ATTENZIONE: questo articolo contiene SPOILER su The Handmaid’s Tale 4.
Qualcuno ritiene che ormai The Handmaid’s Tale abbia superato il confine della credibilità, qualcun altro invece continua a ritenerla una delle migliori serie tv di sempre. In ogni caso stiamo parlando di un prodotto immenso che è stato in grado di tramutare le voci di milioni di donne in qualcosa che fosse più semplice da ascoltare per tutti, in un mezzo che potesse veicolare al meglio le atrocità nascoste dietro ogni angolo, e la quarta stagione non è stata da meno. Sì, perché Il racconto dell’ancella è ambientato in un mondo distopico, ma la realtà che ci mostra in ogni puntata, seppur filtrata dai colori della fotografia che hanno contribuito a renderla una serie caratteristica e unica, potrebbe non essere così lontana da quella che stiamo vivendo nella nostra quotidianità.
L’universo nato dalla penna della grandissima Margaret Atwood fin da subito non fatica poi tanto a entrare nel nostro immaginario e a coinvolgerci emotivamente in un viaggio dal quale non può esserci ritorno. Almeno così sembra essere per June Osborne. Se nel corso di questa stagione, infatti, la vediamo finalmente raggiungere il Canada in un episodio struggente e straziante ma al tempo stesso carico di tenerezza, lei non riesce a trovare sollievo dal passato, nemmeno per un momento. Le immagini di Gilead e di Fred e Serena che, sebbene abbiano reso le sue giornate un inferno, potrebbero raggiungere la felicità che hanno tanto desiderato la seguono a ogni passo e, come lei stessa dice nel finale di stagione, non riesce a dimenticare tutto il male che le hanno fatto. Non può.
Così rabbia e frustrazione si impossessano di lei e, come mai prima d’ora, riusciamo a scorgere nei suoi occhi il desiderio di avere finalmente giustizia.
Sì, perché questa stagione chiede giustizia in ogni puntata. A partire dal primo episodio (qui la nostra recensione), quando viene introdotto il personaggio di Esther Keyes (un’incredibile e spiazzante Mckenna Grace), un’altra delle tantissime giovani donne vittime di un sistema che le vede come oggetti il cui unico scopo è quello di subire in silenzio le violenze degli uomini. Ma quando Esther accoglie June nella sua fattoria assapora per la prima volta il gusto dolce della vendetta. Per lei e per molte altre, questa sembra essere l’unica forma di giustizia possibile visto che nessun altro penserà davvero a punire chi ha commesso violenza nei loro confronti.
The Handmaid’s Tale 4 è una stagione fatta di perdite e di continue rese dei conti, di paura e desiderio di riscatto. La voglia di June di uscire fuori da Gilead una volta per tutte contrasta in ogni episodio con la necessità di riavere Hannah e con la devastante consapevolezza di non aver alcuna possibilità di riabbracciarla. La luce ha abbandonato June da molto tempo ormai, dentro di lei non c’è più traccia della donna che era prima che Luke e sua figlia le venissero strappati dalle braccia, e non basta essere riuscita a raggiungere il Canada, aver rivisto Moira, la piccola Nichole e suo marito. Non riesce a trovare un equilibrio perché il peso delle violenze e delle ingiustizie subite supera di troppo quello della libertà che è riuscita a guadagnarsi, e i piatti della bilancia non possono equivalersi.
Ma l’importanza di The Handmaid’s Tale 4 sta anche nel tentativo di June di cercare giustizia dal sistema e dalla sua testimonianza in tribunale.
In uno degli episodi diretti dalla magistrale Elisabeth Moss, la voce di June Osborne riecheggia sugli schermi e nelle menti di tutti noi. Le sue parole sono forti, dure e non ammettono alcun tipo di replica. Le violenze che Fred ha compiuto, il mondo che lui e Serena hanno contribuito a far nascere sono quanto di più diverso possa esserci dall’umanità con la quale invece credono di agire e quanto di più lontano possa esserci dal voler di Dio che insistono a dire di dover compiere. Non meritano di avere un figlio e di crescerlo, e così come loro hanno portato via a migliaia di uomini e donne l’opportunità di essere una famiglia, June intende ripagarli con la stessa moneta e non avrà pace finché non ci sarà riuscita. Confida nella giustizia e collabora nella speranza che i crimini commessi vengano puniti, ma si accorge presto che ciò che lei desidera è pareggiare i conti offrendo ai Waterford l’unica via d’uscita possibile: il dolore.
Non può esserci redenzione o sollievo.
In una specie di ring composition, il primo e l’ultimo episodio della quarta stagione sono collegati tra loro da un filo sottile ma resistente. Se nel primo vediamo June sporca del proprio sangue, il cui rosso si fonde con quello della sua cappa da ancella, nell’ultimo la vediamo da donna libera, con indosso un cappotto rosso e ancora coperta di sangue, ma stavolta è dell’uomo che è stato causa prima della maggior parte delle sue sofferenze. June Osborne ha riconquistato la propria libertà con il sangue. Ha rivendicato l’unica vera giustizia che potesse colmare la differenza di peso tra i due piatti della bilancia. La rabbia e il respiro di sollievo che ha provato nel vedere Fred subire solo una piccola parte del dolore che ha inferto sono gli stessi che Emily e le molte altre donne che l’hanno accompagnata nel finale hanno sperimentato.
The Handmaid’s Tale 4 non ci ha dato un conflitto tra Gilead e il Canada, ma ci ha mostrato che qualcosa sta cambiando, che la sicurezza di un sistema costruito sulla violenza compiuta in nome di Dio si sta incrinando e che c’è chi, all’interno di questo sistema, è ancora disposto a lottare. Attraverso un finale epico, accompagnato dalle note chiare e inequivocabili di You don’t own me, questa stagione si chiude e ci lascia spiazzati ancora una volta, dopo averci regalato molti momenti dall’intensità tragica senza paragoni.
The Handmaid’s Tale avrà anche avuto dei punti deboli nel corso delle stagioni, ma il percorso di riscatto vero e proprio ha avuto inizio in questi 10 episodi e una stagione sola di certo non basta per chiedere giustizia. Il viaggio di June non si è ancora concluso e non ci resta che attendere per affrontare insieme a lei le conseguenze di quanto accaduto. Nel frattempo è importante che ricordiate sempre e in ogni momento:
Nolite te bastardes carborundorum.