Cara Lisbon. Scusami: cara Teresa. So quanto ti faccia arrabbiare il fatto di chiamarti Lisbon. Ti spunta quella bellissima ruga a corrucciarti la fronte. Ah, scommetto che ce l’hai anche ora. La adoro. Te l’ho mai detto? Non offenderti, Teresa, se ogni tanto mi sfugge di chiamarti Lisbon. Sono talmente tanti gli anni passati insieme, l’uno al fianco dell’altro a sostenerci e a rinfrancarci come una squadra, a lavorare come colleghi che è naturale per me non essere abituato a chiamarti col tuo nome di battesimo.
Sai il motivo per cui ti scrivo questa lettera. E sai anche quanta fatica stia facendo. Non sono mai stato bravo con i sentimenti.
Tu hai sempre saputo tutto di me. Forse non esattamente di quello che stessi facendo, dei mie continui trucchi e marchingegni. Ma di me, ah, di me, tu hai sempre saputo tutto. Mi leggi dentro come nessun altro è mai stato in grado di fare. È per questo che ti ho sempre tenuto a distanza e nello stesso tempo non ho potuto allontanarmi mai del tutto da te. Non potevo permettermi te. Lo sai, non lo meritavo. Ho vissuto due vite, Teresa. E la mia prima esistenza non mi avrebbe mai abbandonato se me la fossi semplicemente lasciata alla spalle. Avrebbe sempre fatto capolino in ogni giorno del resto della mia vita. Mi avrebbe ricordato ostinatamente la colpa che gravava su di me.
Non potevo permettere che quel grido di orrore e disperazione, quel grido di aiuto e vendetta continuasse a dominarmi. Non mi avrebbe mai lasciato. Ma tu questo, anche questo, lo hai saputo dal primo momento. Così sei voluta diventare per me prima di tutto una collega e un’amica. E io, io che sono in grado di riconoscere le intenzioni di una persona da una semplice occhiata, che posso prevedere le scelte di chiunque, non ho mai potuto leggere le tue. Sei sempre stato un libro tenacemente chiuso al mio sguardo. E più cose credevo di capire di te, più tu dimostravi quanto in realtà ti sottraessi alle mie convinzioni. Questo è per me il mistero più grande. Sei tu.
Non me l’hai mai data a bere con quella rigidità tutta apparenza, col tuo tailleur così austero e i modi da dura. Questo, sì, l’ho colto da subito. Questa tua corazza che ti sei costruita tutta attorno. Che vorrebbe proteggerti dal mondo e dalle sue brutture. Noi due condividiamo molto. E non solo il bello. Condividiamo anche le ferite che hanno segnato entrambi. Devi ricordarti sempre di benedire quelle ferite, Teresa. Perché senza di esse non saremmo quelli che siamo. Conosco il tuo dolore, Teresa. La tua infanzia non vissuta, gli abusi, la solitudine.
Sei sempre stata esposta al mondo, fin da piccola. Hai dovuto badare ai tuoi fratelli. Sei stata costretta a essere forte dal primo istante della tua vita. Potevi scegliere di cadere negli stessi errori di tuo padre, ma non lo hai fatto, hai elevato quel dolore in qualcosa di positivo.
In una crociata al male. E sei diventata l’agente, e la donna, che tutti conosciamo e ammiriamo. Anch’io ho vissuto questo passaggio. Ma non è stato così semplice per me, perché io non sono forte come te. Nulla aveva più senso per me dopo la morte della mia famiglia. Ma c’era una voce dentro di me. Io non credo a un’altra vita, lo sai, eppure avevo questa assurda e ossessiva convinzione che quel grido inascoltato mi avrebbe tormentato per l’eternità.
È iniziato per caso. È stato un modo per avvicinarmi alle indagini su John il Rosso. Ma fin da subito ho provato un piacere particolare ad affrontare i casi con la squadra. Da un lato perché era avvincente e stimolante e mi aiutava a distrarmi da quella voce assillante dentro di me. Ma c’era dell’altro, non te l’ho mai detto e l’ho sempre negato.
Risolvere quei casi, consegnare i criminali alla giustizia… Ecco… Era come se potesse riabilitarmi. Mi dava sollievo, per quel poco che valesse. Non ho mai saputo rapportarmi agli altri, non ho mai accettato dei ringraziamenti per i casi risolti. Lo sai, mi sono sempre tenuto lontano perché finché non avessi chiuso con John il Rosso non avrei mai potuto sentirmi grato per qualcosa.
È stata la mia ossessione, la mia balena bianca come ami ripetere, e so quanto hai temuto in cuor tuo che io finissi come Achab, risucchiato nel vortice della mia sete di vendetta. L’ho temuto anche io, perfino l’ho sperato. Ero sicuro non avrebbe avuto valore più nulla dopo John. Mi sarei tolto la vita, Teresa. Ucciso John, era mia intenzione farla finita. E finalmente mi sarei sentito libero. E nulla avrebbe più significato niente.
Ma poi un’immagine forte e incrollabile ha catalizzato tutto me stesso: tu. Il tuo volto. È stato il primo pensiero della mia seconda vita. E ho sentito di essere nato di nuovo, ho sentito di poter essere e di essere davvero in pace. Di potermi lasciare alle spalle tutto quanto. Non di dimenticarlo. Ma di poterci convivere. Come fai tu con i ricordi di tuo padre alcolizzato. Non dobbiamo eliminare quelle cicatrici. Non possiamo farlo. Il dolore ci ha fatto capire quanta bellezza c’è nell’amore. Nel nostro amore. Ci ha fatto conoscere e incontrare e comprendere l’uno agli occhi dell’altro. Ci ha fatto innamorare.
Probabilmente in questo momento starai dormendo. Avrai quell’espressione beata che hanno i bambini durante il sonnellino. Quanto amo guardarti: soffermarmi sulle tue mille lentiggini, sulla tua bocca carnosa, sui tuoi capelli lisci. Sentire il leggero, delicato tocco della tua pelle. L’odore che emani. Tutte queste parole e non ho mai pronunciato ‘quella’ parola. Ti amo. Ti amo, Teresa. Te lo ripeterò sempre, ogni giorno.
Guardo fuori dalla finestra. È sera ma riesco a distinguere l’acqua del lago increspata da un sottile vento, il riflesso della luce, il fruscio delle foglie del bosco. Guardo tutto questo e penso a noi. A questa vita tanto attesa e finalmente raggiunta. A noi che ora siamo una famiglia. Tu, io e la nostra bellissima bambina. Domani ti sveglierai, ti bacerò e ti nasconderò in tasca questa lettera.