“Ma The Office poi migliora?“. “Porta pazienza con la prima stagione, se resisti poi è tutta un’altra storia“. Vi è mai capitato di leggere commenti di questo tipo sui social? A noi sì, molto spesso: la diatriba riguardante le prime sei puntate di The Office, definite da tanti come un difficile scoglio da superare, dura da moltissimi anni. Tale idea punta sul fatto che, a partire dalla seconda stagione, The Office si trasformi in un prodotto completamente nuovo e diverso, lasciandosi definitivamente alle spalle le presunte brutture della prima stagione e il retaggio derivante dalla serie madre The Office UK. Ma è davvero così? Oggi vogliamo provare a sfatare quello che per noi è un falso mito, cercando di spiegare come a parer nostro The Office di fatto non sia mai realmente cambiata e come il suo umorismo, che sulle prime spesso viene criticato per poi essere osannato in seguito, sia rimasto sempre fedele a sé stesso.
Ma partiamo dalle origini: la serie che ha consacrato il talentuoso Steve Carell e il personaggio di Michael non nacque da un’idea originale, ma come remake dell’omonima serie tv inglese ideata e recitata dal pungente comico britannico Ricky Gervais. Simili premesse, ma diverso il setting: la versione americana della serie segue infatti le strambe disavventure di una filiale della Dunder Mifflin (un’azienda produttrice di carta) a Scranton in Pennsylvania, guidata dal manager Michael Scott (Steve Carell), uomo buono ma infantile e dotato di un umorismo che non fa altro che mettere in imbarazzo i suoi dipendenti. Una serie oggi acclamata da pubblico e critica e ascesa all’Olimpo delle comedy, ma che agli inizi non ebbe vita facile.
La prima stagione di The Office, pur nella sua estrema brevità, dettò chiaramente sin da subito gli stilemi che sarebbero stati alla base di tutta la serie.
Un’impostazione da mockumentary, personaggi estremamente particolari e divertenti e un umorismo che gioca con l’imbarazzo dello spettatore e con il cosiddetto “politicamente corretto“. Tutti aspetti che, di fatto, hanno reso la serie quella pietra miliare della commedia televisiva che tutti conosciamo. Certo, lo show non era adatto a ogni palato e infatti l’iniziale senso di spaesamento del pubblico americano nei suoi confronti portò a una vera e propria crisi, nonché alla minaccia di una prematura cancellazione della comedy. A tale riguardo l’attore e sceneggiatore B. J. Novak, che nella serie interpreta il personaggio di Ryan Howard, ha affermato:
“C’è stato un periodo davvero difficile all’inizio, dove gli spettatori non erano interessati a noi, eccetto il tipo di spettatori che avremmo dovuto avere, che però a loro volta ci odiavano perché avevamo rifatto la versione britannica di The Office“
Tuttavia, bastarono solo un po’ di perseveranza e una spinta da parte dei piani alti della Nbc a rendere The Office la serie di successo che è ora, uno show di ben nove stagioni per un totale di 201 episodi, con uno tra i cast più amati e apprezzati di sempre. La seconda stagione della comedy composta da 22 episodi riuscì infatti a risollevare le sorti della serie grazie a un elevatissimo numero di visualizzazioni. Ma perché ancora oggi sono in tanti a definire le sei puntate della prima stagione come inferiori rispetto a quello che poi sarebbe venuto?
A essere di basso livello, a pare nostro, non sono infatti i primi episodi di The Office, quanto invece la soglia di consapevolezza in merito a tale prodotto da parte dello spettatore.
Tra i suddetti episodi, infatti, risiedono alcuni tra i momenti più originali e divertenti dell’intero show. Le scene di Diversity Day, in cui il Michael Scott di Steve Carell improvvisa un corso contro la discriminazione mentre i suoi impiegati finiscono per incarnare i più grandi stereotipi delle varie etnie, per esempio, sono oro colato per gli amanti del black humor. Che dire poi della fantastica partita di basket tra lo staff dell’ufficio e quello del magazzino? O ancora, come dimenticare la puntata in cui Dwight, a causa delle sue ossessioni per le alleanze, finisce per farsi rinchiudere spontaneamente in uno scatolone durante uno dei migliori scherzi di Jim? Non scordiamoci poi dell’episodio 1×03 Health Care, in cui troviamo un Dwight ossessionato dallo schedare tutte le presunte patologie dei colleghi per poter far risparmiare soldi alla compagnia! Cosa hanno di male questi episodi per essere considerati meno entusiasmanti rispetto ad altri delle successive stagioni che poi saranno osannati da pubblico e critica?
Parliamo infatti di puntate di alto livello, per nulla inferiori a quel che poi sarebbe venuto, e che possono contare sui solidi ingredienti di base di cui abbiamo parlato prima. A cambiare dalla prima alla seconda stagione non è quindi stata la qualità effettiva degli episodi, quanto invece il grado di immedesimazione dello spettatore che, grazie a un numero superiore di puntate a cui assistere e da giudicare, è riuscito a comprendere e ad apprezzare sempre meglio i meccanismi della serie. Al pubblico infatti non è servito fare altro che abituarsi sempre più alle dinamiche interne all’ufficio e affezionarsi sempre di più a tutti i personaggi della serie e al loro sviluppo.
A essere stato al centro delle polemiche sui vari social troviamo inoltre il caso di Michael Scott, ingenuo e infantile, ma troppo inetto per rendersi conto che le sue azioni non fanno altro che mettere a disagio i propri colleghi. Molti spettatori hanno infatti dichiarato che il personaggio interpretato da Steve Carell nella prima stagione fosse insopportabile e che sia poi migliorato in seguito. Il fatto che Michael intraprenda un lento e progressivo percorso di maturazione è indubbio: ma, a dirla tutta, il manager continuerà a dimostrare i tratti tipici evidenziati nelle prime sei puntate dello show anche più avanti nel tempo. Vi siete forse dimenticati il suo atteggiamento nei confronti dei nuovi impiegati durante la fase di fusione con la filiale di Stamford? Vi siete forse scordati della famosa Scott’s Tots (6×12)? E potremmo citare ancora numerosissimi esempi!
Che dire, dunque? Seppur abbia acquisito una poetica maggiormente personale e originale che ha fatto la storia delle serie tv solo con il tempo, The Office è sempre stata, sin dalle origini, di altissima qualità e coerente con sé stessa. Le sei puntate della prima stagione, utili a introdurre il mood della serie e i suoi personaggi, non sono per nulla inferiori a ciò che venne prodotto in seguito: demonizzare questi episodi come un terribile scoglio da superare prima di arrivare alla reale qualità della comedy ci pare davvero ingiusto e potrebbe scoraggiare dei papabili nuovo spettatori. Pur restando sempre consapevoli che, con il suo humor e il suo stile, la serie non è fatta per piacere a tutti, vi invitiamo a farvi un rewatch della season 1 dello show: potreste riscoprire altissimi momenti seriali!