Dal Giugno del 2014 a quello del 2017 la HBO ha mandato in onda The Leftovers – Scomparsi nel nulla, il drama in tre atti per il quale Damon Lindelof si è ispirato all’omonimo romanzo di Tom Perrotta. La prima stagione è una fedele trasposizione delle vicende narrate dal libro, mentre le successive danno vita a un’ideale prosecuzione realizzata sotto la supervisione dello scrittore statunitense, che ha contribuito personalmente alla stesura della sceneggiatura.
A dispetto della scarsa considerazione di cui gode dalle nostre parti, riteniamo che la visione di The Leftovers sia un’esperienza da fare almeno una volta nella vita.
Perché? Ve lo spieghiamo con argomentazioni che manterremo spoiler-free per renderle adatte a coloro che intendono prestarsi all’opera di convincimento senza rovinarsi alcuna sorpresa.
La trama di The Leftovers è facilmente riassumibile: il due per cento della popolazione mondiale è vittima di una scomparsa improvvisa e al restante 98 tocca l’ingrato compito di scendere a patti con quanto accaduto. Si potrà pensare che la serie vada vista per scoprire cosa si nasconde dietro a un fatto così inusuale e sconvolgente, ma malgrado una componente mistery senz’altro intrigante, non è quello che ci sentiamo di additare come sprono principale. La Dipartita è una presenza costante e tangibile, un peso che schiaccia i protagonisti e ne indirizza i rispettivi percorsi; ma se ci soffermiamo sulla funzione narrativa che essa svolge all’interno della storia, noteremo subito che non ne rappresenta l’oggetto, bensì il motore. Dopo essersi verificata, la Sparizione abbandona il centro della scena e diventa lo sfondo contro cui si stagliano gli eventi. Non è un caso che il pilot sia ambientato a distanza di tre anni dalla sua venuta, in coincidenza con quell’Heroes Day istituito per celebrarne l’anniversario.
Qual è, dunque, il vero fulcro della serie?
Sono le ripercussioni che la Dipartita ha generato nella comunità di Mapleton, da cui è sparito circa un centinaio di abitanti. C’è chi ha trovato rifugio all’interno di una setta, chi ha adottato insani stratagemmi di sopravvivenza, chi si è trincerato in un involucro di rabbia. Questa gamma di reazioni differenti è resa omogenea da un comune denominatore: l’incapacità di superare quanto avvenuto. La doppia valenza che il titolo possiede è una perfetta esemplificazione di questo concetto. The leftovers significa letteralmente rimasti e indica a un tempo la condizione fisica e psicologica di coloro che la Dipartita ha risparmiato: una permanenza che è anche uno stallo mentale, un pantano da cui sembra impossibile venire fuori.
Viene spontaneo domandarsi quale sarebbe la propria reazione di fronte a una simile catastrofe. La disperazione ci porterebbe a rimpolpare le file dei Colpevoli Sopravvissuti? A cercare rifugio nella fede come fa il pastore Matt? A dar credito a un santone come Wayne? Il dolore è una forza bruta che risucchia ogni briciolo di razionalità e controllo, pertanto è difficile stabilire a priori la propria risposta. Quel che è certo è che l’empatia verso coloro che sono stati travolti dagli effetti della Dipartita è inevitabile.
Il lutto: il vero protagonista di The Leftovers.
Metabolizzare la perdita, si sa, è un’impresa che richiede tempo, un tempo scandito da quelle cinque fasi che si susseguono prima del raggiungimento dell’ultimo, sospirato step: l’accettazione. Ma quello che dovrebbe essere un percorso lineare, che parte da A per arrivare a Z, in The Leftovers diventa un labirinto senza via d’uscita, perché come si può accettare l’inspiegabile?
La serie ideata dal padre di Lost è un paradigma di quella sofferenza che non trova lenimento in risposte o motivazioni, la peggiore da cui si possa essere toccati. La Dipartita è un fulmine a ciel sereno, un mostro piombato su un’umanità inerme che non solo non ha avuto la possibilità di difendersi in occasione dell’attacco, ma nemmeno quella di spiegarselo dopo che si è verificato.
La mancanza di senso è ciò davanti a cui la mente umana non riesce a darsi pace, l’elemento a cui non è capace di rapportarsi, lo scoglio che non è in grado di superare.
Ma sarebbe fuorviante identificare The Leftovers con un buco nero che risucchia ogni barlume di positività e speranza.
L’altra faccia della medaglia è costituita da le relazioni umane e il loro valore. Nel corso degli episodi si vedono nascere connessioni a volte inaspettate e sempre, immancabilmente profonde. Sono proprio questi rapporti che spingono i personaggi a cercare di riemergere dalle acque torbide in cui sono finiti per ritornare a respirare. Sono le relazioni – tranciate, recuperate o instaurate – a regalarci i momenti più intensi di una serie dal carico emozionale devastante e a recapitarci il messaggio di cui essa si fa portatrice in un finale di serie totalmente all’altezza delle aspettative.
Ecco, dunque, perché dovreste vedere The Leftovers: per immergervi in un racconto intimo e potente; per riflettere sull’umano e sulle sue infinite sfaccettature; per capire che non è mai troppo tardi per voltare pagina e ricominciare a vivere.