- ✓ Zero pubblicità su tutto il sito
- ✓ Articoli esclusivi e approfonditi
- ✓ Consigli di visione personalizzati
Non è mai facile tenere alto il livello di una serie tv, soprattutto quando parliamo di un certo tipo di comedy. Le comedy razionali, quelle che non hanno la battuta semplice e che hanno bisogno di un minimo di concentrazione, non hanno quasi mai una vita facile. Eppure, The Good Place (qui qualche motivo per convincervi a vederla), fa molto ridere e ha un tipo di ironia che conquista in maniera repentina. Ma va capita, analizzata perfino, va interiorizzata. E per fare questo, ci può volere anche del tempo in più, soprattutto per rendersi conto della sua grandezza e della sua intelligenza.
È questo il controverso ostacolo che The Good Place si è ritrovata ad affrontare con il passare delle sue quattro stagioni: laddove la maturità comica dimostrava di aver subito un grande cambiamento, il pubblico ha reagito perlopiù con una grande disapprovazione legata troppo all’ironia e troppo poco alla crescita del complesso mondo di The Good Place.
Forse, il problema è nato dall’incomprensione della trama stessa, che tende verso un labirintico mutamento piuttosto che verso una risoluzione delle storie dei personaggi. Risoluzione che, paradossalmente, ci sarà e anche in maniera piuttosto evidente. Ma quindi cosa può aver destato tutto questo mal contento da parte del pubblico, nei confronti dell’evoluzione di The Good Place?

Partiamo dal cambiamento più grande e anche più evidente a tutti, dal primissimo cliffhanger, quello della fine della prima stagione quando Michael mostra la sua vera identità e i protagonisti capiscono di essere nella parte cattiva e non in quella buona. Fin da questo momento, Eleanor, Chidi, Tahani e Jason iniziano a cambiare atteggiamento e iniziano, insieme, un percorso verso la verità. Michael, per parte sua, comincia a farci entrare in quell’ottica (che non ci abbandonerà mai, fino alla fine) per cui il confine tra bene e male è spesso labile. Dalla primissima svolta, quindi, The Good Place dimostra grande maturità nel cambiamento, pur rimanendo sempre molto fedele a se stessa e non snaturando mai i protagonisti della sua storia.
Semplicemente, nella prima stagione abbiamo imparato a conoscere i nostri personaggi e di conseguenza l’atmosfera era più distesa, più leggera e più sfacciatamente divertente.
Gli equivoci che si creavano costantemente (tra cui quello di Jason, che è uno dei più divertenti) creavano un clima molto distaccato dalla realtà, più in linea con la narrazione fantasy di The Good Place. Insomma, la prima stagione si faceva amare in una maniera più classica.
Così come la seconda, d’altronde, che incrementa la parte cattiva di Michael e sfrutta la severità come elemento perlopiù comico. È nella seconda stagione che Eleanor e gli altri cominciano a farsi delle domande su loro stessi, sulle loro azioni e sul loro futuro (senza mai tralasciare il passato). La seconda stagione di The Good Place è la conferma di un certo tipo di trama, è la consolidazione dell’esperimento di Michael ma anche dell’esperimento The Good Place. Nel primo caso, colmo di lacune, nel secondo caso completamente riuscito.

Il pubblico che sta imparando ad amare i personaggi, si sente confortato dalla seconda stagione perché è il luogo perfetto dove trovare approvazione.
Ed è forse proprio qui che il problema comincia a sorgere: può essere un’ipotesi che, a questo punto, il pubblico sia soddisfatto di quello che ha, che si senta completo e appagato. Non tanto su un livello di narrazione, quanto sul livello delle trame da sciogliere. Forse, il pubblico di The Good Place, arriva dove pensava di arrivare, proprio alla fine della seconda stagione e di conseguenza non si aspetta nulla di più. O banalmente ha paura che si rovini quello che ha visto fin a quel momento.
Eppure, contro ogni aspettativa, The Good Place va avanti e lo fa in un modo unico che, anche se può essere controverso, ha la sua coerenza. Dalla terza stagione in poi, anche se molti ritengono sia superflua, la trama si assottiglia e i personaggi cominciano a delinearsi attraverso la loro stessa profondità. Diventano vere e proprie anime rivolte verso se stesse, laddove prima sembravano rimanere corpi fatti di carne persino nell’aldilà. Ma con la terza stagione, The Good Place dà una vera svolta alla narrazione fantasy e la rende molto più consapevole e meno superficiale. Possiamo essere d’accordo che si perda leggermente quel guizzo ironico che contraddistingueva la prime due stagioni, ma è vero anche che la maturazione viene quasi spontanea in un punto in cui non c’è più nulla da ridere.
Se nelle prime stagioni The Good Place aveva ironizzato brillantemente della morte e di tutto quello che può comportare per un uomo o per una donna, con la terza il nodo da sciogliere è forse ancora più grande. Dopo la morte, esiste un modo per meritare il meglio che possa esistere per la propria anima?
Ci si può redimere pur senza essere perfetti, pur rimanendo umani?

Insomma, dalla terza stagione in poi, The Good Place abbandona la superficialità per addentrarsi nella filosofia tanto cara a Chidi. E allora Eleanor ma anche Tahani e anche Jason (e perfino Michael e Janet) si addentrano nei peggiori meandri di loro stessi (una piccola classifica dei personaggi per conoscerli meglio). Arrivando perfino a bucare la seconda possibilità sulla Terra che viene loro data. Sono umani e cominciano a comprenderlo sul serio, e soprattutto cominciano a farci davvero i conti. Arrivando, alla fine di tutto, perfino ad accettarlo.
Nel tempo The Good Place vira verso una narrazione più profonda che non lascia mai indietro un certo tipo di ironia brillante. Solo non ne fa più una corazza, ma si libera di quell’armatura che l’ha tenuta ferma in un certo tipo di genere.
Va oltre quello che ci si aspetta da lei, va oltre la comedy con un retrogusto fantasy. The Good Place, da un certo punto in poi, diventa grande e fa di tutto per portarci in questo bellissimo viaggio con lei. Se parte del pubblico non ha colto tutto questo, forse è dovuto soprattutto a un cambio repentino, che non ha messo a proprio agio la maggioranza degli spettatori che probabilmente si sono trovati spiazzati. È comprensibile, perché è così che succede nella vita la maggior parte delle volte.
In fondo, The Good Place ha sempre raccontato la vita, pur essendo forse la cosa più lontana dalla quotidianità terrena. E lo fa soprattutto nelle ultime due stagioni, in cui vediamo Eleanor crescere in maniera palese (insieme a Chidi), tanto da diventare lei stessa architetta del mondo in cui vivono e soprattutto artefice della salvezza dell’intera razza umana. Ma c’è anche Chidi che finalmente fa i conti con i suoi demoni, e c’è Tahani che si prende sul serio e riesce a trovare il suo posto in un mondo che finalmente le appartiene. E Jason, che attraverso l’amore diventa una volta per tutte se stesso. Anche se molti non lo hanno apprezzato, il percorso di The Good Place è soddisfacente nel suo essere un vero e proprio percorso di maturazione.

The Good Place è una delle poche serie comedy in cui davvero possiamo vedere la crescita di qualsiasi personaggio, persino di quelli sullo sfondo. Una vera maturazione, di quelle che cambiano radicalmente il modo di vedere le cose e che spaventano a morte.
Con la differenza che i nostri personaggi sono già nell’aldilà e quindi hanno molto di più da perdere. Il loro confine è la salvezza ma anche la conoscenza di loro stessi, che in fondo è l’unica cosa che fa la differenza. Per l’umanità ma anche per le serie tv.