Il valore iconico della parola
Siamo quasi arrivati alla fine. Manca solo un aspetto, il più importante: il valore iconico della parola. L’assenza di libertà di pensiero e parola è il fondamento di tutti i totalitarismi, e si sposa idealmente con il divieto imposto alle donne dalla Repubblica di Gilead di leggere e scrivere. Le icone presenti nei supermercati per indicare i prodotti assumono quindi un significato profondo, così come il bavaglio indossato dalle prigioniere non allineate, il regalo di una rivista ad un’ancella e l’atto sovversivo, per molti versi sensuale, di una partita a Scarabeo col Comandante. Chiunque non legga e non scriva è maggiormente malleabile, soggiogabile e, di conseguenza, soggetta all’indottrinamento.
La cultura e un buon livello d’istruzione mettono a rischio la salvaguardia di un regime dittatoriale, ancor più se teocratico. L’Università di Harvard si trasforma, non a caso, in un luogo di detenzione e tortura, mentre la sede del Boston Globe diventa l’ultimo baluardo di una nazione piombata nell’oscurità e la casa di una ragazza, un tempo redattrice, alla ricerca della libertà. Ma non tutto è perduto. Non ancora. Le testimonianze di chi non ce l’ha fatta costruiscono le fondamenta di un domani migliore. Una penna può trasformarsi in un detonatore. Per questo gli oppressi scrivono. Scrivono ovunque, appena possono. Facciamo altrettanto. The Handmaid’s Tale è un racconto distopico, ma non si sa mai. Nolite te bastardes carborundorum. C’è sempre una speranza.
Antonio Casu
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