Da quando The Marvelous Mrs. Maisel è sbarcata su Amazon Prime Video nel 2017 è diventata una serie cult istantaneamente. Ha fatto incetta di tutti i maggiori premi televisivi, quasi monopolizzati negli ultimi anni, conquistandosi il favore di critica e pubblico. Creata da Amy Sherman-Palladino (madre anche di Lorelai Gilmore) e giunta ormai alla sua terza stagione (le riprese della quarta inizieranno a breve), The Marvelous Mrs. Maisel ha per protagonista Miriam ‘Midge’ Maisel (Rachel Brosnahan), una giovane e benestante casalinga ebrea che vive in uno splendido appartamento nella New York di fine anni Cinquanta.
L’apparente vita perfetta di Midge, moglie devota e madre di due figli, viene turbata quando scopre che il marito Joel (Michael Zegen) ha una relazione con la sua segretaria e ha intenzione di lasciarla. Sconvolta dal dolore, Midge non perde tempo e si lancia in una nuova carriera: la stand-up comedy. Con l’aiuto della scorbutica manager Susie (Alex Borstein), Midge si destreggia tra genitori invadenti, un matrimonio fallito e la sua nuova vita, il tutto mentre insegue il suo sogno.
Tra battute sagaci, una recitazione brillante, atmosfere sognanti e i dialoghi serrati che rappresentano il marchio di fabbrica della Palladino, The Marvelous Mrs. Maisel si è presto guadagnata un posto d’onore tra le serie più osannate degli ultimi anni e la sua protagonista Midge è diventata una moderna icona femminista.
Nel quasi unanime coro di lodi che si è levato per la serie, la critica televisiva Emily Nussbaum rappresenta una voce stonata. In un articolo apparso sul New Yorker nel dicembre 2018, la Nussbaum si interroga sul perché non sia riuscita ad apprezzare una serie che sembrava aver messo tutti d’accordo, giungendo a un’interessante conclusione: “Il problema de La fantastica signora Maisel è proprio la signora Maisel”.
Midge è perfetta. Bellissima, spiritosa, di buona famiglia, con un guardaroba da favola e una sfilza di talenti che sembra non finire mai, le poche volte che inciampa la signora Maisel cade sempre in piedi e anche i suoi difetti vengono considerati adorabili da chiunque la incontri. Prova a fare successo in un mondo estremamente sessista come quello della stand-up comedy negli anni Cinquanta e ci riesce al primo colpo. Viene promossa in quattro e quattr’otto sul lavoro, nonostante provenga da una famiglia più che benestante e non ne abbia alcun bisogno. L’ex marito non si perdona di averla perduta, ogni uomo che incontra si innamora di lei, si dimentica dell’esistenza dei suoi figli e nessuno sembra fargliene una colpa.
Insomma, Midge è per tutti adorabile e da tutti adorata. Proprio come un’altra famosissima protagonista di una serie di Amy Sherman-Palladino: Lorelai Gilmore. Durante le sette stagioni di Una mamma per amica Lorelai sembra non poter essere scalfita da nulla e se mai le succede qualcosa di brutto – di solito per colpa sua – nel giro di un episodio o due tutto pare essere dimenticato.
Lorelai Gilmore è uno dei personaggi femminili più memorabili e amati della storia delle serie tv, ma ciò non deve impedirci di guardare al suo personaggio in modo critico.
Lorelai resta incinta a sedici anni, scappa di casa nonostante sia i suoi genitori che il padre della figlia vogliano stare al suo fianco e trova subito lavoro. Sua figlia Rory è a dir poco perfetta e le due condividono un rapporto di profonda amicizia e complicità (qui alcuni dei momenti più divertenti vissuti dalle due), ha una casa enorme, è una donna in carriera ma non le manca mai il tempo per vedere i suoi numerosi amici. I facoltosi genitori, con i quali Lorelai non ha mai smesso di comportarsi come un’adolescente ribelle, si offrono di finanziare la costosa carriera scolastica di Rory chiedendo in cambio solo una cena a settimana, cosa che Lorelai trova insostenibile e di cui non smette mai di lamentarsi.
Tanto Midge Maisel quanto Lorelai Gilmore non sono perfette. Sono entrambe piuttosto infantili, egocentriche e non si preoccupano mai abbastanza delle conseguenze delle loro azioni.
E a pensarci bene, perché dovrebbero? Per quanti errori commettano o sfide affrontino, sembrano entrambe invincibili, sempre applaudite da chiunque le veda per la loro bellezza, per la loro sagacia, persino per il loro infantilismo giudicato adorabile. Tutto ciò che le riguarda sembra essere ricoperto da una patina di glamour e successo, la loro strada disseminata di (seconde) opportunità.
Il panorama televisivo è da anni dominato da antieroi maschili, resi celebri proprio per quelle zone d’ombra che li rendono complessi e irrimediabilmente fallibili: da Tony Soprano a Rust Cohle, passando per Don Draper, Walter White e fino ad arrivare a Tommy Shelby. Questi personaggi si sono guadagnati un posto nell’immaginario collettivo in virtù della loro moralità ambigua, dei demoni che li tormentano, della profonda empatia che lo spettatore prova davanti alla loro umanità. Perché quando si tratta di personaggi femminili accettiamo solo in rare occasioni le stesse imperfezioni? Perché per essere oggetto di ammirazione Lorelai Gilmore e Midge Maisel devono essere infallibili?