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The IT Crowd, l’antenato meno cool (ma molto più nerd) di The Big Bang Theory

The IT Crowd
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The Big Bang Theory non è The IT Crowd, e questo non è un confronto. Sono due comedy acute, concepite con intenti diversi e provenienti da background culturali differenti. Jen non è Penny, Moss non è Sheldon e Roy non è Leonard. Eppure, in qualche modo, la goffa e timida The IT Crowd ha spianato la strada alla sorellastra statunitense, inaugurando quel processo di riabilitazione nella serialità sia della cultura nerd, sia di quella geek. Appena uscita nel Regno Unito, ben quindici anni fa, la comedy divenne subito un fenomeno di culto, ma restò confinata in una nicchia. Perfino la critica l’accolse con curiosità ed entusiasmo. The Guardian la definì come una sit-com inaspettatamente divertente e coinvolgetemene “old-fashioned”, né traballante né surreale, sottolineando che fosse arrivata proprio quando la sit-com era stata dichiarata defunta. Una premessa che avrebbe scoraggiato chiunque, ma non i più temerari. Lo scrittore irlandese Graham Linehan è riuscito così a confezionare uno degli esempi più riusciti di nerd comedy, che ha inaugurato quel filone fortunato da The Big Bang Theory (2007), Communty, Superstore fino a Silicon Valley.

La sit-com britannica raccoglie l’eredità di Monty Python, sbircia gli esempi di più illustri di cringe comedy, come Curb Your Enthusiasm (2000), e si lascia ispirare dal mockumentary creato da Ricky Gervais, The Office UK e da It’s Always Sunny in Philadelphia. Quanto basta però, perché The IT Crowd ha il coraggio di intraprendere nuove direzioni, per lo più assurde. L’umorismo è arguto e la chimica tra Jen, Moss e Roy è spumeggiante. Due geek e una ragazza, apparentemente diversa da loro, si ritrovano a giocare nella stessa squadra, ma, inaspettatamente, riescono a portare avanti una rivolta intelligente. La sit-com è tutto fuorché perfetta. Ha delle caratteristiche particolari e bizzarre che qualcuno potrebbe considerare dei difetti. Ma è proprio perché la si ama o la si odia che è grandiosa. Non si tratta di una serie tv riservata ai geek: è uno show che parla alla parte “inadeguata”, fatta di piccole manie, ossessioni e stranezze, che vive in ciascuno di noi.

Siamo tutti dei disadattati, anche “l’uomo più grande del mondo”

Jen The It Crowd

Londra, 123 Carenden Road. Il colosso commerciale Reynholm Industries, a big hard business in a big hard building (di cui non sapremo mai molto) ha il suo quartier generale in un ampio, moderno e splendente palazzo che si affaccia sulla City. L’impero è stato fondato da Denholm Reynholm (Chris Morris), un Michael Scott potenziato di follia. Quando l’azienda finisce nelle mani del figlio egocentrico e sessualmente frustrato, Douglas Reynholm (Matt Berry), la Reynholm conoscerà una nuova fase, lontana dagli antichi fasti. Ma noi non siamo degni dei piani alti, degli scotch e dei sigari. Noi siamo stati relegati nel seminterrato, buio e polveroso, dove ha sede il dipartimento IT, cioè quello informatico.

Roy Trenneman

Qui troviamo il tecnico di supporto Roy Trenneman (Chris O’Dowd, Girls), un irlandese inetto e svogliato, impegnato a ignorare le telefonate e a giocare ai videogame. Alla scrivania a fianco troviamo il software application developer, Richard Ayoade nei panni di Maurice Moss, lo smanettone ingenuo. Moss e Roy sono due “nerd standard”, tanto intelligenti quanto ottusi e socialmente inadeguati, che trascorrono le giornate lavorative a fare tutto anziché lavorare. Nonostante le apparenze, riescono comunque a trovare il tempo da dedicare all’azienda, anche se nessuno sembra accorgersene. Le due colonne portanti del dipartimento IT, infatti, vivono nell’ombra e subiscono continui maltrattamenti dai piani superiori. Ma il regno della solitudine e dell’inadeguatezza sociale viene stravolto dall’arrivo di Katherine Parkinson (Spreadsheet) nei panni di Jen Barber: il nuovo Relationship Manager. Jen non sa assolutamente nulla di computer, ha falsificato il suo CV per ottenere il posto da responsabile, ma finirà per diventare un filtro con l’esterno, insomma una traduttrice di geek. In apparenza incompatibili, i tre troveranno un modo per comunicare e per sostenersi a vicenda, accettando le rispettive stranezze. Da ultimo – proprio per importanza – nascosto nei meandri più oscuri del dipartimento, troviamo Richmond Avenal (Noel Fielding), un po’ gotico un po’ vampiro.

Vecchio stile, grande umorismo

Le risate del pubblico, l’arredamento posticcio e le soluzioni registiche la fanno sembrare una sit-com datata, più vicina agli anni ’80. Invece è stata prodotta dal 2006 al 2013. Scritta da Graham Linehan (Father Ted, Black Books) e prodotta da Ash Atalla (The Office), la serie di Channel 4 ha quattro stagioni più una quinta, composta però da un solo, esilarante, episodio di addio. Mentre in UK spopolava la mania per il mockumentary, The IT Crowd ha riaccolto il pubblico in studio – un’operazione rischiosa – e ha rilanciato un umorismo ridicolo e surreale. Linehan ha dichiarato che intendeva creare “Seinfeld con i laptop”. L’influenza della comedy all’americana è lampante, con i colpi di scena a sorpresa e la struttura delle puntate che strizza l’occhiolino a Larry David.

Solo un anno dopo, nel 2007, arriverà The Big Bang Theory che, pur trattando delle tematiche simili, saprà catturare l’attenzione di un pubblico molto più ampio e variegato. Pur avendo un grande seguito, la comedy inglese resta infatti un prodotto di nicchia. Mentre lo humor della comedy di Chuck Lorre è accessibile e umano, l’umorismo di The IT Crowd è divisivo. Svieni dalle risate oppure la eviti come la peste. I suoi accadimenti imbarazzanti fanno sbellicare oppure irritano e lasciano nell’indifferenza. I protagonisti hanno un talento innato: riescono ad umiliarsi in ogni puntata. I livelli di cringe risultano indigesti, se non si è sintonizzati sulle giuste frequenze. Come vedere Roy andarsene in giro per un intero appuntamento con della “cioccolata” sulla fronte.

Moss e Roy, i troll

Katherine Parkinson

Moss e Roy sono dei disadattati incapaci di comunicare oltre lo scantinato, e rimarranno tali fino alla conclusione dello show. La comicità nasce dalla loro inadeguatezza sociale, che li rende dei troll, delle figure mitologiche relegate negli scantinati e di cui ignoriamo l’esistenza. Ma “L’Internet” dà loro il potere. Il potere di “trollare” chiunque. Da “Ciao, IT, hai provato a spegnerlo e riaccenderlo?” alle fandonie che raccontano a Jen per tenerla a bada (come il fatto che “The Internet” sia contenuto in una scatola nera). I due impiegati dell’IT non si considerano dei geek, anzi deridono i geek. Sono completamente disconnessi dal mondo reale, non hanno troppa consapevolezza di se stessi e faticano a relazionarsi con l’ambiente esterno.

Nel tempo hanno sviluppato una relazione simbiotica, tanto che Moss ha l’impressione che il loro sia un matrimonio. Nonostante l’amicizia, Roy si prende spesso gioco di Moss, talvolta lo insulta, e litigano spesso. Sarà proprio Jen che li stimolerà ad aprirsi al mondo esterno e a mettersi più in gioco. Eppure, anche Jen, a suo modo, è una disadattata. Ogni suo tentativo di farsi accettare ai piani alti è brutalmente divertente da guardare. Una dolorosa scia di situazioni imbarazzanti che vengono gestite con tanto imbarazzo. Come quando incontriamo un vecchio compagno di classe che si pavoneggia ma non ci domanda niente sulla nostra vita (04×01).

Piacere a pochi, piacere tanto

The IT Crowd

In The IT Crowd i personaggi non sono interessati a evolvere in una versione migliore di se stessi. Sono il centro nevralgico del puro e semplice umorismo. C’è spazio solo per delle situazioni grottesche che peggiorano di episodio in episodio e che ci lasciano in un mare di risate isteriche. Quello che fa grande una commedia è proprio la consapevolezza di non volere, né dovere, piacere a tutti. E The IT Crowd non ci prova affatto. Il suo umorismo nasce dall’imbarazzo sociale dei suoi protagonisti, che oltrepassano i confini del politicamente corretto fin dai primi fotogrammi di ogni episodio. Riescono a infrangere ogni banalissima norma sociale, con le continue esclamazioni fuori luogo, come ai funerali, o i ripetuti escamotage mossi da intenzioni poco nobili, come fa Jen dichiarando di saper parlare l’italiano “per ricevere attenzione”.

I loro tentativi, estenuanti, di “sembrare normali”, come a una cena o a una riunione di lavoro, ci devastano, ma ci divertono. The IT Crowd non vuole insegnare niente a nessuno, e non insegna nulla. Vuole farcela fare addosso dalle risate mostrando delle situazioni imbarazzanti, iperboliche e scorrette. È l’esaltazione del lato inopportuno che alberga in ognuno di noi. E non possiamo che riderne. Ma se non ridiamo, la sit-com se ne frega. Un po’ come Roy e Moss. Non c’è nessuna pretesa di riabilitare i nerd, come fa The Big Bang Theory. Non c’è dubbio che nel corso delle cinque stagioni, i personaggi principali evolvano in qualche modo. Ciascuno di loro è caratterizzato nei minimi dettagli e ognuno va incontro a uno sviluppo circostanziale. Roy, ad esempio, riuscirà ad affinare alcune delle abilità sociali necessarie per trovare una ragazza. Anche Moss si avventurerà nel mondo reale con più disinvoltura, sfidando le sue paure. Ma non è questo lo scopo della serie. Non c’è una morale. Tutto diventa oggetto di derisione. Non c’è una partenza da un punto A a un punto B. La sua missione è quella di farci ridere, avvalendosi di gag esagerate e di situazioni paradossali intrise di riferimenti culturali pop che spaziano da Guitar Hero a The Godfather.

Perché The IT Crowd è terminata?

The IT Crowd

A seguito della popolarità dello show, che si è portato a casa diversi premi BAFTA e qualche Emmy, Channel 4 aveva commissionato una nuova stagione, la quinta, di cui è stato realizzato un solo episodio speciale, The Internet Is Coming. Graham Linehan ha motivato la decisione di interrompere la produzione per chiudere quando la serie era ancora al culmine della sua popolarità, evitando così di denaturarne l’essenza. Tuttavia porrebbe esserci una motivazione meno nobile. In quel periodo gli scandali che coinvolgevano Linehan – noto per le sue posizioni anti-transgender – e le numerose denunce a suo carico avrebbero potuto compromettere la reputazione della serie. Già della terza stagione, con l’episodio The Speech, The IT Crowd era finita al centro della polemica per aver introdotto una serie di battute giudicate transfobiche. Ad ogni modo, il suo creatore ha lasciato una porta spalancata sul futuro della sit-com, salutandoci con un promettente “mai dire mai”.

Forse però è meglio fermarci qui, dove tutto funziona

Maurice Moss

Anche a distanza di quindici anni, The IT Crowd riesce a farci sbellicare allo stesso modo al suono di “Have you tried turning it off and on again” e a farci sentire (di nuovo) come dei disadattati. Non avremmo vissuto quelle stesse situazioni vissute da Jen, Roy e Moss, ma quell’imbarazzante sensazione di essere fuori luogo o di aver appena detto una vagonata di insensatezze è universale e senza tempo. E l’abbiamo conosciuta tutti, chi più chi meno. Ogni puntata è comicità pura e genuina: è come guardare una torre di elefanti in tutù cadere e non poter far nulla per fermarla. Non si tratta di equivoci. Quelli che vediamo sullo schermo sono autentica inadeguatezza, fraintendimenti comunicativi, mondi diversi che si scontrano e gente che si mette il cappio al collo con le sue stesse mani.

In ogni puntata vorremmo solo urlare: zitti, state zitti, non dite altro… E invece, puntualmente, ciascuno di loro – nessuno escluso – riesce a mettersi in ridicolo. E così non ci resta altro che ridere con le lacrime agli occhi perché, in fondo, siamo tutti dei disadattati come Jen, Roy e Moss.

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