Circa due anni fa Amiel e Begler ponevano fine a The Knick con 55 minuti di pura arte. L’ultimo atto è ‘This Is All We Are’, realizzato in un momento di incertezza sull’eventuale rinnovo, poi non arrivato, e dunque in bilico tra l’essere il season finale e il series finale. Una grande chiusura in entrambi i casi, degna del prodotto che Cinemax ha confezionato.
“Ma alla fine…è questo ciò che siamo”
La Serie beneficia inevitabilmente dell’apporto di Soderbergh e della sua mistica regia, talvolta elevata a vera e propria protagonista di The Knick. Tuttavia la seconda stagione ha fatto emergere sempre più lo spessore degli attori e la caratterizzazione dei loro personaggi eguagliando, in importanza, il comparto tecnico. Intorno a John Thackery, indiscutibile protagonista, emergono figure straordinariamente abili nel rivelarsi per quello che sono.
La confessione di Tom Cleary è uno dei momenti più intensi di tutta la Serie. Nell’ultimo, disperato tentativo di conquistare Harriett, egli scende a patti con Dio, attraverso il sacramento della confessione. A modo suo, con il linguaggio rozzo, volgare ed esilarante che lo contraddistingue, rivela l’unico grande peccato che non riesce a perdonarsi: è stato lui a denunciare l’ex suora per la storia degli aborti clandestini. Il motivo è nobile – farla scomunicare per ottenerla in sposa – ma si tratta comunque di un plot twist sconvolgente. Per fortuna non compromette la relazione, giusta, di due personaggi, imperfetti, ma decisamente troppo avanti per il tempo.
Per una storia d’amore a lieto fine The Knick ne propone un’altra marcia fino al midollo. Henry e Lucy hanno sposato la stessa visione, suggellata da un comune patricidio: entrambi sono disposti a tutto pur di perseguire le loro ambizioni. A farne le spese è Cornelia: il confronto tra i due fratelli è un altro momento epocale, capace di trasmettere il dramma dell’una e l’immensa crudeltà dell’altro.
Escono apparentemente vincitori anche altri due personaggi insulsi di The Knick: Gallinger e Barrow.
Il primo riceve un’offerta di lavoro per diventare una sorta di ambasciatore dell’eugenetica in giro per l’Europa; il secondo archivia i suoi problemi con la giustizia. Eppure si tratta di successi effimeri. L’eugenetica di lì a poco verrà annientata in campo scientifico e medico, per insinuarsi alla base della più nefasta dottrina del Novecento: il nazismo. Barrow dovrà comunque fare i conti con un Knickerbocker totalmente diverso, in cui non ci sarà posto per lui. Per di più diviso tra i ricatti della moglie e Junia, inaffidabile intestataria delle sue proprietà.
Ma se The Knick aveva un messaggio da perpetrare, chi ne rappresenta l’immagine emblematica è John Thackery. L’uomo che, operando sè stesso, pone fine a un processo circolare e autodistruttivo, cominciato con la morte del suo mentore e sfociato nella morte di Abigail, ultima ancora di salvezza.
Tra interventi ai limiti del praticabile, nuove cure e altre andate in malora, in due stagioni ne abbiamo viste di tutti i colori. L’unica cosa che The Knick non è stata in grado di curare è l’animo umano e Thackery ne è la dimostrazione. Nella puntata precedente Algie aveva chiesto “Chi dà a un uomo l’autorità di sostituirsi a Dio?”. John, alla fine del suo percorso, arriva alla risposta, con poche sillabe, assurte a morale dell’intera storia.
“This is all we are”. Ha finalmente compreso che lui non è Dio.
In questo senso il confronto con Zinberg assume un significato centrale. Il rifiuto di sottostare alle sue indicazioni anche per un intervento di routine è la riprova che tutto quello che è ordinario, specialmente in campo medico, non è accettabile per Thackery. Perchè l’ordinario spesso non basta a salvare vite. Il suo god complex diviene quindi immagine del Novecento, un secolo contrassegnato da un radicale individualismo e dalla figura del Superuomo.
Il lascito di John è comunque consistente.
Soderbergh, infatti, mostra con una raffinatezza senza eguali il passaggio di testimone tra Thack e Bertie. Eredità tramandata attraverso il dettaglio inequivocabile delle scarpe bianche, peculiarità del primo e ora anche del secondo. È sempre stato Bertie il successore, lo sapevamo fin dalla prima stagione e lo testimonia anche l’intuizione dell’adrenalina, la cui iniezione ha lasciato aperto il dubbio sulla sorte del primario.
L’eredità è addirittura di duplice natura. L’altro dottore con il quale Thack ha potuto confrontarsi, anche duramente, è stato Algernon. Il quale, non potendo più operare a causa della vista danneggiata, prova a tenere vivo l’altro grande sogno di John, votato a trovare una cura per la dipendenza. In sostanza, nello stile che più è consueto a The Knick ci è stata mostrata la nascita della psicoanalisi.
Sono questi i temi cardine di un episodio unico nel suo genere, atto conclusivo di una Serie Tv fuori dal comune. Il cui effetto collaterale è quello di lasciarti crogiolare nella più totale indecisione. Meglio altre mille stagioni di questa meraviglia o inchinarsi dinanzi a cotanta perfezione? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto, il solo riuscire a insinuare questo dubbio è manifestazione di una sceneggiatura sopraffina.
Il prototipo del finale perfetto deve essere elastico, aperto a ogni soluzione senza però contraddirsi. Quello di The Knick va molto vicino a questa descrizione. Per questo motivo dovevamo parlarne. Ma soprattutto dovevamo parlarne perchè c’è un gruppo fb di pazzi come noi che mi ha fatto capire che questo capolavoro non me lo sono goduto solo io. E una Serie del genere, che lascia così tanti spunti, merita un pubblico ancora più ampio.