Il 28 aprile 2022 (il 15 settembre, in Italia) ha debuttato su Paramount+ una miniserie limitata che racconta i retroscena che hanno portato alla creazione del primo capitolo della trilogia de Il Padrino, l’adattamento cinematografico del romanzo di Mario Puzo diretto da Francis Ford Coppola e prodotto da Albert S. Ruddy per Paramount Pictures. La miniserie ci era stata annunciata con grande entusiasmo il 14 settembre durante l’imponente presentazione del nuovo servizio di streaming globale di Paramount. Le inconfondibili note de The Godfather e le parole cariche di emozione con cui è stato presentato facevano presagire il valore affettivo e l’orgoglio che accompagnano il progetto. Se dobbiamo dirla tutta, in quel momento, non ci aspettavamo niente di più di una bella operazione “riciclo” con una spruzzatina di nostalgia. Un’autocelebrazione con cui omaggiare un lavoro di cui andare fieri e per riaccendere quella voglia irrefrenabile di rituffarsi nella trilogia con Marlon Brando e Al Pacino a 50 anni dall’uscita nelle sale. In quel momento, ci sembrava impossibile credere che la miniserie potesse essere qualcosa di più, cioè un prodotto originale capace di brillare di luce propria. Invece, a partire dalla prima puntata, The Offer ha spazzato via il nostro scetticismo presentandosi come un lavoro autonomo e drammaturgicamente impeccabile. Il Padrino è solo il valore aggiunto che dà un vantaggio allo spettatore che sa cosa diventerà la pellicola. Eppure, sebbene le 10 puntate catturino e incollino alla sedia, c’è una domanda che accompagna l’intera visione (nonché il seme della discordia che ha generato un’infinità di polemiche nei confronti della miniserie): quanto c’è di vero in The Offer?
Quale verità racconta The Offer?
The Offer sarebbe una serie tv strepitosa anche se il cult di cui parla non esistesse. La miniserie non racconta tanto cosa ci sia dietro Il Padrino, ma mostra il processo di produzione di un film, le sfide, l’amicizia, la passione, la strategia, l’ingegno umano e l’importanza di avere una visione (e seguirla nonostante tutto). La narrazione è avvincente come un thriller. Ha slancio, ritmo, suspense e un’impronta cinematografica irresistibile. C’è un regista che vuole affermare la propria visione. I colletti bianchi che rincorrono i soldi a discapito dell’arte e chi è disposto a sacrificare tutto per un’idea. Tuttavia, raccontando una storia realmente accaduta è lecito domandarsi quanto ci sia di vero. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la vicenda è pur sempre narrata dal punto di vista di coloro che hanno prodotto e realizzato il cult. Come titola il Los Angeles Times, che ha promosso la miniserie pur giudicandola gonfia poiché il dietro le quinte del film è già straordinario di suo:
The Offer è piena di abbellimenti. La verità è abbastanza drammatica.
Los Angeles Times
La serie tv prodotta da Dalia Ibelhauptaitė è stata creata da Michael Tolkin, screenwriter di Deep Impact e The Player, un film sulla corruzione di Hollywood di cui è anche produttore. La vicenda si basa sull’esperienza diretta del produttore Albert S. Ruddy che in The Offer è anche produttore esecutivo insieme a Miles Teller, Dexter Fletcher, Leslie Greif, Michael Tolkin, Nikki Toscano e Michael Scheel. Insomma, il punto di vista del racconto è spudoratamente interno. E, ovviamente, ognuno racconta la propria storia come vuole. E da come sono stati raccontati i fatti, sembra tanto che Ruddy sia l’unico che dobbiamo ringraziare se abbiamo avuto Il Padrino. Va detto, infatti, che non tutti sono d’accordo con la versione raccontata nello show. Riguardo il merito, i pareri sono alquanto contrastanti, ma venirne a capo è impossibile. Tanto è stato detto, dichiarato e scritto e, come sappiamo, della stessa storia esistono sempre più versioni dei fatti, dipende da quale prospettiva la si guarda. Ad esempio, Peter Bart, che ha lavorato come executive per la Paramount Pictures ed è stato una figura chiave per la realizzazione di molti classici come Rosemary’s Baby (1968), True Grit (1969), Harold and Maude (1971) e The Godfather, ha dichiarato a Deadline:
The Offer racconta una storia mafiosa su “The Godfather” che è davvero più finzione che realtà. La serie TV, scritta da Michael Tolkin, è vagamente basata su incidenti e aneddoti forniti da Albert S. Ruddy, che ha prodotto il film. Sono aneddoti vividi, ma sono in contrasto con i racconti dei protagonisti che hanno realizzato il film – di cui io sono uno – e che hanno incontrato una realtà diversa.
Peter Bart
The Offer riporta dunque dei fatti storici comprovati, ma li racconta dall’unico punto di vista di Ruddy e li condisce con dramma, poesia e il fascino irresistibile dei protagonisti. Come scrive Glenn Whipp sul Los Angeles Times, al 50° anniversario dell’uscita del cult:
Per soddisfare quella fame, c’è “The Offer”, una serie limitata in 10 parti in anteprima giovedì su (dove altro se no?) Paramount+ che si appoggia alla mitologia del film in modi che a volte sono divertenti, troppo spesso ridicoli e, a volte, abbastanza diffamatori, anche se dovrei consultare il consigliere di famiglia su quest’accusa perché è al di fuori della mia area di competenza.
Los Angeles Times
Per chi non avesse ancora visto The Offer, va sottolineato che la miniserie non è – come si potrebbe erroneamente pensare – una docuserie che ricostruisce i fatti in maniera oggettiva e distaccata, avvalendosi dei materiali di archivio. Si tratta invece di un film biografico, un biopic, che drammatizza e romanticizza la vita di coloro che hanno prodotto e realizzato la pellicola (che sono gli stessi che hanno prodotto The Offer). Una vicenda storica ricostruita con eleganza e interpretata da attori e attrici che sconvolgono sia per la bravura che per la somiglianza con gli originali. Primo fra tutti, il giovane e nervoso Pacino, interpretato dal bravissimo Anthony Ippolito.
Il casting di The Offer, dunque, è superlativo tanto quanto quello che abbiamo visto per realizzare The Godfather, un processo che nello show viene raccontato con grande trasporto emotivo nonché suspense. Questo è, infatti, un altro miracolo della miniserie di Paramount+: sappiamo che Marlon Brando accetterà la parte; sappiamo che Al Pacino, alla fine, interpreterà Michael e che diventerà un grande attore; sappiamo quale sarà la vera locandina del film e, in generale, sappiamo che Il Padrino si farà, come si faranno le altre due parti. Eppure, nel corso delle 10 puntate, siamo tormentati dal dubbio. Ebbene, sono stati capaci di tenerci costantemente sulle spine, giocando impunemente con la sospensione dell’incredulità come solo un maestro del cinema quale Coppola sa fare. Lo spettatore ha dalla sua parte il vantaggio di vivere nel futuro, ma The Offer ha dalla sua l’esperienza di chi i sogni li fabbrica da decenni.
I fatti sono certi, ma tutto è stato colorato di quella patina magica ed emozionante propria dei grandi classici
Nel corso delle puntate emergono fatti rocamboleschi che probabilmente ogni appassionato di The Godfather conosceva già. La testa del cavallo usata nella realtà è vera al 100%. Sinatra disprezzava Il Padrino. In un’intervista di Vanity Fair del 2009 ad Al Ruddy, il produttore ha ricordato il cantante che minacciava Puzo una notte del 1970 in un famoso ristorante di Los Angeles. A quanto pare è proprio questo aneddoto che ha ispirato Michael Tolkin a realizzare la serie. Paramount riteneva davvero che Al Pacino non fosse all’altezza (letteralmente!) del ruolo. Secondo il vero Francis Coppola, gli Studios volevano un attore alto, biondo e con gli occhi azzurri poiché credevano che quello fosse l’aspetto di un vero siciliano dell’epoca. Già, Brando emerse sul serio dalla sua camera da letto in kimono e sorprese tutti calandosi nella parte del padrino infilandosi due fazzoletti in bocca. Francis Ford Coppola ha rischiato di essere licenziato poiché era sempre in disaccordo con la Paramount.
Nel 2021 ha dichiarato: “Il padrino è stata l’esperienza più spaventosa e deprimente che abbia mai avuto” mentre Al Pacino ha confessato al New York Times di averlo visto piangere sul set più di una volta. È vero che Al Ruddy ha realizzato il primo film con un budget bassissimo (6 milioni di dollari) e che si è dovuto scontrare con una serie di fattori esterni delicatissimi, come le minacce del boss della mafia Joseph Colombo Sr. o i dirigenti di Gulf + Western e il loro interesse nel controllare i Paramount Studios. Ed è vero che Coppola ha realmente accettato di lavorare con uno stipendio basso e con un budget basso. Al contrario di quanto vediamo, le cronache riportano che Robert Evans, il capo della produzione della Paramount, voleva che Il Padrino fosse diretto da un italo-americano e che Sergio Leone fu la sua prima scelta mentre Coppola venne solo dopo una lunghissima lista di nomi.
Dalle cronache sappiamo che il cult di Francis Ford Coppola e Mario Puzo avrebbe potuto essere un film molto diverso. Le controversie tra i piani alti e chi combatteva sul campo sono ormai storia. Ma il lavoro di Coppola ha cambiato il cinema soprattutto perché le cose non sono state fatte come piaceva alla Paramount. Il management odiava tutto quanto veniva proposto. A loro non piacevano gli attori, il regista, l’ambientazione, le melodie né il tono. Odiavano perfino la locandina con le iconiche marionette che il graphic designer S. Neil Fujita aveva realizzato per il libro. Insomma ciò che vediamo compiere nello show da Ruddy (Miles Teller), Coppola (Dan Fogler) e Robert Evans (Matthew Goode) sono fatti storici realmente accaduti e comprovati, ma alterati dai ricordi personali del produttore.
Così come è accertato che Peter Bart (Josh Zuckerman) abbia effettivamente scelto il romanzo di Mario Puzo e suggerito Coppola come regista, benché all’epoca non godesse di tanta stima e che accettò l’incarico poiché era al verde. Il personaggio che ha ricevuto un trattamento di favore pare essere quello della segretaria di Ruddy, Bettye McCartt (Juno Temple), il cui ruolo, nella miniserie, è stato reso molto più partecipativo, sebbene il suo contributo sia stato comunque determinante. Come fa notare il giornalista Whipp, la ragione potrebbe risiedere nella volontà di mettersi al riparo dalle accuse di sessismo mosse a Il Padrino nel corso degli anni. Come, ad esempio, quelle avanzate della critica Molly Haskell che 25 anni fa scriveva: “il film sminuisce e degrada le donne in modo oltraggioso” e “ne Il Padrino non c’è posto per le donne”. Il personaggio di Colin Hanks, Barry Lapidus, invece è stato totalmente inventato. Barry è una fusione di altre persone coinvolte nel processo necessaria per rendere la trama più coerente e unitaria.
La mafia e Joe Colombo
Joseph Colombo, della famiglia criminale che portava il suo nome, formò effettivamente la Lega italo-americana per i diritti civili alla fine degli anni Sessanta. E un film come Il Padrino divenne rapidamente il nemico numero uno della lega. Chiese davvero che le parole “mafia” e “Cosa Nostra” venissero tolte dalla sceneggiatura e che tutti i soldi che il film avrebbe incassato alla premiere venissero donati al loro fondo per costruire un nuovo ospedale, secondo quanto scriveva il New York Times. Dalle cronache emerge che Colombo vedeva il film come un modo per spremere soldi agli Studios. Colombo rubò addirittura un camion con attrezzature per un valore di un milione di dollari dal set di Little Italy dove Coppola stava girando un test. Ha fatto seguire l’auto di Al Ruddy e ha effettivamente chiamato Robert Evans nel suo hotel di New York per minacciarlo. La Paramount ha perfino dovuto evacuare due volte i suoi uffici per paura delle bombe, come scrive Den of Geek. In The Offer c’è tutto questo, ma è stato a dir poco romanticizzato. Riguardo il rapporto, quasi di amicizia, che emerge tra Ruddy e Joe Colombo (un fantastico Giovanni Ribisi) esistono numerose versioni dei fatti. Sicuramente Colombo diventò un alleato, appianando le tensioni tra il film e la comunità italoamericana di New York ma, sebbene i rapporti tra i due fossero amichevoli, l’amicizia non è accertata. Successivamente è stato rivelato che i membri della Lega sono stati davvero scelti come comparse per rendere felice Colombo.
E sì, Ruddy è stato davvero licenziato per colpa di Colombo. E sappiamo anche che il vero Coppola difese Ruddy, sostenendo che fosse l’unico capace di continuare il film. Bluhdorn (Burn Gorman), nella serie, è furioso perché la foto che ritraeva il mafioso con il suo dipendente gli fece perdere l’opportunità di vendere la Paramount. In realtà Gulf + Western ha preso in considerazione la vendita della Paramount, ma questo avveniva anni prima della realizzazione de Il Padrino. E no, non fu Robert Evans a salvare la Paramount, ma una mossa commerciale di Bluhdorn. In riferimento a questo, Michael Balderston del Whattowatch aggiunge che nel 1970, Gulf + Western acquisì delle azioni della società immobiliare italiana Societá Generale Immobiliare (SGI). Bluhdorn ha lavorato con il contabile della SGI, Michele Sindona, il quale aveva legami sia con la mafia che con il Vaticano. Dunque tale accordo potrebbe aver ispirato invece Il Padrino Parte III.
Chi è davvero Albert S. Ruddy?
L’Albert S. Ruddy che emerge in The Offer è certamente una versione romanticizzata. Ma in fondo è proprio questo che viene raccontato: l’epopea di un fabbricante di sogni, un Davide contro Golia. Come abbiamo detto, tanto è stato scritto e dichiarato ed è impossibile trovare una versione univoca dei fatti. Questo, però, non ci impedisce di godere delle 10 puntate di The Offer che in fondo è una meravigliosa storia di affermazione dei propri sogni. Il protagonista, Albert S. Ruddy, è un nome che probabilmente solo gli addetti ai lavori e i cinefili conoscono. Nato nel 1930, Ruddy ha davvero lavorato come tirocinante programmatore alla Rand Corporation a Santa Monica ed è laureato alla School of Architecture. Ha davvero lasciato il suo lavoro per diventare uno scrittore televisivo, ma la sua prima opera cinematografica fu Wild Seed (1965), un lavoro che gli fu commissionato niente meno che dal padre di Marlon Brando. E sì, fu scelto per produrre Il Padrino perché in poco tempo era diventato noto per essere in grado di realizzare un film in modo economico e rapido. Ed è probabile che abbia davvero detto a Bluhdorn: “Charlie, voglio fare un film blu ghiaccio e terrificante sulle persone che ami”. Tuttavia, ormai la leggenda e la realtà sono avvinghiate in un abbraccio senza fine.
Per quanto riguarda Robert Evans, anche sulla sua figura pubblica è stato detto e scritto tantissimo. E anche Evans, in The Offer, potrebbe essersi preso più meriti di quanti ne abbia avuti realmente. “Non hai fatto nulla ne Il Padrino, ma mi hai infastidito e rallentato. Questo è il motivo per cui Charlie [Bluhdorn] ha stipulato il contratto de Il Padrino Parte II secondo cui non avresti potuto avere nulla a che fare con il film”: così scriveva Coppola a Evans in un telegramma anni dopo l’uscita del film. Parole dure che testimoniano solo il clima caotico che accompagnò la realizzazione del film. Durante un tributo per il 50° anniversario agli Oscar di quest’anno, infatti, Coppola, affiancato da Pacino e Robert De Niro, ha ringraziato due collaboratori. Il primi è Mario Puzo, che ha lodato molte volte, poi, salutando Evans, ha aggiunto: “e un altro che non ho mai ringraziato… ma è giunto il momento di farlo.” Il personaggio di Evans, complice anche la bravura di Matthew Goode, in The Offer è irresistibile e ammaliante, ma anche in questo caso si tratterebbe di una versione romanticizzata. Se volete conoscere la sua storia, esiste un’autobiografia intitolata The Kid Stays in the Picture da cui è stato tratto il film omonimo del 2002 diretto da Nanette Burstein e Brett Morgen.
Quindi, quanto c’è di vero in The Offer?
Non c’è dubbio che la storia la fa chi la scrive. Il punto di vista di The Offer è interno pertanto è folle aspettarsi una ricostruzione oggettiva dei fatti. I nomi menzionati, le vicende, il coinvolgimento con la mafia sono fatti comprovati, ma la resa sulla scena trasuda quell’eroicità che è propria di un’opera di finzione. The Offer è una storia coinvolgente, ricca della suspense di un thriller e con personaggi strutturati, ma in cui è difficile distinguere tra eventi reali e libertà creative. Non è un documentario. Se non altro, però, abbiamo imparato qualcosa in più sul mestiere del produttore, una figura che, da parte del pubblico, non ottiene mai i dovuti riconoscimenti. Tuttavia il dietro le quinte del film non è il vero protagonista della miniserie, ma è solo un pretesto per raccontare la figura di Al Ruddy. Basta guardare lo screentime dedicato alla realizzazione di The Longest Yard o i fatti personali che risultano superflui a chi si aspettava dei dietro le quinte inediti de Il Padrino. Per apprezzare The Offer, dunque, è necessario tenere a mente tutto ciò e lasciarsi trasportare da una narrazione magnetica, fatta da chi sa come si racconta una grande storia.
Quanto c’è di vero in The Offer? La risposta è semplice: tutto quanto, ma è stato altamente romanzato, ricostruito riempiendo i vuoti e filtrato dal punto di vista di chi ha prodotto Il Padrino. Non c’è dubbio, però, che la realizzazione del film sia stata un’impresa titanica e travagliata e che lo scontro tra i colletti bianchi di Hollywood, i boss della mafia e i geni del cinema abbiano plasmato un capolavoro cinematografico. Non essendo un documentario, il suo fine non è quindi quello di raccontare una cronaca puntuale e oggettiva, ma è quello di ispirare lo spettatore con una storia vibrante. Coinvolgerlo, stimolare la sua capacità di stupirsi ed emozionarsi. E questo The Offer lo fa meravigliosamente bene. Non solo, ma grazie al contributo di Tolkin, The Offer indaga i lati più oscuri di Hollywood, i processi, le intenzioni e i drammi dietro la realizzazione di ogni film. Per citare Matthew Goode: “Forse è successo o forse no. Ma ti è piaciuta la recitazione? Ti è piaciuto l’incredibile lavoro che hanno fatto le persone, come hanno usato i progetti del Padrino e hanno rifatto lo stesso set? Ti è piaciuto come è stato girato?” . Ed ecco che ora vorremmo tanto vedere una miniserie che racconti come è stata realizzata The Offer…
E così, magari, resteremo intrappolati in un magnifico loop di specchi riflessi che ci ricordano la magnificenza di un cult senza tempo che ha fatto la storia del cinema. Un gangaster movie che, come voleva Coppola, non è un film sulla Mafia, ma una metafora della corrosività del capitalismo sfrenato.