ATTENZIONE: seguiranno spoiler sul terzo episodio di The Last of Us 2
“Give Sarah my love”

Un abbonamento che cambia il tuo modo di guardare le Serie Tv
Con così tante piattaforme e poco tempo a disposizione, scegliere cosa vedere è diventato complicato. Noi vogliamo aiutarti ad andare a colpo sicuro.
Arriva Hall of Series Discover, il nostro nuovo servizio pensato per chi vuole scoprire le serie perfette i propri gusti, senza perdersi in infinite ricerche. Ogni settimana riceverai direttamente sulla tua email guide e storie che non troverai altrove:
- ✓ Articoli esclusivi su serie nascoste e poco conosciute in Italia
- ✓ Pagelle e guide settimanali sulle serie tv attualmente in onda
- ✓ Classifiche mensili sulle migliori serie tv e i migliori film del mese
- ✓ Consigli di visione personalizzati e curati dalla nostra redazione (e non un altro algoritmo)
- ✓ Zero pubblicità su tutto il sito
Adesso tutto quello che rimane è solo uno. Il noi non esiste più, è stato brutalmente ridotto a un singolo individuo. Tranciato via come un arto incancrenito, senza possibilità di realizzare concretamente chi sta tagliando via il braccio e perché. Troppo presto, troppo repentino. Ci sentiamo noi stessi orfani, tanto quanto Ellie, di una perdita alla quale non sappiamo raccapezzarci. Del resto come tutte le perdite. Eccolo lì, il tristo mietitore che si staglia all’orizzonte, sempre così lontano fino a quando la tragedia non colpisce noi da vicino. La morte è davvero una barzelletta amara. Di quelle che conosci il finale, l’hai sentita ripetere da altri forse un centinaio di volte eppure non sei mai davvero preparato alla battuta finale. Allo scherzone che ti lascia ammutolito, prima che cali il sipario.
Qui, nel caso di The Last of Us, il tristo mietitore è più ilare che mai.
Falcia le sue vittime una dopo l’altra, ci mette molto impegno quando si tratta di apocalissi zombie. E noi, in fin dei conti, siamo spettatori esperti. Lo abbiamo già visto in azione e insultato in The Walking Dead, ne abbiamo chiesto conto e ragione in Game of Thrones. Rimaniamo comunque impreparati, come nella vita vera del resto. Forse la valle di lacrime in cui siamo sprofondati dopo il finale della seconda puntata (qui la nostra recensione) è dovuto al fatto che è quella stessa vita vera a fare capolino. Nessuna infezione zombie, nessun white walker, nessun mostro assetato di sangue, solo la morte in tutta la sua spietata indifferenza. Neutrale e, per questo, inaccettabile.
La morte che agisce mediante le sembianze di Abby, terrificante Lady Vendetta che porta a termine la sua missione personale solo per un fortunato tiro di dadi. Il caso o il destino si compie di fronte ai nostri occhi, impotenti spettatori che, videogiocatori o meno, siamo adesso riuniti sotto lo stesso stendardo nero. E se nel medium videoludico, il dolore si accompagna a un genuino senso di colpa (nostre sono infatti le azioni che portano all’inevitabile risultato), nel caso della serie tv di The Last of Us, ciò che rimane è solo il lutto.
Le cinque fasi del lutto
Ellie si risveglia in una stanza d’ospedale. Flashback del corpo martoriato di Joel le passano davanti agli occhi gettandola nella disperazione. Un dolore acuto la sovrasta, ma viene subito soppresso da pillole e dalla cura del tempo, rimedio (a quanto si dice) infallibile contro ogni malanno. Tre mesi dopo la negazione ha lasciato ben presto il posto alla rabbia, poi alla contrattazione, alla depressione e alla accettazione. Tutto insieme, come ingredienti magici di un calderone il cui risultato finale non può che essere altra morte. Le fasi del lutto non hanno il tempo di attecchirsi nel cuore di Ellie, un tempo che le è stato strappato via come un’erbaccia. Un tempo che non tornerà più, quello con Joel. Allora le cinque fasi del lutto equivalgono, in The Last of Us, catarticamente a cinque nomi: Manny, Owen, Nora, Mel e Abby.

“Cause you’re angry Ellie. And no one’s gonna vote for angry”
Ellie ci prova a mettere da parte la rabbia. Di fronte al consiglio porta avanti la sua proposta in nome di Joel, un po’ per amore un po’ perché il detto “scava due tombe” non deve averglielo insegnato nessuno. Ma ogni tentativo è vano, la collettività ha interesse solo per i vivi. I morti meglio lasciarli dove sono. Così la ragazza parte, insieme a Dina, in cerca di Abby e del gruppo Wolfs, non prima di aver salutato per sempre Joel. L’addio a quella tomba silenziosa rappresenta il momento di passaggio dall’infanzia all’età adulta per la nostra protagonista. Se nel primo episodio avevamo temuto che la sua sfacciataggine è arroganza potesse risultare troppo distante dalla caratterizzazione videoludica, adesso non possiamo che ricrederci e chiedere scusa a Bella Ramsey.
Il viaggio di formazione ed evoluzione di Ellie in The Last of Us.
Qui, in questa pianura incolta e bruciata dal sole, ha inizio il viaggio di formazione della nostra eroina. Ellie posa dei chicchi di caffé sulla tomba del padre, obolo per il traghettatore che permetterà a Joel di trovare la pace e chissà magari anche la sua Sarah. Il primissimo piano è un colpo al cuore. Negli occhi lucidi della ragazza leggiamo dolore, rassegnazione, amore e i ringraziamenti taciuti verso un uomo che le ha salvato molto più della vita.
Il terzo episodio della seconda stagione di The Last of Us (disponibile su Sky Atlantic) segna dunque una cesura, un passaggio di testimone inevitabile. Con Seattle davanti a loro e casa alle spalle, Ellie e Dina stanno per infilarsi dritte dritte nella tana dei lupi. Un’orda di soldati marcia su Seattle, pronta a travolgere chiunque incroci il loro cammino. Ne abbiamo avuto un assaggio a Jackson e poi nel bosco, con l’esiguo gruppo di Serafiti. Proprio loro sono il nuovo elemento a inserirsi, sebbene per ora molto timidamente, nella trama generale della seconda stagione di The Last of Us. La tempesta sta arrivando e non ci sono ripari in vista.