The Great è una dramedy (qui trovate i 10 episodi delle dramedy che ci hanno spezzato il cuore in mille pezzi) basata su Caterina II La Grande, l’imperatrice illuminata che ha reso la Russia una nazione all’avanguardia. Attraverso personaggi storici noti, ci viene restituita una narrazione ironica e satirica, ambientata in un contesto politico e sociale nel quale possiamo riscontrare analogie con quello odierno. Il sottotitolo della serie, infatti, recita “Una storia quasi vera“: la scrittura dei dialoghi e delle scene – affidata a Tony McNamara, già conosciuto per la stesura de La Favorita – non guarda all’esattezza storica, bensì al rapporto tra i personaggi e all’ambiente nel quale interagiscono, con l’intento di mostrare incongruenze che si perpetuano tutt’oggi: come Manzoni aveva trasposto in una coppia del Seicento le proprie opinioni per eludere la censura, così lo sceneggiatore cerca di mettere in mostra delle ipocrisie ancora attuali attraverso ossimori visivi e settecenteschi.
L’ambiente ci viene restituito sia in esterna che in interna, tramite inquadrature e fotogrammi che si caricano di connotazioni simboliche. Le inquadrature in esterno si svolgono, per la maggior parte, alla Reggia di Caserta: è qui che assistiamo all’esibizione di costumi eccentrici in occasione si usanze reali e formali; ma è proprio in quei maestosi giardini che si svolgono feste di corte sfrenate, vere e proprie antecedenti dei Rave Party, che lasciano tracce di sporcizia e postumi ovunque la mattina dopo. Questa è la tipologia di attrito e contrasto che caratterizza la serie e che la rende un piccolo capolavoro.
Nella Russia del XVIII secolo, che aspetta di esser rinnovata dal pensiero illuminista, troviamo riadattamenti di eventi, pensieri e immagini che appartengono alla nostra epoca, creando un’atmosfera tendenzialmente surreale e amaramente ironica.
Negli episodi di The Great sono frequenti primi piani che esaltano i volti dei personaggi principali. In particolare, una figura che spicca è proprio quella di Caterina, interpretata magistralmente da Elle Fanning. L’attrice esordisce fin da principio come una ragazza candida, sia esteticamente che moralmente, che viene trapiantata in un contesto nel quale il candore è stato corrotto e il lume della ragione si è spento da un pezzo.
Il primo incontro con quello che si era immaginata il suo primo amore, si rivela una delusione: di fronte si trova un uomo la cui grandezza nobiliare non corrisponde quella morale. Pietro (Nicholas Hoult), infatti, differisce completamente dall’uomo che lei aveva idealizzato. L’imperatore le è complementare solo in stupidità, rozzezza e ignoranza. Caterina incarna l’ideale illuminista che andava diffondendosi nell’Europa del XVIII secolo (per proseguire il vostro viaggio nel tempo, La romantica cavalcata di Outlander fa al caso vostro); Pietro, invece, è crudele e sanguinario: le sue uniche vocazioni sono la violenza e il sesso. Egli incarna la mascolinità tossica per antonomasia: frequente è, infatti, la sua comparsa assieme a donne, che vede essenzialmente come corpi e suoi possedimenti necessari al fine della sua autodeterminazione come uomo e imperatore. Il tema dell’emancipazione, incarnato da Caterina, è uno dei leitmotiv che ricorre spesso nella serie, sia palesandosi che insinuandosi silenziosamente. Ella proviene dall’Europa illuminista, ambiva a una vita che non le è concessa, la realtà nella quale è stata inserita le sta stretta come i corsetti che quotidianamente è costretta a indossare in quanto imperatrice. I costumi sono uno dei pezzi forti della storia: cangianti, bizzarri e appariscenti definiscono esteticamente ogni personaggio, rispecchiando le qualità e i vizi interiori. La cura dei dettagli, che si manifestino con il trucco o con un’infinità di drappeggi, ha un forte impatto: rimanda all‘immaginario settecentesco, cercando di conferire toni grotteschi o caricaturali a seconda della scena in atto.
Iniziano i tentativi di fuga della ragazza, ma non andranno mai a compimento. Cominciano, perciò, ad essere pianificati una serie di complotti machiavellici – ai quali sono dedicati mappe parietali e appunti dettagliati – per uccidere Pietro e regnare. I suoi piani, tuttavia, sono ulteriormente intralciati dalla corte interna: Caterina è detestata dalla maggior parte delle dame. Ella fin da subito ha ridicolizzato l’apparenza delle donne, l’Unica cosa che possedevano e tutelavano, di conseguenza queste ne hanno fatto lo zimbello.
D’altronde, a corte la donna era esclusa da ogni tipo di attività, gli unici hobby concessi erano la cura personale e l’esaltazione della propria estetica. Caterina in questo contesto cozza: ella è diversa, si staglia sulla massa di corte. Lo spettatore riesce a immedesimarsi e a entrare in empatia con lei che, amante della cultura, fervente sostenitrice dell’illuminismo, viene relegata in un paese alla deriva. The Great mostra un paese che non permette alle donne di leggere e ha bandito il torchio tipografico.
Dopo aver escogitato una serie di piani rivelatisi fallimentari, Caterina decide di applicare una nuova politica, volta a persuadere Pietro attraverso la ragione e l’ingegno, perché:
Puoi tagliare la testa di un uomo o puoi cambiare quello che contiene: nel secondo caso sarai un guerriero fedele; dal primo avrai una testa da cui sgorga molto sangue. A volte sono così intelligente che devo riprendere fiato per non svenire
Dai dialoghi emerge un’ironia talmente tagliente da rasentare il black humor.
The Great si contraddistingue proprio per questo fascino rococò che caratterizza la scenografia e i dialoghi persino nei momenti più grotteschi. Nelle scene dei banchetti emerge questa peculiarità: in uno dei primi al quale assistiamo, la corte – costituita dalle dame riccamente vestite e truccate, assieme ai rispettivi mariti – ha l’occasione di cavare gli occhi alle teste mozzate dei nemici bellici. Il glamour grottesco e surreale rappresenta uno dei pilastri dell’intera serie. Iconica è la scena sul campo di battaglia: Caterina si accinge a portare dei macaron. Ella, costernata dall’accaduto, si accosta ai soldati: questi – chi senza occhio, chi in fin di vita, chi in altrettante condizioni disumane – si apprestano a mangiare i macaron che, con la loro policromia, si stagliano con una palette pastello, estremamente luminosa, sulla scena. Inevitabilmente, torna alla mente la citazione stereotipica attribuita a Maria Antonietta: “se non hanno più pane, che mangino brioche“.
The Great intende marcare e denunciare l’ipocrisia che cerca di ignorare il tema delle disuguaglianze e delle ingiustizie sociali: questi soldati sono mandati a morire, in nome di un Imperatore che non apprezza l’umanità. Vediamo il divario tra le condizioni della servitù e quelle della corte e il trattamento che viene riservato alle donne; emerge anche la chiara contrapposizione tra scienza e religione: durante una visione dell’arcivescovo la sagoma dell’Imperatrice, paradossalmente, viene scambiata per un angelo. Gli spunti per riflettere non mancano. Come affermerà Voltaire:
In assenza di ragione, l’uomo si aggrappa alla superstizione. Dobbiamo distogliere la mente delle persone da essa.
I dialoghi verosimili tra Caterina e Voltaire sono di una lucidità unica, lo spettatore desidererebbe davvero che si fossero tenuti.
The Great è un elaborato pregiato, sia da una prospettiva formale che contenutistica. Affronta con ironia tematiche complesse, ma non toglie la possibilità allo spettatore di immedesimarsi e solidarizzare con i personaggi. Questi, infatti, sono costretti a confrontarsi continuamente con se stessi e con il contesto che li ospita. Spesso proviamo il rammarico, la paura, la frustrazione di coloro che interpretano le vicende. Siamo messi di fronte alla vulnerabilità e alla moltitudine di sfaccettature che costituiscono l’essere umano.
Come ha occasione di dire Voltaire:
Non cercherei la luce se non pensassi che brancoliamo nel buio
Lo spirito spirito guida dell’Illuminismo riconosce il caos verso il quale l’essere umano tende. Di fronte a questa precarietà umana occorre fare comunità e cercare puti di contatto. Riprendendo le parole di Caterina:
Vi guardo, il mio cuore soffre per il vostro dolore, i vostri affanni. Ma vedo anche all’esterno i segni di quello che portiamo dentro ogni giorno e che di solito rimane celato. Ferite, dolore, stenti, tradimenti. Ma anche amore. Per oggi, siete tutti una cosa sola. E quando vi guardate riconoscetelo, capite che siamo tutti russi. Con il nostro dolore e i nostri affanni. Con la speranza di subire meno dolore e meno ferite in futuro. Un futuro in cui i nostri cuori arderanno e palpiteranno di gioia per il paese che abbiamo creato. Uno in cui tutti si fidano degli altri, poiché legati dall’amore per la Russia. E dalla gioia per un nuovo futuro. Huzza!