Ero un adolescente quando andava in onda The OC. E come tutti gli adolescenti o quasi, guardavo The OC. A quel tempo i teen drama andavano tantissimo, e dominavano la scena: non c’era la varietà di telefilm che c’è oggi, eravamo ben lontani dall’epoca aurea delle serie tv che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte. The OC lo guardavano tutti, a prescindere dalla fascia di età d’appartenenza. E piaceva. Giustamente, perchè non sarà (non lo è) un capolavoro ma è una serie comunque ben fatta.
Poi successe qualcosa. Alla fine della terza stagione (che già stava facendo registrare un calo di ascolti rispetto alle prime due) gli autori decisero di fare una mossa azzardatissima: fecero morire Marissa Cooper, grande protagonista e mattatrice assoluta della serie, coi suoi alti e bassi che sintetizzavano al meglio il precario e sempre ballerino stato emotivo adolescenziale.
Quella mossa non piacque. Non piacque nemmeno a me, che puntai i piedi e dissi: “Basta, ‘sta serie non la guardo più”. E così feci. Non la guardai più, me ne disinteressai totalmente, al punto tale che fino una manciata di giorni fa non avevo nemmeno idea di come fosse finito The OC. Perchè per me era finito lì: lo avevo quasi rimosso.
Poi qualche giorno fa mi è venuto un dubbio. Mi è venuto il dubbio che, quantomeno per una completezza di cultura seriale, dovessi andare a fondo a quello che non avevo portato a termine tanti e tanti anni fa. Il dubbio si è mischiato anche a una sincera curiosità. Sapevo che la quarta stagione era stata estremamente criticata e dovevo scoprire perchè. Dovevo farmi una mia idea sul finale di ‘sta benedetta serie.
E così ho cominciato. Ho cominciato a guardare la quarta stagione di The OC e nel frattempo ero diventato adulto, non ero più adolescente. Ma devo dire la verità: non l’ho vissuto come un nostalgico tuffo nel passato. Perchè sin dalla prima puntata della quarta stagione mi sono reso conto del fatto che non ero soltanto io a essere maturato, a essere diventato adulto: era maturata e diventata adulta pure The OC.
L’ho notato sin dalle primissime puntate, le uniche che di fatto hanno un approccio tragico. La morte di Marissa ha sconvolto tutti i personaggi, tutti in preda ad un vortice di tristezza, rabbia, disperazione e desideri di vendetta. Hanno tutti occhi diversi: la fine di Marissa li ha segnati e li ha fatti definitivamente crescere, sbattendo di prepotenza nel mondo degli adulti gli adolescenti, e dando – come è normale che sia – un’aria meno sbarazzina anche agli adulti della serie. In primis Julie Cooper, la quale devastata dalla morte della figlia comincerà un tortuoso percorso che la porterà a diventare anche una grande madre per l’altra sua figlia, Kaitlin.
La scena finale del primo episodio, quella che si conclude con Ryan e Julie davanti alla tomba di Marissa, è di un’intensità emotiva indescrivibile. E ‘A Bad Dream’ dei Keane – spettacolare sottofondo anche di una scena tristissima ed iconica di Scrubs, una canzone talmente bella ed emotivamente potente che mi chiedo perchè non la piazzino in ogni serie tv possibile e immaginabile – come colonna sonora fa il resto, proiettandoci in un turbinio di brividi senza fine.
Quella scena rappresenta di fatto il punto di rottura tra il vecchio OC e il nuovo OC: gli autori ci sbattono in faccia la loro nuova idea. Questa serie non parlerà più della vita e dei problemi degli adolescenti. Questa serie proverà a rinnovarsi, assumendo toni più maturi e adulti. Marissa Cooper è stata sacrificata sull’altare del rinnovamento, un rinnovamento che senza un colpo di scena pesante e distruttivo come questo, difficilmente sarebbe potuto arrivare con facilità e soprattutto in tempi brevi.
Dopo 3 puntate di assestamento, in cui da semplice teen drama si passa praticamente a drama di quelli pesantissimi, dalla quarta puntata in poi – finita la fase di drastico adattamento – The OC torna The OC. Torna quella serie fatta anche di tanti momenti di divertimento e leggerezza, di intrighi amorosi, lavorativi ed economici, di cose futili e sbarazzine senza dimenticarsi di assicurare una profondità al racconto, cosa che non è mai mancata nelle stagioni precedenti e che a mio parere, nella stagione conclusiva, raggiunge il suo apice.
Perchè non ci sono più i problemi adolescenziali, ci sono i problemi di chi si affaccia al mondo adulto. Summer, Seth, Ryan e Taylor si ritrovano nel limbo di chi deve decidere cosa fare della propria vita. Tra università e lavoro, sogni e obiettivi, accompagnati da normali momenti di dubbio e inevitabili crisi di identità. Si trovano a dover capire cosa vogliono fare davvero da grandi, e affrontano il tutto con una maturità e una profondità di ragionamento non comune per dei ventenni. La morte di Marissa li ha segnati e li ha catapultati nella dimensione adulta ben prima del previsto: l’evento tragico ha portato a far sì che si trovassero in dei corpi da nemmeno ventenni, ma con una testa da 25-30enni. The OC questo ce lo fa capire leggiadramente tra le righe e con discrezione, senza il bisogno di urlarcelo.
Inoltre questa quarta stagione valorizza tantissimo il tema dei rapporti figli-genitori, anche questa volta con una profondità e una maturità che non potevano raggiungere questi livelli nelle stagioni precedenti, per struttura. Ryan e Sandy, Seth e Sandy, Ryan e Kirsten, Seth e Kirsten: questo lo avevamo già visto prima, ma nella season 4 anche i rapporti storici compiono uno step in più.
A questi se ne aggiungono altri, a sottolineare quello che diventa il tema dominante: il tanto chiacchierato rapporto tra Taylor e sua madre, che raggiunge il lieto fine dopo una serie di peripezie negative che avevano evidenziato quanto la ragazza soffrisse l’assenza della figura materna. Quello tra Ryan e suo padre Frank, ma soprattutto quello tra Julie Cooper e Kaitlin. L’unica adolescente residua protagonista della serie è molto diversa dalla defunta sorella: più equilibrata e meno preda di se stessa, cerca disperatamente un rapporto di un certo tipo con la madre. Rapporto che trova, perchè Julie Cooper dopo la morte di Marissa ha imparato a mettere da parte l’egocentrismo che l’aveva contraddistinta negli anni precedenti, e non vuole ripetere lo stesso errore fatto con la primogenita. Non vuole avere rimpianti e si mette a disposizione della figlia. Diventa non soltanto un’ottima madre ma anche una grande amica per Kaitlin, raggiungendo a 40 anni suonati quella maturità che prima non aveva mai avuto.
In tutto questo, anche la vena comica – già comunque esistente in passato – della serie fa un salto in avanti, rendendola uno splendido ibrido di generi. Tutto questo grazie ai soliti Seth e Summer, ma anche e soprattutto grazie al bizzarro personaggio di Taylor e all’accoppiata Julie-Kaitlin, che in certi momenti sembrano davvero una coppia comica stratosferica. Oltre a loro, a dare colore ci pensano anche alcune new entry, come Che, Henri-Michel e Bullit (quest’ultimo tra l’altro è un personaggio che contribuisce, nella sua veemenza ed esuberanza, a portare avanti il tema del rapporto figli-genitori, diventando di fatto un tenero padre sostitutivo per Kaitlin).
Sul tema delle relazioni amorose e anche dei colpi di scena relativi a esse, la quarta non ha chiaramente l’intensità e la forza delle stagioni precedenti. E questo può giustamente essere letto come un punto a sfavore, ma dimostra quale fosse l’intento degli autori: concentrarsi un po’ di più su altri aspetti, per far diventare grande The OC assieme ai suoi protagonisti.
In fin dei conti trovo che la quarta stagione di The OC sia una buonissima stagione. Oltre a tutto quanto detto sopra, la trama sa essere comunque coinvolgente e il ritmo non manca mai, rendendola una splendida forma di intrattenimento leggero.
E il finale è un gran bel finale. Lo struggente addio alla casa di Newport, con Ryan che lascia per ultimo e rivede se stesso da ragazzino è di grande impatto. Col salto temporale si arriva nel 2012, dove Seth e Summer sono convolati a giuste nozze e Ryan è diventato probabilmente un imprenditore (o un architetto). Davanti al cantiere che sta gestendo, vede un ragazzo con aria turbata davanti a una cabina telefonica. Un ragazzo che gli ricorda tanto lui da giovane (gli somiglia pure ed è vestito in maniera simile), prima che i Cohen lo adottassero e gli dessero la possibilità di diventare l’uomo che è diventato. Ryan gli chiede se ha bisogno d’aiuto in una scena che sa di iconico eterno ritorno, e poi cala il sipario. Lasciandoci col dubbio che magari chissà, sarà proprio Ryan a prendersi cura di quel ragazzino, diventando il nuovo Sandy Cohen. Semplice, ma bello.
Così come semplice, ma bella, è The OC. Che ha fatto forse il passo più lungo della gamba decidendo di uccidere Marissa per conferire alla serie un tono più adulto e maturo: l’idea era estremamente ambiziosa e secondo me la riuscita è stata pure ottima, ma c’è da dire che gli autori dovevano fare i conti con un pubblico adolescente che difficilmente avrebbe capito e molto più facilmente si sarebbe arrabbiato, come un bambino a cui hanno tolto il giocattolo. Come ho fatto io, che ho smesso direttamente di guardare la serie. Ma guardandola da adulti è tutta un’altra storia, ve lo assicuro. Quando avete 16 puntate di tempo provateci, miei cari co-teenager del tempo: chissà, magari c’è il rischio che cambiate idea.
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