Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 2×10 di The Handmaid’s Tale
Sono passati diversi giorni, ma quelle immagini albergano ancora nei nostri incubi peggiori. The Last Ceremony, decimo episodio della seconda stagione di The Handmaid’s Tale, si è distinto per alcune scene molto violente e l’immane tristezza senza speranza di molte altre. Un’ora pesantissima e difficile da mandar giù, conclusa col riflesso tremendo di una donna prossima al parto abbandonata al proprio destino in mezzo alla neve. Dopo aver detto addio all’amata figlia per la seconda volta ed aver subito l’ennesimo stupro, il più brutale. L’ultimo di una lista infinita.
L’episodio ha creato molte polemiche. I più critici hanno puntato il dito contro gli sceneggiatori della serie, rei di aver messo in scena diverse scene caratterizzate da una violenza considerata gratuita. Non è la prima volta. Poche settimane fa, per esempio, Fiona Sturges, autrice del The Guardian, aveva attaccato duramente The Handmaid’s Tale, colpevole a detta sua di aver smarrito nella seconda stagione la critica sociale della Atwood per lasciar spazio ad un cinico sadismo eccessivo e fuori luogo. Ma è davvero così? The Handmaid’s Tale è troppo violenta?
Non ci sono dubbi: è molto violenta. Abbiamo visto davvero di tutto: dalle lingue mozzate agli occhi cavati, fino ad arrivare alla carne bruciata delle povere ancelle e alle frustate inferte a Serena. Per non parlare delle colonie, macellerie mortifere per essere umani non più considerati tali. Alle torture fisiche si affianca il terrorismo psicologico costante che caratterizza ogni ambiente e ci toglie il respiro, lasciandoci inermi. Insomma, la Repubblica di Gilead non è proprio un bel posto, lo sappiamo molto bene. Ma la domanda resta: The Handmaid’s Tale è troppo violenta?
No, non lo è. Anche se la Sturges non sbaglia su un punto: la seconda stagione ha finora tralasciato oltremisura i risvolti socioculturali e politici di Gilead, concentrandosi quasi unicamente sul dramma umano di June e le altre ancelle. Il livello d’introspezione dei personaggi, unito alla qualità straordinaria del racconto, mantengono la serie su altissimi livelli da ogni punto di vista, ma i più critici hanno avuto la sensazione che la tendenza crescente all’utilizzo della violenza non sia altro che un espediente per tenere alta la tensione in presenza di una trama da allungare nel tempo.
Non possiamo essere d’accordo. La violenza di The Handmaid’s Tale non è mai gratuita e rappresenta al contrario un preziosissimo strumento narrativo. Prezioso al punto da avere addirittura una funzione sociale. Se da una parte ci permette di immergerci fino in fondo nelle brutture di una teocrazia totalitaria che tratta le donne alla stregua di bestie da monta e non concede alcuna forma di libertà, dall’altra è l’ancora di salvezza di un mondo col paraocchi che dovrebbe finalmente risvegliarsi e non abbandonarsi alla deriva. Oggi, come non mai.
Questo non è mero intrattenimento: è un racconto che scuote le coscienze. Non è un caso che le tuniche delle ancelle, indossate dalle manifestanti di mezzo mondo, siano ormai equiparabili alle maschere iconiche di V per Vendetta. Rappresentano il simbolo di una ribellione sempre più necessaria. Perché, diciamolo, The Handmaid’s Tale conserva ovviamente una natura del tutto distopica, ma la realtà, purtroppo, non è molto lontana dall’immaginazione. Stiamo attenti, non si sa mai. Gilead, come ogni regime, non è nato dall’oggi al domani. E come ogni regime è stato fortemente subdolo, soprattutto all’inizio.
Indigniamoci, quando uno Stato esce dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu e taglia i fondi per le cliniche che praticano o suggeriscono l’aborto. Indigniamoci, ogni volta che un bambino viene messo in gabbia e separato da un genitore. Indigniamoci, se qualcuno mette in discussione i diritti fondamentali di ogni uomo. Indigniamoci, come se ognuno di noi subisse quel che subiscono June e le povere ancelle. Arrabbiamoci, incazziamoci. Non chiudiamo gli occhi di fronte alla violenza e alle distorsioni di un mondo tornato al Medioevo. Non facciamolo mai: la brutalità di The Handmaid’s Tale potrebbe rappresentare la nostra salvezza.
Antonio Casu
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