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Susie Myerson, ovvero come soffocare i sentimenti e farla franca

The Marvelous Mrs Maisel
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Non è da tutti riuscire a farla franca per così tanto tempo soffocando con una dedizione innata il proprio sentire. Susie Myerson di The Marvelous Mrs Maisel ci riesce, ci riesce egregiamente, con la grinta e la caparbietà di un atleta olimpico. Se ci trovassimo in un talk show immaginario sorretto da pubblico in sala dalle mani scroscianti e presentatrice tutto pepe che, e cito testualmente – ‘non le manda a dire’ – adesso ci troveremmo davanti a un mega schermo con una foto di Susie Myerson con gli abiti meno avvezzi alla sua personalità che qualcuno abbia mai provato a farle indossare e un titolo in Comi Sans che recita ‘Susie Myerson, la manager senza sentimenti. MA COME FA?’

A chiederselo siamo stati in tanti, ma con probabilmente molta meno foga di un giornalista d’assalto che deve dipingere il volto austero della donna in carriera che rinuncia all’amore per mettersi al primo posto. Perché noi valiamo. Susie Myerson non è niente di tutto ciò. Non segue le narrazioni abitudinarie dello storytelling seriale. Non si incasella in stereotipi di genere che dividono le donne in due categorie: angeli del focolare o algide streghe. Susie Myerson è semplicemente se stessa nella concezione più sincera e stropicciata del termine. Ma chi non lo è d’altronde. Vero? Chi di tutte le nostre eroine e di tutti i nostri eroi seriali e cinematografici non rappresenta in fondo se stesso. Quanto pesante è diventata questa definizione, quanto faziosa l’abbiamo resa riempiendola del nostro continuo tribolare di fronte a canoni e canoni da seguire pedissequamente per ambire all’autenticità, quella scritta da altri. E se è l’esecuzione di un canone a renderci eroi della normalità, certamente qualcosa comincia a stridere. E proprio per la sua controtendenza alla norma, questa non è la storia di Susie Myerson.

The Marvelous mrs maisel
The Marvelous Mrs Maisel

L’eterna seconda di una gara a cui non ha mai scelto di partecipare –davvero, se cercate la sua firma nelle adesioni non la troverete – Susie preferisce rimanere un passo indietro, non tanto per paura di perdere ma quanto più per seguire il suo istinto che le strilla di non immischiarsi. Non confondersi con tutti quegli altri così ingenuamente travolti dalle pieghe della vita. Perdere non è nemmeno messo in conto se si sceglie di non partecipare. Ed è con questo inossidabile spirito che Susie Myerson porta a casa progressi su progressi nel suo continuo esercizio di schivare la vita: una disciplina in cui Susie è 10°Dan.

Che a forza di tenersi tutto dentro si rischia di esplodere è una delle tante massime in stile manuale di auto-aiuto che nella nostra vita ci sarà di certo capitato di leggere, appuntare segretamente, fare da monito per contrastare i nostri sentimenti di autodistruzione. Anche Susie se la sarà sentita dire tante di quelle volte, magari da una Miriam Maisel particolarmente su di giri o da quell’incrollabile roccia di stralunata positività di sua sorella. Susie avrà sbuffato, eccome se l’avrà fatto. Già me la immagino con la sua sigaretta stretta nelle labbra e la fretta di chiudere immediatamente la conversazione: peccato che non sempre si possa attaccare il telefono per sfuggire da un dialogo opprimente. Attaccare la cornetta e fuggire più lontano che si può e magari possibilmente farla pure franca: se tutto ciò fosse uno sport olimpico Susie avrebbe la medaglia di platino.

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Eppure, tutte quelle parole che per anni avevano occupato lo spazio di una minaccia alla quale non si vuole affatto credere finiscono per concretizzarsi, questa volta per davvero. Con un crepitio via via più fastidioso tutti quei bonari rimproveri sembrano riecheggiarle nella testa come se tutti i consigli da cui Susie è sempre fuggita – di cui non sembrava dovesse mai importarle davvero – risuonassero all’unisono nella sua mente. Ed è la perdita di chi non si sapeva amico lo smacco più grande con cui Susie Myerson non aveva mai pensato di doversi misurare. Colpita nel più profondo proprio per quello sguardo sul suo ipotetico futuro offertole dalla dipartita dell’amico: come nel ‘Canto di Natale’, Susie ha la possibilità di assaporare il gusto amaro di una vita solitaria, quella stessa vita che stupidamente pensava esserle più congeniale ma che nella realtà dei fatti non augurerebbe mai a nessuno di vivere. Una scatola di cianfrusaglie e niente più, se non un racconto mai scritto di una vita ordinaria. E’ questo che vuoi, Susie?

Vederla lì, sul divano dei Weissman imbottita di alcol e caramelle è sicuramente il racconto che più si allinea con il personaggio a volte bambinesco che si cela dietro quel perfetto trittico di coppola, sigarette e uno sguardo truce. Ma non è in quel soffice sofà color pastello che possiamo saggiare il primo appiglio al cambiamento che Suzie sembra timidamente volere afferrare, ma è proprio lì – e già lo sapete – in quella sala gremita di persone affrante – ma non per Jackie – che Suzie esplode in un concitato fiume di parole rivolte all’amico scomparso ed è in quello sconsiderato flusso di coscienza ad alta voce che Suzie comincia a partecipare al gioco della vita, con i suoi oneri e onori.

Forse questa volta non l’avrà fatta franca, ma è proprio non tirandosi indietro per la prima volta in vita sua che ha finalmente potuto mostrare che grande giocatrice è.