente interessanti. E utili alla scoperta del sé, dell’individuo e della propensione alla cattiveria o alla generosità.
In questo intreccio tra bene e male di cui The Good Place si nutre per tutta la durata delle quattro stagioni, Chidi Anagonye spicca fra gli altri. Non tanto per la propensione verso l’uno o verso l’altro, quanto per la sua capacità di riconoscere i due estremi e di analizzarli. E, se ce n’è bisogno, anche di combatterli. Per riuscire a essere una persona migliore. Perché, quando si arriva alla fine (alla vera fine) non sono più il male o il bene a dettare le nostre azioni, bensì la morale che abbiamo sempre portato avanti e la sincerità con cui l’abbiamo nutrita. Chidi è il portavoce di tutto questo, anche attraverso delle azioni semplici o quotidiane, che sono utili alla definizione della personalità (sarà proprio un gesto quotidiano che farà trovare a Chidi la serenità).
Il carico sulle spalle di Chidi, quindi, è molto grande e anche molto importante. E la sua eterna indecisione si risolve proprio nell’assunzione di queste enormi responsabilità. È Chidi che riporta tutti alla realtà, è sempre Chidi che sa quali tasti premere per far redimere qualcuno.
Chidi conosce la risposta anche se lui non lo sa e continua a brancolare alla ricerca di qualcosa che ha già. È la conclusione perfetta, per lui e per i suoi compagni di viaggio, nonché per l’umanità intera.
Non c’è lieto fine se non c’è una fine. Nella vera parte buona, Chidi se ne accorge e comprende la grandezza delle scelte, delle propensioni, delle passioni. Senza una vera fine, non ha senso vivere, né morire. Alla fine di The Good Place il filosofo che più di tutti diventa necessario è Chidi stesso, non più Platone, né Socrate, né Ipazia da Alessandria. È Chidi che deve sconvolgere anche la morte, dopo aver sconvolto la vita. La porta nell’aldilà, quella che tutti i residenti nella parte buona a un certo punto dovranno oltrepassare, è la soluzione. Finalmente definitiva. Perché non ci può essere felicità senza mistero, né pace senza un dubbio. Deve rimanere qualcosa in cui credere, qualcosa che non si conosce, qualcosa che non siano solo le regole perché la ricerca delle regole è destinata a durare per sempre.
Chidi, che per tutta la vita (e anche oltre) ha cercato la risposta a qualsiasi domanda, capisce che la risposta non è più l’elemento necessario. Che è più importante conoscere le domande, piuttosto che le risposte.
E, alla fine di tutto (per approfondire sul finale), dopo un lungo e incessante percorso di ricerca, la sua anima si riposa, così come quelle degli altri. Alla fine di tutto, non va tutto bene (it’s not everything fine) e il bello è proprio questo. Davanti alla porta dell’ignoto, Chidi Anagonye sorride perché non sa quello che lo aspetta. E per una volta, ne è felice.