Comprai il gioco di The Last of Us perché avevo bisogno di una copia piena d’azione con cui passare metà dei miei pomeriggi. L’azione c’era. Il racconto di Joel e Ellie si faceva strada tra combattimenti all’ultimo sangue e missioni in cui dovevo salvare la pelle dei protagonisti prima che irrompesse un clicker. Le inquadrature buie riflettevano la mia paura mentre cercavo di sfuggire a un’orda di ribelli armati fino al capello. Poi c’era la meravigliosa vena legata allo spirito di avventura: quella in cui Joel e Ellie si arrampicavano sui tetti degli appartamenti abbandonati mentre sfidavano la luce accecante del sole. Comprai quel maledettissimo gioco per divertirmi e lacerare la monotonia che in alcuni momenti si faceva più pesante del solito. Ma con il tempo capii che l’azione era soltanto un piccolissimo brandello di The Last of Us, una storia in cui i combattimenti erano solo il pretesto per parlare di vita e amore: in fin dei conti The Last of Us parlava di noi.
The Last of Us cattura l’anima
The Last of Us mi aveva fatto un brutto scherzo, CI aveva fatto un brutto scherzo: un gioco per una ‘stupida Playstation’ – ricordiamoci che è uscito in un periodo in cui la complessità dei videogame non era ancora capita e studiata – mi induceva a pensare. All’apparenza passavo le ore con il joystick alla mano per scoprire di più sul destino dei protagonisti, mentre in pratica stavo imparando moltissimo sull’esistenza di ognuno di noi. La capacità di quel gioco di toccare temi considerevoli era magistrale e quasi sembrava di stare all’interno di una serie tv. Poi una serie tv su The Last of Us è finalmente arrivata e il desiderio di ogni appassionato fu appagato.
Gli episodi, per il momento, stanno lasciando un po’ da parte quell’azione di cui si sono innamorati parecchi estimatori del gioco, per portare avanti un tipo di narrazione in cui si raccontano storie più complesse di quelle ordinarie. In questo senso, la trattazione della pandemia all’interno della serie sta assumendo un taglio più scientifico e molto vicino a una direzione realistica. La proliferazione del fungo Cordyceps viene descritta attraverso immagini che richiamano la situazione legata al Covid 19, quella in cui siamo stati sotterrati da poco, fatta di zone di quarantena e sistemi protezionistici per la salvaguardia delle persone in causa. Quella in cui la libertà era un orizzonte lontano.
La trasmissione dell’infezione è addirittura, all’interno della serie, oggetto di studio nel secondo episodio, tutto incentrato sulla pericolosità del fungo e di chi lo contrae. The Last of Us sta cercando in tutti i modi di farci immedesimare nella parte e ci sta riuscendo: i protagonisti sembrano, al di là di tutto, fratelli a cui tendere una mano nel momento di bisogno. Quest’ultimi, come nel gioco, sono infinitamente complessi e spesso rappresentano un insieme riempito di delicatezza e tensione. La storia di Joel e Ellie non è la classica storia di una serie on the road in cui scappare dai zombi. La storia di Joel e Ellie è il racconto subdolo della drammaticità in cui si può finire da un momento all’altro nella vita. Come una cassetta in bianco e nero che sembra sospesa dal tempo, il continuo rilascio di situazioni strazianti sembra il fulcro dell’intero arco narrativo. In questo percorso feroce, il peso esistenziale dei protagonisti ci entra nel cuore e nel cervello senza esitazione, con una semplicità a tratti disarmante.
I temi importanti sono sbandierati come bandiere al vento
The Last of Us parla di guerra mentre urla al mondo che l’amore è l’unico appiglio a cui aggrapparsi per tenersi a galla. Il terzo e il settimo episodio della serie, ad esempio, esaminano la forza dei sentimenti in mezzo all’inferno in cui sono proiettati i protagonisti. Come se fosse un libro da cui imparare i dettami più importanti, gli episodi si concentrato su tutti quegli aspetti che rendono la vita un dono incredibilmente bello. Si parla di libertà e di piccoli scorci quotidiani che curano l’anima, come un abbraccio alla persona che si ama mentre all’esterno delle mure di casa ci sono solo morti che camminano. La solitudine e la sofferenza dei protagonisti passano attraverso l’esposizione della perdita: Joel ha perso sua figlia mentre Ellie ha visto morire la sua migliore amica dinanzi ai suoi occhi. Entrambi stanno riscoprendo il valore dei legami familiari dentro gli occhi innocenti di una vita che non ha voluto la tragica situazione in cui si è trovata. Il bello è che questi temi, così importanti, passano sul filo del rasoio con estremo silenzio: non ci accorgiamo della loro complessità fino a quando non ci mettiamo a pensare. Da quel momento ci rendiamo conto di quanto sia importante questa serie. Di quanto è estremamente affascinante trovarsi inghiottiti con tutte le scarpe in un racconto del genere.
La complessità dei temi della trama non è un ostacolo per la comprensione della sua importanza. The Last of Us si lascia guardare senza capricci perché, quando parla di Joel e Ellie, sta parlando in realtà a tutti noi, a chiunque si è ritrovato ad affrontare una situazione ardua che sembrava intramontabile. Il rapporto magmatico dei protagonisti riflette, spesso, i momenti in cui, almeno una volta, abbiamo chiesto aiuto. In The Last of Us, senza saperlo, Joel e Ellie si stanno chiedendo ‘soltanto’ aiuto per dominare una catastrofe e renderla un tantino più debole di quella che effettivamente è, anche se si sentono delicati come un fiore in inverno. Ma spesso la delicatezza è fonte di sensibilità e la sensibilità apre tutti i contorni del mondo.
The Last of Us ha una logica e coerente continuità con il videogioco e il cuore dell’opera madre batte ancora più forte. Tutto questo grazie a differenze che diventano funzionali all’interno della serie e a una scrittura che rende omaggio alla commovente interpretazione di Pedro Pascal e Bella Ramsey. Le loro prove si stanno caricando sulle spalle tutto il peso di una trasposizione estremamente delicata. Insieme a loro, Craig Mazin e Neil Druckmann hanno confezionato un arco narrativo ricco di momenti drammatici e scioccanti in cui, alla fine, i mostri, più che gli infetti, sono i demoni interiori dei protagonisti. Il livello introspettivo della serie raggiunge picchi altissimi quando si scorge il passato dei personaggi in scena: un angolo in cui nascondere, per sempre, le proprie gioie ormai lacerate. Questa storia ha anche il merito di essere confezionata bene, con l’obiettivo di non appesantire mai chi sta guardando gli episodi.
Comprai il gioco di The Last of Us perché avevo bisogno di un po’ d’azione per movimentare i miei pomeriggi videoludici, ma mi sono ritrovato in una storia in cui l’azione era solo un contorno. Ho iniziato a vedere la serie spinto dal bisogno di rivedere il toccante destino dei protagonisti sul piccolo schermo, non conscio del fatto che questi episodi avrebbero aumentato la mia passione verso quest’opera. Un’opera in cui i legami sono un’arma per combattere qualsiasi tipo di guerra, anche quella invisibile legata a una pandemia. Un’opera in cui si raccontano storie più complesse del previsto. The Last of Us domina le mie sensazioni con estrema semplicità.