2) AMBIENTAZIONE
Parlavamo di forma di per sé perfetta. L’ambiente ricreato ci lascia letteralmente a bocca aperta, rendendo The Man in the High Castle un’esperienza visiva come poche altre.
I fatti narrati si alternano tra la nipponica San Francisco e
una New York all’ombra della svastica
Una City by the Bay che pare essere stata abbandonata a se stessa. Decadente, grigia, industrializzata. Qui le palazzine e i ghetti si contrappongono ai lussuosi appartamenti e ai minka dei giapponesi. Americani costretti a imparare la lingua dei loro padroni, adattarsi ai loro costumi e a venire trattati come inferiori. Questa è la cartolina che ci arriva da una California dove ora sventola alto il nisshōki.
San Francisco è totalmente diversa da come la conosciamo. Stesso discorso va fatto per La Grande Mela. New York si presenta come un agglomerato urbano che profuma di utopia. Ordinata, regolare, pulita, impeccabile. L’emblema di una perfezione che trova corpo in uno slancio artistico-architettonico monumentale, capace di rendere al meglio l’idea di grandezza e potenza del Reich. Qui famiglie ariane vivono una quotidianità all’insegna della fedeltà al Führer e ai suoi dettami.
Berlino è il fiore all’occhiello per innovazione ed estetica. I razzi hanno preso il posto degli aerei. La musica country è finita nel dimenticatoio. Una visione fantasiosa, ma allo stesso tempo moderna, magistralmente portata sullo schermo.