Dopo mesi di attesa mista ad aspre critiche e l’hype per questa serie che ha viaggiato ai ritmi delle peggio montagne russe, The Idol può essere considerato, in ogni caso, un capitolo chiuso. Non sappiamo se ci sarà una seconda stagione, visto che HBO ha puntato così tanto su un progetto a dir poco confuso (promettiamo di andarci il più piano possibile), non sorprenderebbe affatto se la serie di Sam Levinson godesse di una seconda nonché ultimissima possibilità. Al di là di questo, e al di là del fatto che The Idol possa essere piaciuta o meno (nonostante i rappresentanti di questa classe siano in netta maggioranza), è giusto concedersi un attimo per capire, effettivamente, dove si volesse andare a parare. Già, perché stroncare il tutto a priori è troppo semplice, ma noi che abbiamo seguito la prima stagione passo dopo passo, puntata dopo puntata in una agrodolce agonia, ci ricordiamo benissimo di tutte le premesse positive (almeno prima che la serie debuttasse a Cannes), onde per cui, oggi vogliamo provare a conversare con il noi del passato per rispondere a un quesito che rimbomba fragorosamente nella nostra testa: ma The Idol, alla fine della fiera, dove voleva andare a parare?
Sam Levinson ha voluto strafare?
Uno dei punti principali sulla questione The Idol, è rappresentato dalla pesantezza della sua firma autoriale. Già, perché dopo il successo di Euphoria, Sam Levinson è diventato uno dei most wanted del settore, cosa che ha fatto naturalmente schizzare alle stelle le aspettative nei suoi confronti; dunque, visto il fallimento della sua seconda opera per HBO, è più che lecito chiedersi se il buon Levinson abbia, in qualche modo, fatto il passo più lungo della gamba, o quantomeno sbagliato completamente direzione. Onestamente, noi andremmo più su questa seconda possibilità: Sam Levinson è un eccezionale autore che conosce perfettamente le sfumature di quell’immaginario che è, ormai, la sua arma migliore, ma con The Idol ha sicuramente preso un enorme abbaglio. Le buone premesse tematiche sono comunque evidenti: The Idol poteva (e voleva) essere una serie rivoluzionaria, voleva concentrarsi sul concetto di oggettivazione del corpo femminile, prendendo come riferimento la cultura musicale, e estremizzare ogni aspetto di questa pratica per smontarla e demistificarla pezzo dopo pezzo; un altro punto interessante, a cui The Idol si è dedicata decisamente poco e con cui avrebbe potuto guadagnare molti punti, è l’analisi dell’aspetto manageriale che sta dietro a una popstar, o comunque a un’icona musicale, soprattutto se così giovane: i personaggi di Chaim, Destiny e Nikki, ci vengono presentati fin dalla prima puntata, dipinti come autentici vampiri interessati soltanto alla Jocelyn money maker, e non al suo lato umano; tuttavia, questo branco di iene viene presto messo in ombra, come la maggior parte delle cose in The Idol, dalla figura di Tedros (The Weeknd) che, come ben sappiamo, è stato il più grande limite della serie di Sam Levinson.
Insomma, le tematiche per portare a casa un altro grande successo c’erano tutte, ma allora perché l’autore non ha sfruttato a dovere niente di tutto ciò? Quello che pare ovvio fin dalle prime scene di The Idol, è che l’aspetto visivo avrebbe avuto troppo spazio rispetto a quello narrativo, finendo per insabbiare qualunque buona intenzione iniziale. Sam Levinson è colpevole di essersi fissato con la rappresentazione violenta della sessualità, che probabilmente nella sua testa era un’arma fondamentale per far lasciare il segno a The Idol nell’immaginario collettivo dei fan, ed è anche comprensibile come pensiero, ma che invece si è dimostrato il suo più grande limite. Le scene carnali sono un crescendo di imbarazzo e perversione, e anche se ci fossero stati i presupposti narrativi per fare bene, avrebbero fatto dimenticare quanto visto prima in un baleno. E occhio a dare la colpa al pubblico, perché si va completamente fuori strada: Euphoria è anch’essa una serie sporca e difficile da mandare giù, ma non per questo si prende la briga di mettere da parte il contenuto per far risaltare la forma, come invece fa The Idol, in ogni singola puntata. Probabilmente, tra qualche anno (e tra qualche opera di Sam Levinson), sarà ancora più evidente l’enfasi che l’autore ha deciso di mettere sulla superficialità del contenuto, mentre nessuno si ricorderà, per esempio, dello sviluppo (praticamente inesistente) dei personaggi di The Idol, alcuni dei quali erano davvero interessanti.
Lasciamo Hollywood agli attori
Se in Euphoria la presenza di Zendaya è necessaria, ciò non fa presupporre che in una serie ambientata in un universo simile a quello della prima opera di Levinson, sia d’obbligo fare un “passo oltre”, andando a chiamare in causa un nome ancora più altisonante come The Weeknd. Innanzitutto, la Rue di Euphoria ha un background di tutto rispetto, mentre il cantante statunitense pare essere, fin da subito, soltanto un modo per “vendere più biglietti”; intendiamoci, non vogliamo assolutamente condannare il dualismo tra cinema e musica, anche perché c’è chi sfrutta tale possibilità al meglio, ottenendo risultati straordinari (sì, Ryan Murphy, ce l’abbiamo con te) ma, di certo, non è uno strumento da prendere sotto gamba. The Weeknd non è adatto al suo ruolo e, con ogni probabilità, nemmeno alla recitazione, almeno per ora, e tutto questo è ben visibile fin dalla prima puntata di The Idol, ma non solo dalla critica di Cannes che, secondo i più scettici, avrebbe potuto indirizzare i giudizi fin da prima della messa in onda, no, non è così, perché il fatto che The Weeknd sia fuori luogo è davvero sotto gli occhi di tutti. E la cosa atroce è che in realtà il personaggio di Tedros poteva essere qualcosa di davvero innovativo e intrigante: una sorta di sciamano di Los Angeles che recluta artisti di primissimo rango sotto la sua ala protettiva, in una misteriosa e oscura setta; letta così (e senza immaginare il faccione del cantante in primo piano) suona davvero come un’ottima idea.
Il più grande what if però, resta la protagonista, nonché unica nota dolce di The Idol: Lily-Rose Depp. Sì, perché già nei primissimi scatti sul set del nuovo video musicale di Jocelyn, si capisce che la ragazza ha talento da vendere, e che era davvero l’unica pedina al proprio posto nel marasma di The Idol. La seconda opera di Sam Levinson poteva essere tranquillamente la sua serie, un trampolino di lancio fenomenale, ma anche la sua centralità nel progetto, che comunque non è mai stata messa in dubbio, è stata un fallimento. In primis, come abbiamo già detto, perché necessitava di un co-protagonista all’altezza del ruolo, ma anche perché è stata utilizzata, per la gran parte del suo tempo on-screen, esattamente come Sam Levinson si era preposto di non fare. Jocelyn poteva essere lo spirito e la mattatrice di The Idol, ma è stata vittima, la più altisonante, di quella eccessiva ricerca di un’identità visiva sporca e cruenta di cui parlavamo prima. Sam Levinson voleva portare il suo immaginario a uno step successivo, sfidando spettatori e critica, senza paura, sul lato emotivo, ma tutto ciò senza prestare la necessaria attenzione allo sviluppo di trama e personaggi e, soprattutto, concentrandosi troppo su scene senza la minima attrattiva. Insomma, la volontà di The Idol era quella di proporsi come un trattato scandalistico che facesse innamorare i fan della sua identità, ma il risultato è stato soltanto uno scandalo, sia da un punto di vista visivo che da un punto di vista narrativo, ahinoi.