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The Other Black Girl: la serie Disney+ che ha provato a essere troppi generi diversi

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ATTENZIONE! L’articolo contiene SPOILERS della serie tv The Other Black Girl.

L’ispirazione per il romanzo The Other Black Girl venne all’autrice, Zakiya Dalila Harris, dopo aver visto in ufficio un’altra donna nera con i capelli naturali. Cosa che non era mai successa o che in generale nell’ambiente accadeva molto, molto di rado. Da questo incontro nasceva l’idea per un romanzo a tinte thriller destinato a diventare un bestseller nel 2021 e una serie tv nel 2023 (che potete vedere sul catalogo Disney+ qui).

Sempre nello stesso periodo, Brit Bennet pubblica The Vanishing Girl (edito in Italia per Bompiani con il titolo “La metà scomparsa”), caso editoriale toccante e profondo. A Mallard, in Louisiana, si è formata nel coso degli anni una nutrita comunità afroamericana dalla tonalità di pelle molto chiara. Una tonalità che permette loro quasi di confondersi con i bianchi ma li rende discriminati agli occhi di chi ha invece la pelle nerissima. Nella cittadina Desiree e Stella crescono più unite che mai. Le due gemelle, identiche nell’aspetto ma diversissime nel carattere, decidono di fuggire dalla piccola Mallard e lasciarsi alle spalle le tragedie del passato. La nuova vita, però, le porta ben presto a separarsi e Stella scompare misteriosamente.

Facciamo adesso un salto al cinema e più precisamente al 2017 quando usciva in sala il primo film da regista di Jordan Peele (tra i 10 migliori debutti in regia dal 2010 a oggi insieme a questi registi qui), vale a dire Get Out. Film che valse al regista il premio Oscar come miglior sceneggiatura originale segnando un grandissimo traguardo per il genere horror. Chris, nero, va a casa dei genitori della fidanzata Rose, bianca, solo per scoprire che fanno tutti parte di un culto razzista dai segreti agghiaccianti.

Cosa hanno in comune queste tre narrazioni? Sono tutti progetti dai risvolti thriller/horror che hanno il chiaro intento di combinare elementi di suspense con una critica acuta alle dinamiche razziali.

Ma il risultato è lo stesso? Se avete ben presente il libro della Bennet e il film di Peele, o anche solo uno dei due, sarete abbastanza d’accordo con noi nell’affermare che si tratta di progetti dalla direzione chiara. Entrambi, infatti, utilizzano l’estetica di un genere ben preciso per veicolare messaggi e tematiche di carattere sociale e politico. Nel caso della serie tv di The Other Black Girl (e qui casca l’asino), il genere oscilla costantemente senza mai stabilizzarsi, impedendoci così di essere davvero partecipi degli eventi sullo schermo.

Nella, in The Other Black Girl, deve vedersela con un autore razzista

La storia di The Other Black Girl ruota attorno a Nella, una giovane afroamericana che lavora come assistente editoriale in una prestigiosa casa editrice di New York.

Nella è l’unica donna nera nella sua azienda, almeno fino a quando non fa la sua comparsa Hazel. Sentitasi da sempre isolata e sottovalutata, Nella prova sentimenti contrastanti con l’arrivo della nuova ragazza. Perché se da un lato la ragazza sembra davvero l’alleata che aveva sempre sperato di avere accanto, dall’altro qualcosa nel comportamento di Hazel non le torna. Soprattutto, quando, un piccolo tradimento in stile Giuda da parte della nuova arrivata rischia di farle perdere il lavoro.

Man mano che la trama si sviluppa, i timori di Nella aumentano così come anche una serie di eventi inquietanti e inspiegabili che sembrano collegarsi a Hazel e al passato della casa editrice. Attraverso l’esperienza di Nella, la serie tv cerca di esplorare le sfide e le pressioni che la comunità nera è chiamata ad affrontare ogni giorno. Mettendo in luce le microaggressioni e le dinamiche di potere che spesso e volentieri passano inosservate. Ma se l’intenzione è quanto mai lodevole e attualissima, la risoluzione lascia alquanto a desiderare. Nel finale, infatti, Nella decide di unirsi al gruppo delle “altre ragazze”, nel tentativo di sfuggire al ciclo infinto di vergogna, dolore e senso di colpa causato dal razzismo stesso.

Il finale di The Other Black Girl riserva una scelta alquanto discutibile da parte della protagonista che rimane schiava delle dinamiche e delle aspettative dei bianchi, pur di sottrarsi a un’esistenza di razzismo più o meno velato. Si tratta, tuttavia, di un finale quanto mai difficile da digerire. Soprattutto nel momento in cui la serie tv non imbocca una strada convincente per arrivarci.

Comedy, thriller, horror e drama si mescolano tra loro tanto da rendere The Other Black Girl un pastrocchio confuso.

La serie tv si apre su una sequenza horror (qui trovate le migliori serie tv horror degli ultimi cinque anni) in cui, nel passato, una giovane editor nera viene inseguita per gli uffici della stessa casa editrice dove, nel presente, lavora Nella. Una premessa che ci induce a credere che la trama abbia effettivamente una componente sovrannaturale. E la nostra convinzione cresce quando, nelle prime puntate almeno, iniziano a succedere diverse cose strane e inquietanti attorno al personaggio di Hazel. O meglio Eva.

L’horror viene messo da parte e The Other Black Girl approfondisce l’aspetto thriller della vicenda. Chi è davvero Hazel? Perché è così ossessionata da Nella? Si tratta forse di una strana organizzazione o culto? Insomma, succedono parecchie cose a schermo e tutte puntano i riflettori sulla bugiarda Hazel e sulla sua doppia identità, dipingendola sempre più come la pazza e ambigua collega che recluta donne afroamericane per fare loro il lavaggio del cervello.

Nella e Hazel imparano a conoscersi un po' di più

A questa cornice hitchcockiana si intreccia poi la drammaticità del tema trattato.

Nella si sente, da sempre, sola sul suo luogo di lavoro e nel tentativo di farsi strada, a dispetto del suo colore di pelle, ha dovuto ingoiare anche parecchi rospi. Come se non bastasse la pressione per eccellere e la competizione in ufficio la portano spesso a ignorare il suo fidanzato e i suoi amici, isolandola ancora di più ma senza alcuna soddisfazione professionale. L’arrivo di Hazel acuisce questi sentimenti portandoli sempre più a un punto di rottura. Esiste, o almeno dovrebbe esistere, un viaggio interiore della protagonista, testimone delle aggressioni e delle disparità che riguardano la sua comunità.

The Other Black Girl, insomma, dovrebbe innanzitutto farci riflettere portando l’attenzione su una tematica di cui si parla sempre tantissimo ma senza cognizione di causa.

Allora perché inserire l’espediente comico e, per giunta, in maniera ripetuta quando l’argomento in sé non fa ridere per niente? Una dramedy può essere efficace in una storia che parla di detenute in un carcere di sicurezza che vendono mutandine sotto banco e si lasciano andare all’amore saffico (wink wink). In The Other Black Girl, invece, la commedia ha il solo effetto di interrompere il flusso e allungare inutilmente il brodo. Accadono situazioni sullo schermo genuinamente forzate e sciocche, senza che c’entri nulla l’elemento sovrannaturale. I personaggi agiscono e parlano in maniera superficiale e goffa pur senza l’intervento di fantasmi e co.

Questa continua interruzione di tono ha prevedibilmente effetti anche sul contenuto che si perde senza mai più ritrovarsi. Ecco perché The Other Black Girl perde la partita più importante fallendo laddove progetti come Get Out o la serie tv Them (dove la regia è al cosa davvero spaventosa) hanno centrato il segno. La miniserie Disney+ (qui le migliori da vedere sulla piattaforma) procede senza mai prendere una decisione. Ogni puntata cambia tono e genere alternando drammaticità e comicità e lasciandosi dietro molte perplessità e dubbi.