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The Midnight Club: la poetica dell’horror, tra malinconia e bellezza

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Prendiamo un po’ di tinte classiche del genere horror, cupe e oscure. Abbiniamoci qualche cucchiaio di ideale di purezza religiosa e di profondi drammi psicologici. Un pizzico di storie inquietanti di fantasmi dal passato tormentato. Et voilà, la perfetta serie horror alla Mike Flanagan è pronta!

Abbiamo avuto modo di assaporare la ricetta orrorifica di Flanagan in Midnight Mass e The Haunting of Hill House. Ma con The Midnight Club (la prima – e sola stagione – è disponile su Netflix) il regista decide di cambiare completamente target. Questa volta, infatti, ha deciso di parlare ai più giovani e lo fa con un adattamento dell’omonimo libro horror per ragazzi di Christopher Pike.
Ambientata nel 1994 (anno di pubblicazione del libro), The Midnight Club segue una giovane donna, Ilonka Pawluk (Iman Benson), malata terminale di cancro alla tiroide. Decide, con l’incerto appoggio del padre adottivo, Tim (Matt Biedel, già incontrato in Midnight Mass), di trascorrere gli ultimi giorni al Brightcliffe Hospice. Nell’ospizio per giovani malati terminali, incontra altri 7 giovani pazienti, entrando a far parte del loro club segreto. Ogni notte, i membri del Midnight Club si riuniscono nella biblioteca della vecchia villa vittoriana (grande classico per il regista). E qui si raccontano storie di fantasmi. Queste storie, intime e personali, oltre a essere specchio dei traumi, delle paure, ma anche dei desideri dei personaggi, sono ulteriori adattamenti delle opere di Pike, in un percorso profondo e intrinsecamente umano.

In The Midnight Club, Flanagan ha costruito una matrioska di citazionismo orrorifico dal taglio tipicamente anni Novanta. E noi siamo qui per aprirla.

I protagonisti di The Midnight Club riuniti nella biblioteca di Brightcliffe Hospice

Partiamo dall’ambientazione

Una vecchia magione adibita ad accogliere la morte, a “lasciare il campo di battaglia” rappresentato dalla malattia. Questa villa incarna in sé il terrore della mortalità. L’orrore non è solo nelle storie che i ragazzi raccontano, ma anche nella loro condizione, nel confrontarsi con la fine della vita e nel luogo dove decidono di congedarsi da questo mondo. E, in questo senso, questa ambientazione rappresenta un orrore profondamente esistenziale e reale, non solo soprannaturale. Le storie dei ragazzi sembrano, qui, prendere vita e cercano, proprio attraverso questo luogo, di ritornare dal loro narratore (come l’ombra che segue Anya – interpretata magistralmente da Ruth Codd). La casa nasconde segreti, alcuni tangibili, altri che spaziano oltre il piano materiale. Sia la ricerca di una miracolosa cura di Ilonka, sia le storie narrate a mezzanotte fanno si che la villa prenda vita. E con lei, i suoi segreti.
Il luogo dove The Midnight Club si riunisce è la biblioteca, tempio di storie e racconti che aspettano solo di essere letti. Questa è il luogo dove le storie ritornano a essere, ritornano in vita. Dove? Nella mente del lettore. L’atto stesso di leggere significa, quindi, resuscitare significati e realtà che altrimenti sarebbero non-essere, morte. Proprio come le storie che aspettano di essere raccontate dai membri del club.

“A tutti noi che prima o poi saremo ridotti in polvere. E a quelli che hanno smesso di respirare. Vediamo attraverso l’oscurità. Viviamo nella luce. Moriamo impavidi.”

Questo il giuramento con cui The Midnight Club da inizio agli incontri. Gli otto ragazzi scandiscono le notti raccontando a turno delle storie. Non storie qualsiasi. Ma storie dell’orrore. Non sono solo un mezzo di intrattenimento, ma anche un potente strumento di connessione e comprensione. Il soprannaturale si mescola, in queste, con il reale. Non ci è dato sapere quanto di queste storie sia mero frutto dell’immaginazione dei ragazzi, e quanto siano cose realmente accadute. Fatto sta che i confini tra le due dimensioni si sfumano e il risultato è un percorso introspettivo nelle angosce, nelle ansie, ma anche nelle speranze e nei sogni di questi ragazzi.
L’horror, così, riprende la sua funzione primaria. Diventa metafora di sentimenti profondamente umani, come paura e desiderio. È un modo per affrontare la loro condizione. È un atto di ribellione contro l’inevitabile. Le storie danno un senso al caos della vita e della mancanza di essa.

L’horror in The Midnight Club: tra malinconia e bellezza

Come una versione macabra dell’ombra di Peter Pan, l’ombra della Morte insegue costantemente i ragazzi, si nasconde alle loro spalle, li rincorre in una corsa in cui le regole le decide Lei. L’idea della Stessa, però, viene affrontata con dignità, una sorta di empatia e, possiamo anche dire, serenità. Questi ragazzi (fatta eccezione, forse, di Ilonka) conoscono e, decidendo di venire a Brightcliffe Hospice, accettano il loro destino. Non solo paura e tristezza, l’orrorifico è anche accettazione e, in qualche modo, pace. La bellezza visiva ed emotiva dell’horror di Flanagan viene nuovamente ripresa anche qui nelle inquadrature eleganti, dall’utilizzo di luci e ombre per la creazione di atmosfere al contempo inquietanti ma esteticamente affascinanti. In The Midnight Club questo stile alla Flanagan viene abbinato a stilemi registici tipici dell’horror anni Novanta. Dalla colonna sonora, passando per lunghi piani sequenza e distorsioni delle immagini, al dimezzamento dei frame per mostrare contemporaneamente i personaggi e ciò che accade in lontananza. La regia, accompagnando la narrazione, omaggia gli il genere horror e riflette, al contempo e ancora una volta, sulla condizione dei personaggi, umanizzando la graduale emersione del soprannaturale.

The Midnight Club ci porta a riflettere sull’accettazione della morte. Ci spinge a chiederci: cos’è la vita? E la morte? C’è altro dopo la cessazione della prima e l’incombere della seconda? Sono disposto/a a scoprirlo?
La morte diventa, quindi, solo un’altra fase dell’esistenza e il genere horror, nelle abili mani di Flanagan, un mezzo per esorcizzarne l’idea, riflettendo sulla stessa condizione umana.